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pc: Contro il terrore c'è solo la saggezza



IL SOCIOLOGO DELLA COMPLESSITA' EDGAR MORIN DI FRONTE AL MONDO IN GUERRA
DOPO L'ATTACCO DELL'11 SETTEMBRE
Morin: "Contro il terrore c'è solo la saggezza"
LA STAMPA
25 novembre 2001
di Edgar Morin

"Il contrario della violenza Non è la dolcezza è il pensiero" (Etienne
Baulieu, autore)

INNANZITUTTO, una questione di vocabolario Terrorismo. La nozione di
terrorismo vale per l'internazionale jihadista Al Qaeda, che agisce
attraverso attentati e massacri di popolazioni civili, ma è riduttiva
quando si applica alle forme violente di resistenza nazionale, private dei
mezzi democratici per esprimersi. Il termine utilizzato dai nazisti per gli
uomini della resistenza europea era riduttivo, così come Putin l'ha
applicato alla resistenza cecena, che comporta evidentemente un braccio
terrorista, ma non si riduce a quello.
La violenza di Stato che colpisce un popolo insieme a quanti si ribellano è
essa stessa una violenza di terrore. Al Qaeda costituisce uno stadio nuovo
del terrorismo. La globalizzazione tecno-economica ha permesso una
globalizzazione terrorista, e con questa globalizzazione si è trasformata
in minaccia mondiale. Islamista. Il termino è ricco di malintesi. Poiché in
origine designava qualunque credente nell'Islam, "islamista" è diventato
per molti occidentali sinonimo di fanatico. Troppo vicino a islamico
(termine che designa ciò che concerne l'Islam), rischia di contaminarsi in
fanatismo e terrorismo.
Di fatto l'islamismo, quando comporta il ritorno al Corano e l'applicazione
della sharia, implica un rifiuto della civiltà occidentale, ivi compresi il
liberalismo politico e la democrazia. Non implica però di per sé guerra
santa e terrorismo, benché si possa scivolare dall'islamismo allo
jihaddismo. Una contaminazione analoga colpisce il termine fondamentalista
(che di per sé non è aggressivo). Quanto all'internazionale jihaddista di
Al Qaeda, si tratta di una devianza religiosa allucinata, alla quale non
può essere ridotto l'Islam. Il termine islamista, così com'è usualmente
impiegato nei media occidentali, riduce però qualunque islamico a islamista
e qualunque islamista a potenziale terrorista, il che impedisce di vedere
il volto complesso dell'Islam.
Qualunque errore di pensiero conduce a errori di azione che possono
aggravare i pericoli che si vogliono combattere. Occorre pensare nella loro
complessità non solo l'Islam ma anche gli Stati Uniti, Israele, la
globalizzazione stessa, riconoscendo le contraddizioni incluse in ciascuno
dei termini. Gli Stati Uniti, la più antica democrazia del globo, sono una
società aperta e per questo ormai vulnerabile. Hanno salvato l'Europa
occidentale dal nazismo, l'hanno protetta dall'Urss che era ben lungi
dall'essere una tigre di carta. Hanno soccorso le popolazioni islamiche in
Bosnia e in Kosovo. Gli Stati Uniti non sono responsabili della micidiale
guerra Iran-Iraq, del terrore in Algeria, di tutti i conflitti inter-arabi.
La loro cultura non si riduce ai McDonald's né alla Coca-Cola, ma si è
mostrata creativa nella scienza, nella letteratura, nel cinema, nel jazz,
nel rock. E l'America si europeizza tanto quanto l'Europa si americanizza.
Gli Stati Uniti sono una potenza imperialista che domina attraverso le armi
e l'economia. La sua democrazia non le impedisce affatto di appoggiare i
dittatori, quando lo esige il suo interesse. Il suo umanesimo comporta un
compito cieco di inumanità: hanno praticato bombardamenti spaventosi sulle
città tedesche, le ecatombi di Hiroshima e Nagasaki. I bombardamenti
continui dell'Afghanistan rivelano un altro terrorismo, che colpisce
popolazioni civili vittime non solo delle bombe o dei missili sganciati da
troppo alto o da troppo lontano, ma della paura e della carestia che le
costringe all'esodo.
Sensibili alla sofferenza delle cinquemila vittime del World Trade Center,
gli americani sono insensibili ai disastri umani che i loro bombardamenti
infliggono alle popolazioni afghane. Non hanno consapevolezza della
contraddizione che comporta il terrore dei loro bombardamenti
antiterroristi. Le due torri orgogliose erano iper-reali e al tempo stesso
iper-simboliche; erano l'incarnazione e il simbolo della ricchezza, della
potenza americana, del suo capitalismo e della sua democrazia, del suo
dominio e della sua apertura; la statua della Libertà era diventata
un'allegoria ancillare.
Il loro crollo ha aperto un buco nero incommensurabile nella nostra visione
non solo di Manhattan ma anche del mondo. Per alcuni, è una ferita inflitta
all'imperialismo americano e al capitalismo, per altri è una breccia aperta
nella democrazia e nella civiltà: due verità antagoniste, ma complementari.
Certo, gli Stati Uniti suscitano aspirazioni nel mondo dei miseri, compresa
quella a emigrare in casa loro, e innumerevoli desideri di entrare nella
loro civiltà; ispirano rispetto e obbedienza ai loro vassalli, e il senso
di solidarietà occidentale resta potente in Europa. Al tempo stesso però -
in questo mondo dei miseri - la contemplazione della loro ricchezza e della
loro prosperità, della propria mancanza e della propria miseria, suscita
una frustrazione immensa.
Il loro dominio provoca infinite umiliazioni, un complesso d'inferiorità
tecnico (Sud del mondo), un complesso di superiorità culturale (Europa),
che risvegliano l'animosità. Il mal-sviluppo di cui hanno sofferto tanti
Paesi è attribuito all'iper-sviluppo economico americano. L'estrema
indigenza alimentare, medica, alla quale sono ridotte immense popolazioni
disarmate di fronte alle epidemie e all'Aids nutrono risentimenti verso le
popolazioni ipernutrite, ipercurate dell'Occidente, e soprattutto degli
Stati Uniti. Là dove c'erano antiche e gloriose civiltà che oggi si sentono
sminuite o minacciate, il mondo americano suscita allergie, inimicizie,
aggressività. Le conseguenze nefaste della liberalizzazione del mercato
mondiale, l'aumento delle ineguaglianze, le crisi economiche multiple
aggravano il rancore. Negli spiriti su cui ha regnato o ancora regna la
vulgata marxista-leninista, il modello del socialismo "reale" è certamente
crollato, ma la convinzione che il capitalismo e l'imperialismo americano
sono il male assoluto resta. Hanno conservato la demonizzazione
dell'America, faro del capitalismo e dell'imperialismo, ignorando che il
comunismo sovietico fece peggio del capitalismo, ignorando le virtù della
democrazia e i vizi del totalitarismo, ignorando che l'imperialismo
americano è meno atroce degli imperialismi passati, soprattutto di quello
sovietico.
Così l'insieme dei risentimenti nati nelle parti più diverse del pianeta
suscita un odio fantastico e a volte fantasmatico per gli Stati Uniti,
colpevoli di tutti i mali del pianeta. Signori del mondo (cosa che non sono
particolarmente), sono considerati responsabili dei mali del mondo (cosa
che sono ancora più parzialmente). Anzi, il male supremo di questo
Occidente che si è scatenato sul pianeta a partire dal XVI secolo, l'ha
conquistato, colonizzato, sfruttato e ha sterminato intere popolazioni.
Però, anche qui, è necessario tenere insieme due verità opposte. Se è vero
che la dominazione dell'Occidente è stata la peggiore della storia
dell'uomo per durata ed estensione planetaria, occorre anche dire che tutte
le componenti dell'emancipazione degli asserviti sono nate e si sono
sviluppate in seno all'Occidente. E hanno permesso l'emancipazione dei
colonizzati, quando costoro si sono impadroniti dei valori umanisti
dell'Europa occidentale: diritti dell'uomo, diritti dei popoli, diritto a
una nazione, democrazia, diritti delle donne.
Si può anche dire che il ritardo di una gran parte del mondo a integrare la
democrazia, i diritti umani, il rispetto dei diritti delle donne,sia una
delle cause dello stato periglioso del mondo attuale. Neppure l'Islam può
essere ridotto a una visione unilaterale. La storia ci ha insegnato
chiaramente che la tolleranza religiosa è stata dell'Islam verso i
cristiani e gli ebrei tanto in Andalusia quanto nell'impero ottomano.
L'Islam diede vita alla più grande civiltà del mondo al tempo del califfato
di Baghdad. La nostalgia del passato glorioso in un presente sfortunato,
sotto il peso di dittature corrotte poliziesche o militari, dopo il
fallimento dello sviluppismo, del socialismo, del comunismo, l'assenza di
speranza nel progresso e in un futuro occidentalizzato, tutto questo induce
un ritorno alle radici religiose dell'identità. In più, la frustrazione si
gonfia di umiliazione e rabbia davanti all'umiliazione e alla repressione
quotidianamente sopportate dai palestinesi, all'ingiustizia subita (due
pesi e due misure in Israele-Palestina) nell'impotenza degli Stati arabi,
vassalli o no. L'appoggio incondizionato accordato dagli Stati Uniti a
Israele porta a considerare Israele come lo strumento dell'America e a fare
dell'America lo strumento di Israele e, in senso più lato, degli ebrei.
Questa identificazione aggravato dallo "sharonismo" è fatale sia
all'America che a Israele.
Nella situazione attuale la frustrazione, il risentimento, la nostalgia di
una grande civiltà passata risuscitano il sogno dell'Umma, la grande
comunità islamica transnazionale, e fanno di un miliardo di musulmani un
vivaio mondiale dove si possono reclutare i guerrieri della Jihad. Per
tutta una gioventù, dal Maghreb al Pakistan, Bin Laden è un superman della
fede che ha decapitato le torri di una Babele che era anche Sodoma e
Gomorra: è un annunciatore della redenzione dell'Islam, della resurrezione
dell'Umma, del ritorno del califfato. E' nato un nuovo messianismo, di cui
non si possono ancora misurare gli sviluppi. All'inverso, ci sono anche le
aspirazioni verso il meglio della civiltà occidentale contemporanea: le
autonomie individuali, le libertà politiche, il diritto alla critica,
l'emancipazione della donna. La vera battaglia si combatte nello spirito di
un gran numero d'islamici, molti dei quali vogliono salvaguardare la loro
identità, il rispetto delle loro tradizioni e l'accesso alle possibilità e
ai diritti di cui godono gli occidentali. La vittoria andrà a chi saprà
fare la sintesi tra l'identità culturale e la cittadinanza planetaria.
Nazione-rifugio, emancipatrice di ebrei ma spoliatrice di palestinesi,
minacciata di sterminio alla sua nascita dai vicini arabi ma diventata
militarmente più potente di loro, sempre incerta della sua sopravvivenza ma
sempre più crudelmente oppressiva del popolo palestinese, Israele tende a
legare la sua esistenza a una dominazione che esacerba l'odio arabo; esita
a impegnarsi nella via aleatoria che le permetterebbe un inserimento nel
Medio-Oriente, riconoscendo uno Stato palestinese con le frontiere del
1967. Soprattutto nel corso dell'ultima Intifada. gli eredi degli ebrei,
che hanno subito duemila anni di umiliazioni e persecuzioni, sono diventati
persecutori capaci di ghettizzare i palestinesi, di esercitare la
responsabilità collettiva su famiglie e civili, in breve di fare dei
palestinesi degli umiliati e offesi come lo erano stati i loro antenati. La
questione israelo-palestinese è diventata il cancro non solo del Medio
Oriente, ma delle relazioni Islam-Occidente, e le sue metastasi si
diffondono molto rapidamente in tutto il pianeta. L'intervento
internazionale per garantire la nascita, l'esistenza e la vitalità di uno
Stato palestinese è diventato di urgenza vitale per l'umanità. Nel corso
dell'ultimo decennio, una società-mondo è emersa a metà; ha la sua rete di
comunicazioni (aereo, telefono, fax, Internet) già ramificata ovunque; ha
la sua economia di fatto mondializzata, ma senza i controlli di una società
organizzata; ha la sua criminalità (mafia, soprattutto della droga e della
prostituzione); ha ormai il suo terrorismo. Non dispone però di
un'organizzazione, del diritto, dell'istanza di potere né di regole per
l'economia, la politica, la polizia, la biosfera. Non c'è ancora la
coscienza comune di una cittadinanza planetaria.
La mondializzazione del terrorismo costituisce uno stadio di realizzazione
della società-mondo, perché Al Qaeda non ha né centro statale né territorio
nazionale, ignora le frontiere, trasgredisce gli Stati e si ramifica in
tutto il globo; la sua potenza finanziaria e la sua forza armata sono
transnazionali. Dispone, meglio che di uno Stato, di un centro occulto
mobile e nomade. La sua organizzazione utilizza tutte le reti già posate
della società-mondo. La sua mondialità è perfetta. La sua guerra religiosa
è una guerra civile in seno alla società-mondo. Questa macchina del terrore
senza frontiere, ramificata nel mondo intero, nutrita di frustrazioni e
disperazioni immense, animata da una fede allucinata, improvvisamente ha
rivelato un potere devastante, là dove la violenza omicida di una barbarie
fanatica ha potuto utilizzare i progressi più raffinati della barbarie
tecnica. La lotta contro Al Qaeda non è competenza della guerra (sempre tra
nazioni) ma di una polizia e di una politica. Bombardando l'Afghanistan,
una metafora di guerra è trasformata in realtà di guerra (Max Pagès), si
fanno le vittime di una guerra, e questo a detrimento di un'azione adeguata
alla lotta contro un nemico planetario ramificato, che necessita di
un'azione planetaria comune ben più complessa. Lasciata a se stessa, la
dinamica nata dall'11 settembre moltiplica e aggrava i rischi. Rischio
economico. L'interdipendenza propria del mercato globale determina una
fragilità aggravata dall'assenza di un vero sistema di regolazione;
un'eventuale a crisi generalizzata sarebbe il brodo di coltura di nuove
dittature, o di totalitarismi, come lo fu la crisi del 1929. In senso più
lato, l'interdipendenza di tutto ciò che costituisce l'era planetaria
fragilizza il destino stesso del pianeta. Rischio isterico. La minaccia
permanente e multiforme sugli Stati Uniti, lo scatenamento
dell'anti-americanismo, non possono che favorire sovreccitazioni isteriche
che esacerbano i manicheismi e le demonizzazioni reciproche. Il cancro
israelo-palestinese si aggrava: le sue metastasi saranno irrimediabili, se
non c'è soluzione rapida al conflitto. L'onda anti-israeliana, diventata
antisemita e antiamericana, risuscita le visioni medievali europee degli
ebrei bevitori di sangue di bambino, inquinatori degli spiriti e dei corpi
(untori dell'Aids), che agiscono perfidamente per dominare il mondo. La
condotta di Sharon non è soltanto cattiva, ma porta Israele al suicidio,
magari accompagnato dai fuochi d'artificio di duecento testate nucleari
israeliane che distruggerebbero gran parte dell'umanità araba. L'incapacità
degli Stati Uniti, delle nazioni europee, delle Nazioni Unite, di imporre
ai combattenti un intervento militare internazionale, separando i due
territori secondo le frontiere del 1967, porterebbe a una catastrofe
storica di un'ampiezza mai vista. Sotto l'effetto dell'onda di choc
benladenista, si può immaginare il disfacimento a catena degli attuali
regimi islamici, a beneficio non della democrazia ma del fanatismo
religioso. Infine, quel rischio nucleare, batteriologico, chimico, che
planava altissimo sopra il pianeta, ora è diventato visibile, pressante,
urgente. Il XX secolo ha visto saldarsi l'alleanza tra due barbarie, quella
di distruzioni e massacri venuti dal fondo delle età storiche e quella
interna alla nostra civiltà, venuta dal regno anonimo e gelato della
tecnica, di un pensiero che ignora tutto ciò che non è calcolo e profitto.
Il binladenismo costituisce una nuova alleanza tra le due barbarie. Ciò
detto, non dobbiamo nasconderci che esiste una barbarie insita nella nostra
civiltà, che questa civiltà produce delle forze di decomposizione e di
morte, e che al nostro iper-sviluppo scientifico e tecnico corrisponde un
sotto-sviluppo mentale e morale. Eppure questa civiltà dispone ancora di
due virtù insostituibili: laicità e democrazia, ancorché atrofizzata. Gli
Stati Uniti, e in senso lato l'Occidente, oscillano tra due vie: quella
della follia, che prima o poi porta alla catastrofe, e quella della
saggezza, difficile e aleatoria. La via della follia è la via della
crociata, della demonizzazione, del manicheismo cieco (perché c'è del male
nel bene ma anche del bene nel male) e, amplificando l'isteria di guerra, è
la via dei massacri di massa da una parte e dall'altra. Invece la
consapevolezza dei pericoli può essere un colpo di frusta per andare lungo
la via della saggezza. Questa via comporta la presa di coscienza decisiva
della solidarietà tra uomini e della comunione del destino planetario. Più
che "siamo tutti americani", siamo tutti figli e cittadini della Terra.
E dagli Stati Uniti dovrebbe alzarsi il grido "non siamo solo americani".
La via della saggezza comporta la consapevolezza che non solo, come
ricordava Paul Valéry dopo la prima guerra mondiale, le civiltà sono
mortali, ma che la stessa umanità planetaria è mortale e che oggi la sola
alternativa alla democrazia è l'odio. Perché nient'altro se non l'odio può
trionfare nella distruzione della democrazia. La via della saggezza
comporta il riconoscimento di questo principio etico minimo: non avremo mai
un mondo nobile attraverso mezzi ignobili.
La via della saggezza comporta la consapevolezza che la costruzione di una
società-mondo è diventata vitale; solo una società-mondo può rispondere a
un terrore-mondo. Di qui la necessità di andare oltre l'ideologia
economista che dà al mercato mondiale la missione di regolare la
società-mondo, mentre è la società-mondo che deve regolare il mercato
mondiale. Il nuovo tipo di guerra necessita un nuovo tipo di pace. Comporta
la necessità di dichiarare la pace all'Islam dichiarando la guerra al
terrorismo, al fine di separare radicalmente i fanatici allucinati
dall'insieme degli islamici, il che richiede l'instaurazione di una pace
equa in Medio Oriente. Una politica confederale planetaria deve sostituirsi
a un politica imperialista. E' importante che nascano grandi insiemi
confederali, le grandi province del pianeta - soprattutto un grande insieme
arabo-islamico che si riallacci al califfato in termini contemporanei. Una
politica della civiltà è la sola risposta alla guerra delle civiltà.
Concretamente, un piano Marshall per le zone più disastrate della
società-mondo; una mobilitazione massiccia della gioventù dei Paesi ricchi
per aiutare sul posto i Paesi diseredati; un'agenzia mondiale della sanità
per le popolazione incapaci di far fronte alle spese mediche. Infine, il
nuovo tipo di guerra necessita un centro mondiale di lotta
contro-terrorista adeguatamente ramificata. La politica americana ha
cominciato zigzagando tra follia e saggezza, tra guerra imperialista e
guerra confederale, tra regressione di coscienza e presa di coscienza.
L'intervento pesante e continuo in Afghanistan va però nella cattiva
direzione, anche se è ancora aperta la seconda via. E' venuto il tempo di
rispondere alla sfida della complessità planetaria, di riconoscere le
relazioni e le retroazioni tra il tutto e le parti. Siamo tutti invitati a
una grande lotta spirituale. Lo spirito umano porta in sé i mali peggiori -
l'incomprensione la cecità, l'illusione, la follia - ma anche la
possibilità della razionalità, della lucidità, della comprensione, della
compassione. Forse dovremo avanzare ancora verso l'abisso perché ci sia un
autentico soprassalto di salvezza, perché la società-mondo si trasformi in
società delle nazioni e delle culture unite contro la morte. Purché non si
sprofondi, la catastrofe diventa l'ultima opportunità.