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Somalia: la nuova guerra italiana
La Somalia nei piani delle forze italiane
Obiettivo i terroristi e le basi d’addestramento di Al Qaeda
6 dicembre 2001
di Vincenzo Tessandori
ROMA Quando sarà il momento, forse mancheranno televisione e luci della
ribalta. Come, al contrario, era avvenuto nel ‘92, quando i marines
sbarcarono sulla spiaggia di Mogadiscio sotto gli occhi delle telecamere e
del mondo. Se sono esatte le indiscrezioni filtrate dagli Usa e rilanciate
da «Panorama», stavolta toccherà ai nostri fanti di marina del battaglione
«San Marco» e ai carabinieri paracadutisti del «Tuscania» avventurarsi in
un pericoloso safari somalo che ha come obiettivo terroristi e basi di
addestramento di Al Qaeda. «Un’operazione del genere rischia di provocare
un disastroso effetto ricaduta sulle popolazioni musulmane dell’intera
Africa», è il commento di una fonte vicina alla Farnesina. Tutto dovrebbe
prendere il via entro il mese prossimo e sarebbe la seconda mossa di questa
«lunga guerra contro il terrorismo», come l’ha definita il presidente
americano Bush.
Una mossa del cavallo, con il salto di alcune aree ritenute «roventi» come
l’Iraq, lo Yemen e il Sudan, un’«operazione chirurgica» alla quale
potrebbero anche dover partecipare gli aerei Harrier del «Garibaldi» e gli
elicotteri. Niente a che vedere con la missione di pace, quella chiamata
«Ibis», che costò - non soltanto agli italiani - «sangue, sudore e
lacrime». Perché la Somalia? Perché viene ritenuta retrovia ideale per il
terrorismo. Ed è dall’inizio degli Anni Novanta che gli americani, usciti
un po’ ammaccati da Restore Hope e dagli scontri con i «signori della
guerra», la tengono sotto osservazione.
Così, in questa ottica, appare non casuale che sei giorni dopo l’attentato
alle Torri Gemelle sia stato sgomberato il personale delle Nazioni Unite e
dell’Unione Europea. In alcune zone del Paese, soprattutto a Nord attorno a
quello che gli anglosassoni chiamano Puntland e gli altri Migiurtinia, la
presenza dei fondamentalisti islamici sarebbe profondamente radicata. È,
quella, un’area neppure sfiorata dai militari occidentali durante Restore
Hope, ricorda Enzo Loiacono, un alto ufficiale profondo conoscitore della
Somalia. E proprio attorno al Corno, al porto di Bender Cassim, detto
Bosaso, e sulle montagne dell’entroterra, a Las Quoay, potrebbero trovarsi
i campi di addestramento per i cosiddetti «guerrieri di Allah».
È in quelle lande, già frugate dagli aerei da ricognizione della Us Navy,
che i nostri militari dovrebbero «cacciare». Un’altra area minata è a Sud,
a Ras Kamboni, non troppo lontano dal porto di Chisimaio. Nei dintorni
imperversano le bande del «generale Morgan», genero dell’antico dittatore
Siad Barre, disponibile, si dice, a vendersi al miglior offerente. Finora
lo sarebbe stato Bin Laden; domani, vedremo. Molte cose avrebbero
contribuito a facilitare il diffondersi del verbo non del Profeta ma di
Osama bin Laden. Una rete di organizzazioni, che dovrebbero avere come
scopo la carità ai bisognosi, in realtà farebbe da copertura a questa
«Spectre» islamica.
La più attiva sarebbe il movimento integralista Al Ittihad al Islamya: una
potenza economica, in Somalia, capace di condizionare larghi strati
dell’economia. Ma non solo; e la Casa Bianca l’ha inserita nell’elenco
delle undici organizzazioni che hanno legami stretti con i signori del
terrore. Talmente stretti che nelle sue fila militerebbero 6 mila armati
pronti a dare battaglia al mondo. E si ricorda ora come fossero attivi, nel
‘93, quelli di Al Ittihad, e proprio loro, si dice, sarebbero stati gli
autori dell’abbattimento di due elicotteri americani e dell’uccisione di
diciotto marines. In un caso la barbarie superò la peggior fantasia:
tagliato a pezzi, il corpo di un militare venne venduto sui banchi del
«Bakara market»: e la parola d’ordine, in quei giorni a Mogadiscio, era di
non acquistare carne.
E si ricorda pure come Al Ittihad si sia guadagnata i sospetti per una
serie di atti terroristici in Etiopia e per aver organizzato il trasporto
verso il Kenya dell’esplosivo usato nell’estate ‘98 contro le ambasciate
statunitensi di Nairobi e Dar-es-Salaam. Insomma, Mohamed Ibrahim Suley,
considerato il luogotenente di Hassan Dahir Uveis, padre fondatore del
gruppo, è oggi un ricercato eccellente. La trama del terrore sarebbe in
ogni modo ancora più fitta e un mese fa gli americani hanno accusato anche
Al Barakaat e Somalia Internet Company di finanziare Al Qaeda.
La Stampa on line 6/12/01