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La nonviolenza e' in cammino. 274
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 274 del 31 ottobre 2001
Sommario di questo numero:
1. La guerra continua
2. Marco Revelli, la grandezza umile di Aldo Capitini
3. Patrizia Pasini, proposta per una giornata di silenzio e digiuno
4. Maria Grazia Giannichedda ricorda Franco Basaglia
5. Marco D'Eramo intervista Nancy Scheper-Hughes
6. Giulio Vittorangeli: Hurbinek
7. Marianne Moore: quasi sapessero
8. Alcune iniziative contro la guerra
9. A Palermo il 7 novembre giornata di studio su Lanza del Vasto
10. Due appuntamenti del Movimento Nonviolento
11. Letture: Marco Belpoliti, Primo Levi
12. Letture: Giovanni Berlinguer, Volnei Garrafa: La merce finale
13. Letture: Denis McQuail, Sociologia dei media
14. Riletture: Ernst Bloch, Il principio speranza
15. Riletture: Jean Marie Domenach, Emmanuel Mounier
16. Riletture: Jacqueline Risset, La letteratura e il suo doppio
17. La "Carta" del Movimento Nonviolento
18. Per saperne di piu'
1. RIFLESSIONE. LA GUERRA CONTINUA
La guerra continua. Continuano le stragi. E nuovi orrori con tutta evidenza
ne germineranno. Ovunque.
Occorre intensificare, approfondire, illimpidire il nostro impegno contro la
guerra, contro il terrorismo, per la legalita' e il diritto alla vita di
ogni essere umano.
Occorre un piu' persuaso e persuasivo impegno per la nonviolenza, con la
nonviolenza, per fermare gli omicidi di massa in corso, per richiamare tutti
all'impegno per la dignita' umana, per la civilta' umana.
Fermare la guerra al piu' presto, e' il compito urgente ed ineludibile per
cui deve adoperarsi ogni persona di volonta' buona.
2. RIFLESSIONE. MARCO REVELLI: LA GRANDEZZA UMILE DI ALDO CAPITINI
[Questo intervento abbiamo ripreso dal sito del Movimento Nonviolento
(www.nonviolenti.org), che a sua volta lo ha ripreso da "Vita"
(redazione@vita.it). Marco Revelli e' uno degli intellettuali piu'
rappresentativi dei movimenti impegnati per la giustizia globale contro il
"pensiero unico" neoliberista]
Capitini ci indica un percorso per potenziare le proprie aperture verso gli
altri in una rete di realazioni che facciano tutti artefici della
realizzazione di cio' che ha valore.
Il pensiero di Aldo Capitini, anche quello piu' specificamente "politico",
e' un pensiero complesso, articolato, potremmo dire a molti strati. Un
pensiero che si sviluppa per cerchi concentrici, con al centro, senza
dubbio, come motore e fulcro, la nonviolenza: l'opzione non solo tattica,
pratico-operativa, ma fondante, eticamente e filosoficamente decisiva, per
il metodo nonviolento. E poi, con spirali via via piu' ampie, diversi
livelli di riflessione e diversi tipi di proposte, tutte riferibili a
un'idea guida, a una grande intuizione che possiamo sintetizzare nella
percezione forte, sempre presente, dell'unita' sostanziale del genere umano.
Dell'Umanita' come soggetto unitario di storia e di diritti, come
"totalita'" compresente, al di la' di ogni possibile distinzione di etnia,
cultura, opinione politica, collocazione sociale.
A quell'idea di umanita', e al sentimento che non puo' non accompagnarla, il
senso della socialita', dell'apertura all'altro, a ogni altro, per quanto
lontano da noi possa essere, sono improntate le sue piu' significative
proposte, sul piano organizzativo, amministrativo, istituzionale, la stessa
idea, originalissima, di democrazia che lo anima, fino agli strati densi
della sua visione dove la sfera politica trascolora in quella religiosa e la
riflessione storica in quella etico filosofica.
* Un confronto tra diversi
Nel cerchio piu' esterno, a un livello, se cosi' si puo' dire, piu'
"superficiale" troviamo la proposta "organizzativa" di Capitini: l'idea di
quei Centri di orientamento sociale che, nella sua visione, avrebbero dovuto
non sostituire, ma precedere la struttura dei partiti politici, e funzionare
come primo, fondamentale momento di educazione del popolo alla teoria e alla
pratica della vita democratica. Luoghi di libera discussione, d'incontro tra
tutti i cittadini, nessuno escluso, aggregati non per omogeneita' di
posizione politica o ideologica, o di adesione a programmi, come appunto nel
"partito", ma in quanto persone senza altra determinazione: non associazioni
di simili, di identita' omogenee, ma, al contrario, spazi pubblici
d'intersezione e confronto tra diversi.
A un secondo livello, in un secondo cerchio, piu' profondo e in qualche modo
piu' "denso", si colloca il concetto di "Onnicrazia", il potere di tutti, o
meglio: il potere "esercitato da tutti", nel quale si sostanzia un grado
piu' alto di "apertura" delle societa' e degli individui; una piu' ampia
accettazione dell'altro come coattore nella pratica dei valori: quell'idea
tipicamente capitiniana della "presenza di tutti" nel processo storico che
si va facendo e insieme nell'orizzonte di chiunque intenda operare per il
valore.
E se la dimensione del Centro opera per saldare i cittadini alla vita
amministrativa, quella dell'Onnicrazia opera per tradurre l'agire pubblico
in valori, in pratica di valori che trascendano gli individui atomi e lo
introducano in una sfera di esperienza collettiva nella quale nessuno venga
sacrificato, o ignorato, ma tutti partecipino dell'essere, appunto,
"presenti".
Infine vi e' un terzo livello, un terzo cerchio, il piu' interno e il piu'
profondo del sistema di Capitini, in cui l'idea di totalita' del genere
umano (nel senso della appartenenza di tutti gli uomini all'orizzonte di
ognuno) raggiunge il suo piu' compiuto svolgimento acquistando un senso
pienamente rivoluzionario, di rottura radicale con l'ordine di cose e di
pensiero esistente, ed e' quello in cui si introduce il concetto di "realta'
di tutti". In cui cioe' si sviluppa l'idea di un radicale mutamento di
atteggiamento e di mentalita' (una metamorfosi radicale della soggettivita')
fondato sulla totale apertura dell'Io agli altri.
A tutti gli altri, non solo coetanei, ma alle stesse generazioni presenti e
future, ai defunti e ai posteri, agli abitanti di ogni "aldila'" e persino
alle creature che si collocano al di fuori del genere umano.
* La figura del Persuaso
E' il livello che ci introduce alla figura del "Persuaso": una figura
cruciale nel pensiero di Aldo Capitini perche' incarna non solo l'idea della
piu' radicale delle rivoluzioni realizzata attraverso un mutamento estremo
di se', del proprio modo di rapportarsi a cio' che ci circonda, all'insieme
delle relazioni che ci collegano alla realta' come totalita' vivente, ma la
stessa possibile risposta (forse l'unica non disperata) al problema che ha
travagliato e disseminato di orrori il secolo ventesimo: il problema della
finitezza, della fragilita' e della morte degli individui divenuti, dentro
il processo di modernizzazione accelerato, ognuno un "mondo", l'unico mondo
immaginabile.
Da quel trauma era nato l'ipersoggettivismo, il narcisismo, l'aggressivita',
la violenza e la distruttivita' del secolo in cui l'uomo in senso proprio
finiva per "vivere per la morte" (propria e altri). Capitini ci indica, qui,
un fragile, ancora incerto percorso di uscita alternativo attraverso la
possibilita' per l'uomo di farsi mondo, di attivare e potenziare le proprie
aperture verso gli altri fino a incorporarsi a essi in una rete di relazioni
che comprendano tutti, e facciano tutti e ognuno solidalmente responsabili e
artefici della realizzazione di cio' che per l'uomo "ha valore". Il
"Persuaso" e' appunto colui che "vive in mezzo alla tragedia del mondo come
Cristo e sente continuamente l'ombra che taglia la vita, la felicita', il
piacere, ma popola l'ombra di una presenza superiore, quella dei lontani,
degli afflitti, dei morti".
E' l'"uomo moltitudine", "la coralita' che entra nella voce dell'individuo".
Non colui che di fronte al conflitto e alla morte si chiama fuori, si separa
dagli altri, distingue il proprio mondo dal loro, ma colui che si mette in
mezzo, e partecipa degli orrori e degli errori di tutti, sentendoli propri.
Colui che con tutti, soprattutto, cammina.
3. INIZIATIVE. PATRIZIA PASINI: PROPOSTA PER UNA GIORNATA DI SILENZIO E
DIGIUNO
[Da suor Patrizia Pasini riceviamo e diffondiamo questo appello rivolto alle
congregazioni della vita religiosa impegnate per la pace. Per contatti:
"antenna italiana di Africa Europe Faith Justice Network (AEFJN)", tel.
0688641494, fax: 0688641492, e-mail: delc.mc@pcn.net]
Nella riunione del 24 ottobre, l'antenna italiana di "Africa Europe Faith
Justice Network" (AEFJN) propone e promuove una giornata di silenzio e
digiuno da proporre alle nostre Congregazioni.
* Motivazioni
Viviamo momenti di grande incertezza e paura. Questo tipo di globalizzazione
e di capitalismo sfrenato hanno creato grandi disuguaglianze, sofferenze,
ingiustizie. Le nostre congregazioni lavorando nel sud del mondo sono
testimoni, ogni giorno, di queste sofferenze e ingiustizie.
Il fondamentalismo, il terrorismo e le mafie, trovano nella corsa al
profitto, a qualunque costo, e nella poverta' disperata e umiliante inflitta
a tanti popoli, un terreno fertile per espandersi, e peggio: per farci
credere che violenza, sfruttamento, sopraffazione sono percorsi
inevitabili al progresso e che la guerra puo' essere considerata umanitaria
e inevitabile.
La denuncia di queste ingiustizie e menzogne sarebbe importante
accompagnarla con gesti forti, comunitari, alternativi, propri della
profezia evangelica.
* Modalita' proposta
Ogni Comunita' o gruppo potrebbe scegliere una giornata durante l'Avvento da
dedicare al silenzio e al digiuno:
Silenzio come solidarieta' e protesta con i poveri resi silenziosi e
invisibili dalla violenza economica e militare.
Silenzio come spazio per riflettere criticamente e formulare un nostro punto
di vista e una nostra pressione su terrorismo, fondamentalismo islamico e
sulla guerra.
Silenzio per riflettere su stili di vita piu' sobri, solidali e nonviolenti.
Silenzio come spazio per stare in umilta' alla presenza di Dio.
Digiuno come solidarieta' con chi ogni giorno soffre la fame e la sete.
Digiuno come segno e impegno per una vita piu' sobria.
Digiuno come segno di purificazione dagli sprechi e dal consumismo.
Si suggerisce anche il digiuno dell'atto conviviale di sedersi a tavola,
mettendoci cosi' nella condizione di chi veramente non puo' sedersi a
tavola perche' non ha niente da condividere e da mangiare.
La preghiera semplice, silenziosa, contemplativa potrebbe essere la
caratteristica di questa giornata, dove si sta davanti a Dio nella poverta'
carica delle nostre responsabilita' di violenza e diritti rifiutati, ma
anche di filiale certezza che Dio e' "Abba" e che stare silenziosi e umili
alla Sua Presenza e' la cosa piu' grande che una persona umana possa fare.
Il ricavato della giornata di digiuno la Comunita' lo potrebbe consegnare ad
un progetto a favore delle donne nei campi profughi dell'Afghanistan.
4. MEMORIA. MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA RICORDA FRANCO BASAGLIA
[Maria Grazia Giannichedda e' stata una delle principali collaboratrici di
Franco Basaglia, uno dei nostri maestri piu' grandi. Questo intervento e'
apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 28 ottobre]
Da qualche settimana in libreria, e' gia' arrivato alla seconda edizione
questo primo lavoro monografico su Franco Basaglia pubblicato da Bruno
Mondadori (Franco Basaglia, pp. 328, lire 26.000). Gli autori, Mario Colucci
e Pierangelo Di Vittorio, sono due giovani pugliesi che si sono formati a
Trieste, dove Colucci continua a lavorare come psichiatra nel Dipartimento
di salute mentale e dove pure il filosofo Di Vittorio ha lavorato, nell'area
della riabilitazione. I due hanno in comune anche l'appartenenza al gruppo
che da diversi anni Pier Aldo Rovatti anima, attraverso la rivista "Aut-aut"
e i corsi di filosofia all'universita' di Trieste, dove gia' nel 1995 il
Laboratorio di filosofia contemporanea aveva promosso, con il Centro Studi
dei servizi di salute mentale, un ciclo di seminari sul pensiero di Franco
Basaglia (Follia e paradosso, Edizioni E, Trieste 1995) che sono un po'
all'origine di questo libro, voluto dalla Bruno Mondatori per una collana di
monografie su figure chiave del nostro tempo.
Colucci e Di Vittorio non hanno conosciuto Basaglia perche' hanno meno di
quarant'anni. Hanno pero' condiviso e contribuito a far vivere uno dei
luoghi dove sono piu' espliciti il riferimento a Basaglia e il tentativo di
tradurre in pratica la sua cultura. Percio' hanno potuto inseguire Basaglia
attraverso i suoi scritti, provando a ricostruire la sua storia e in parte
il suo atteggiamento, da un lato con la sincerita' e la puntualita' di chi
vuole sapere cose che non sa ma dall'altro con una consapevolezza speciale,
che viene loro dal fatto di misurarsi in pratica con le questioni che
Basaglia pone e che lascia in gran parte aperte.
L'insolita consonanza culturale tra Basaglia e questi giovani, che viene
dalle comuni frequentazioni fenomenologiche, contribuisce poi a rendere
ulteriormente comunicanti i loro mondi, pure separati da un tempo in cui le
cose sono profondamente cambiate. Il risultato e' una bella occasione, oggi
tra l'altro particolarmente opportuna, per riflettere sulla modernizzazione
recente della societa' italiana attraverso uno dei suoi protagonisti piu'
originali e incisivi, uno dei pochi rimasti in gioco come riferimento
imprescindibile, anche se imbarazzante, per le politiche pubbliche.
La riflessione su Franco Basaglia e' molto povera nel nostro paese, e'
confinata nell'ambito di coloro che gli sono stati o si sentono omogenei, e'
ignorata nelle universita' e soprattutto nelle facolta' di medicina. Solo di
recente alcune universita' e scuole di specializzazione hanno promosso
seminari sull'ultima raccolta di scritti di Basaglia (Conferenze brasiliane,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2000), mentre la Societa' Italiana di
Psichiatria ha organizzato lo scorso anno un piccolo seminario a Venezia.
Eppure Basaglia e' ancora notissimo in Italia: la riforma psichiatrica e'
comunemente chiamata "legge Basaglia", tutti sanno che ha chiuso i manicomi
e molti hanno un'opinione su questo tema, anche se magari credono che
Basaglia fosse un ministro o un deputato. Anche fuori dall'Italia si parla
della "riforma Basaglia", e lo scorso aprile il ministro francese della
sanita' Bernard Kouchner ha detto di volerla importare. Eppure Basaglia e'
scomparso ventun anni fa, due anni dopo l'approvazione di una riforma che
dunque non certo ha contribuito a governare.
Neppure i governi che dovevano farlo hanno governato la "180", affidata
sempre a ministri avversi o indifferenti, se si eccettua la breve stagione
della seconda meta' degli anni Novanta, quando, per la prima e unica volta,
il parlamento e la ministro, Rosy Bindi, hanno tentato di governare una
sanita' ormai comunque largamente in mano ai poteri regionali. Cosi' in
questi vent'anni, la riforma psichiatrica e' stata gestita soprattutto "dal
basso", se cosi' si puo' dire, cioe' a livello di unita' sanitaria locale,
di citta', di province, a partire da esperienze di esplicita identificazione
con le radici basagliane della riforma, con una cultura che per molto tempo
e' stata di "movimento", anche quando coinvolgeva livelli dirigenziali
amministrativi e tecnici, costretti per cosi' dire all'atteggiamento
pionieristico dall'assenza di politiche che aiutassero e legittimassero la
transizione.
Negli anni Novanta le cose hanno cominciato a cambiare: c'e' stata la famosa
finanziaria del '94 (primo governo Berlusconi) che ha imposto la chiusura
definitiva dei manicomi, e' cessata la guerra di governo e parlamento contro
la legge, anzi c'e' stato l'impegno gia' citato del ministero Bindi, e ha
cominciato a farsi strada un ceto di tecnici, amministratori, familiari che
accettano di muoversi nel quadro della riforma, pur non riconoscendosi
necessariamente in culture di stampo basagliano. La prima conferenza
nazionale sulla salute mentale che si e' tenuta all'inizio di quest'anno non
e' pero' riuscita a dare a tutti costoro, e a chi in questi vent'anni la
riforma l'ha messa in praticata davvero, dei segnali convincenti di
assunzione di impegni verso la salute mentale. L'ex ministro della sanita'
Veronesi, come forse si ricordera', ha lanciato il discutibile allarme sui
dieci milioni di malati di mente nel nostro paese, riuscendo a far parlare
di se' ma a scontentare tutti.
La riforma psichiatrica e' rimasta cosi' la "legge Basaglia", e oggi si
assiste di nuovo, come vent'anni fa, all'uso denigratorio di
quest'espressione, con l'obiettivo di squalificare la cultura alle spalle
della riforma attribuendo ad essa tutti i mali del presente. A questo
atteggiamento sono molti quelli che oggi tendono a reagire con comprensibile
fastidio, sottolineando che prima che "padre della 180", Basaglia e' una
guida preziosa e attuale per chi vuole continuare ad aprire strade nuove, a
far avanzare la ricerca e la trasformazione della cultura, per chi non vuole
dimenticare quali siano le poste in gioco - sul piano esistenziale,
scientifico, politico e finanche economico - quando si parla di follia e di
psichiatria.
Questo e' certamente vero, e il libro di Mario Colucci e Pierangelo Di
Vittorio e' una conferma colta e documentata dell'attualita', della
ricchezza e dell'originalita' del pensiero e del lavoro di Basaglia. Ma
questo libro e' anche una ricostruzione attenta di come siano stati
profondamente integrati, nel pensiero politico e nell'azione di Basaglia, da
un lato la ricerca di una pratica fortemente innovativa, che potesse essere
"testimonianza che l'impossibile diventa possibile", e dall'altro la
tensione ad allargare l'ambito degli interlocutori, degli alleati, dei
coinvolti nel problema, per produrre cambiamenti di struttura nel rapporto
tra istituzioni e persone.
Basaglia non si accontento' di essere un bravo medico che nel proprio
microspazio poteva applicare tecniche nuove e piu' efficaci. Neppure era
interessato a una "modernizzazione senza qualita'": in tutto l'arco della
sua produzione, dai primi anni Sessanta agli ultimi testi del 1980, Basaglia
scompone le diverse esperienze e politiche riformiste che avevano
modernizzato la psichiatria inglese, quella francese e in piccola parte
quella nordamericana. Dimostra che il manicomio e il dispositivo giuridico
dell'internamento, cioe' il malato senza diritti nelle mani dello
psichiatra, anche se rimpiccioliti, anche se messi alla periferia del
sistema, continueranno a colonizzarlo, ad invaderlo, ad essere un buco nero
di risorse e di persone, a produrre seppure aggiornati nelle forme, stigma,
oppressione, esclusione.
Arriva cosi' a pensare (per la prima volta esplicitamente nel 1964) che si
deve realizzare una modernizzazione che distrugga il manicomio e che lo
escluda dal sistema delle risposte alla persona che sta male. Su questa
impresa Franco Basaglia si gioca interamente, accettando di compromettersi
anche con la sfida del governo, prima come direttore di grandi istituzioni
pubbliche a Gorizia, Parma e Trieste, poi, nell'ultimo anno della sua vita,
come responsabile per la salute mentale di una regione dura ed emblematica
come il Lazio, che aveva il piu' grosso manicomio metropolitano e la meta'
dei letti psichiatrici privati del paese.
E' molto istruttivo ripercorrere oggi, attraverso il testo di Colucci e Di
Vittorio e poi magari anche direttamente sulle parole di Basaglia, questo
suo coerente e ostinato percorso, che gia' venti e trent'anni fa lo rendeva
cosi' diverso nel panorama degli intellettuali che affascinavano i giovani e
i movimenti. Serve innanzitutto a riconoscere e a giudicare le diverse forme
di modernizzazione che convivono nel nostro paese, relativamente ingovernate
anche se spesso gia' consolidate a livello di regioni, e serve a riflettere
su come affrontarle.
Da una di queste modernizzazioni arriva il disegno di legge della deputata
di Forza Italia Burani-Procaccini che da un mese ha iniziato il suo percorso
alla commissione affari sociali della camera. Non si tratta affatto di un
ritorno a prima della riforma, al regime medico-liberale di inizio secolo,
siamo semmai alla fase precedente, quella dei grandi recinti assistenziali,
che qui diventano una rete di "strutture residenziali con assistenza
continuata", 50 posti letto ciascuna, per giovani dai 14 ai 25 anni, per
adulti e per anziani, "almeno 80 letti ogni 100 mila abitanti" tra pubblici
e privati. La logica di questa rete non e' l'intervento di cura ma
l'"assistenza terapeutica", che verrebbe erogata, "in regime volontario od
obbligatorio", ai malati "gravi e pericolosi per se' e per gli altri" e a
quelli "destinati all'ospedale psichiatrico giudiziario". Anche sul piano
delle garanzie formali il malato e' meno tutelato in questo progetto che
nella legge del 1904: si guardi ad esempio il "trattamento obbligatorio
d'urgenza", dove uno psichiatra, da solo, su richiesta di "chiunque abbia
interesse", ha il potere di sottoporre a cure obbligatorie per 72 ore una
persona che presenta "alterazioni psichiche tali da arrecare danno a se'
stessa o a terzi" o anche che sia "affetta da patologie fisiche che rifiuta
di curare".
Quale spazio puo' avere nella societa' di oggi una modernizzazione come
questa? Apparentemente non molto, se si guarda alle reazioni che sono state
messe in moto e che provengono anche da quei settori riformisti non
necessariamente basagliani di cui parlavo prima. La Societa' italiana di
psichiatria ha fatto un documento netto e chiaro di dissenso dall'ipotesi di
rimettere mano alla legge, le piu' importanti ed attive associazioni di
familiari, Unasam e Diapsigra, hanno preso le distanze, come hanno fatto del
resto nella seduta della scorsa settimana alcuni deputati di Alleanza
Nazionale della Commissione affari sociali. Il ministro della salute Sirchia
e il sottosegretario Guidi tacciono, sebbene sollecitati dalla deputata
Procaccini, che continua a essere la sola firmataria del disegno di legge,
come resta solo il deputato Ce' della Lega Nord autore di un progetto
analogo.
Non mancano pero' gli interessi ai quali una modernizzazione come questa
puo' far comodo. Sono ad esempio quelli dei proprietari di tristi cronicari
psichiatrici che la Regione Sicilia sta gia' finanziando travestiti da
clinica privata, novecento letti soltanto nella provincia di Catania,
sessanta miliardi all'anno. Per non parlare del privato sedicente sociale
che abbonda nel Sud ma non manca in Lombardia, Piemonte, Emilia, Veneto,
dove gestisce strutture intermedie che sono gia' piccoli manicomi, per
malati di mente, per anziani, per ragazzini con problemi.
Rileggere Basaglia oggi ci aiuta a ricordare che non e' mai finita, e forse
a ritrovare quel "gusto delle contraddizioni" che, come dicono Colucci e Di
Vittorio, era un tratto della personalita' di Basaglia oltre che una sua
scelta.
5. RIFLESSIONE. MARCO D'ERAMO INTERVISTA NANCY SCHEPER-HUGHES
[Questa intervista e' comparsa sul quotidiano "Il manifesto" del 30 ottobre.
Marco D'Eramo e', piu' che un giornalista, un saggista e uno studioso di
straordinaria cultura e versatilita'. Nancy Scheper-Hughes e' presentata
come segue in una breve scheda che accompagna l'intervista: "Di Nancy
Scheper-Hughes e' ora disponibile in italiano il saggio intitolato "Il
traffico di organi nel mercato globale", in libreria da pochi giorni per la
casa editrice veronese "Ombre corte" (traduzione di Cristina Gottardi, pp.
101, lire 15.000). Un libro che e' insieme un'indagine sul campo e una
riflessione sulle trasformazioni del corpo e dello Stato in relazione al
traffico e al trapianto di organi in condizioni di globalizzazione
economica. Una analisi antropologica, nitida e rigorosa, che si/ci interroga
sul rimodellamento in atto delle relazioni tra i corpi individuali e lo
Stato, tra dono e beni di consumo. A partire dalla constatazione che il
trapianto di organi avviene oggi in un ambiente transnazionale in cui
chirurghi, pazienti, donatori, riceventi e intermediari - spesso con
collegamenti criminali - seguono le nuove vie del capitale (globale) e della
tecnologia (globale). La posta in gioco e' altissima, mette in guardia Nancy
Scheper-Hughes (classe 1944, studi al Queens College della City University
di New York e di Berkeley, attualmente professore di antropologia alla
University of California, Berkeley, dove dirige anche un programma di studi
in antropologia medica) poiche' le tecnologie e le pratiche della chirurgia
dei trapianti hanno mostrato il loro potere di riconcettualizzare il corpo
umano e le sue relazioni"]
"Devi assolutamente conoscerla", mi aveva detto Saskia Sassen, la teorica
delle citta' globali, "e' una persona straordinaria". Ci ritroviamo cosi'
alle otto del mattino davanti a due tazze di caffe', Nancy Scheper-Hughes e
io, seduti a un tavolino all'aperto vicino a un parco, in un fresco mattino
d'autunno californiano. 57 anni ben portati, corti capelli chiari, fisico
sportivo, irrequieti occhi ironici, Nancy e' professoressa di antropologia
all'Universita' di Berkeley, e da antropologa si occupa - se e' consentito
usare questo termine - di "sfiga globale", dai contadini pazzi irlandesi, ai
bambini brasiliani, alla violenza nel Sudafrica post-apartheid, al commercio
di organi umani, temi che tratta in un orizzonte teorico che va da Donna
Haraway a Michel Foucault e Pierre Bourdieu, da Giorgio Agamben a Franco
Basaglia, da Ivan Illich a Victor Turner, da Margaret Mead a Walter
Benjamin, a stare ai nomi citati nei suoi saggi. Cosi' ha curato per la
Columbia University Press la traduzione delle opere scelte di Franco
Basaglia (Psychiatry Inside Out: Selected Writings of Franco Basaglia,
1987); ha scritto sulla malattia mentale tra i contadini irlandesi (Saints,
Scholars and Schizofrenics: Mental Illness in Rural Ireland, che ha ricevuto
il premio Margaret Mead dell'associazione americana di antropologia, ed e'
stato ripubblicato l'anno scorso in edizione ampliata dalla California
University Press), sulla violenza in Brasile (Death without Weeping: The
Violence of Everyday Life in Brazil, 1992: "Morte senza lacrime: la violenza
nella vita quotidiana in Brasile"). Ha curato insieme a Caroline Sargent il
libro Small Wars: The Cultural Politics of Childhood, 1998: "Piccole guerre:
la politica culturale dell'infanzia". Ma l'argomento che oggi le sta piu' a
cuore e' il commercio globale di organi.
"Me ne occupo almeno dal 1995, da quando si e' costituita la "Bellagio Task
Force su trapianti, integrita' corporea e traffico internazionale di
organi", chiamata cosi' perche' la sua prima riunione avvenne appunto a
Bellagio in quell'anno. Qui a Berkeley, insieme a Lawrence Cohen, abbiamo
varato il progetto di ricerca "Selling Life" (Vendere la vita) che si avvale
di una ventina di ricercatori sparsi in tutto il mondo. Io ho fatto ricerche
sul campo in India, Brasile, Sud Africa, Israele, e mi mancano ancora un
paio di viaggi in Europa dell'est per consegnare entro l'anno prossimo a
Farrar Strauss and Giroud (non e' una casa editrice universitaria) un libro
che per ora ha il titolo The Ends of the Body: The Global Trade of Organs
(ndr: in questo contesto la parola ends ha tre significati: "dove finisce il
corpo"; ma anche: "gli usi del corpo", e poi: "le parti del corpo")".
Marco D'Eramo: Il traffico di organi sembra un argomento da
controinformazione, piuttosto che da antropologia. Di solito gli antropologi
studiano i nambikwara in Amazzonia e il circuito del "kula" negli
arcipelaghi del Pacifico occidentale. In che senso si puo' fare
un'antropologia del commercio di organi?
Nancy Scheper-Hughes: Come l'essere umano considera il proprio corpo e' da
sempre uno dei temi centrali della ricerca antropologica. In primo luogo
assistiamo a una nuova antropologia della morte. C'e' chi ha definito il
trapianto di organi la nuova forma tecnologica del sacrificio rituale umano:
il capitalismo globale e la tecnologia avanzata hanno insieme generato nuovi
"gusti" medicalmente stimolati per i corpi umani, per il vivo e il morto,
per pelle e ossa, carne e sangue, tessuti, midollo e materiale genetico
"dell'altro". C'e' chi paragona i riti "new age" dei trapianti al
"cannibalismo gastronomico". E poi il trapianto distribuisce sul mercato
quella che Giorgio Agamben chiama "la morte che precede la morte", per la
necessita' di definire una persona morta quando ancora possono esserne
estratti organi viventi. E' un problema di definizione teorica della morte.
Ma anche una questione sanguinosa di violenza istituzionale. Addirittura in
Cina, dove gli organi vengono prelevati dai condannati a morte in attesa di
esecuzione, una dottoressa disse di aver partecipato a un'operazione in cui
i due reni furono espiantati al condannato alla fine della notte; al primo
mattino l'esecuzione con una pallottola in fronte. In Cina nel 1996 sono
state confermate 4.360 condanne eseguite. Cosi' si e' creato un mercato di
organi viventi, soprattutto in direzione di Taiwan e della diaspora cinese
nel mondo. E ti dicono: "Vieni fra due settimane che sono in programma piu'
esecuzioni".
M. D'E.: E per quanto riguarda il nostro rapporto col nostro corpo?
N. S.-H.: Assistiamo a uno sconvolgimento inaudito. A una sua
mercificazione, ma non generica (lo schiavismo comprava e vendeva i corpi,
ma nella loro integralita'); qui invece si comprano parti del corpo, il
corpo diventa suddivisibile, questo lo vendo, questo no. E naturalmente
tutto l'universo della medicina come pratica sociale e' trasformato da
questo commercio: cambia l'etica medica, cambia la bioetica, il paziente
diventa un consumatore, un compratore di organi altrui. Il paziente compra
viaggi medici, si e' instaurato un turismo medico.
M. D'E.: Cosa intendi per "turismo medico"?
N. S.-H.: Sempre piu' i centri medici, le aziende sanitarie propagandano i
loro servizi medici come una localita' turistica pubblicizza i suoi campi da
golf, l'agio dei suoi alberghi cinque stelle, la bonta' della sua cucina, la
convenienza dei suoi prezzi. Cosi' nascono agenzie di viaggi medici
organizzati, che possono avere come meta, che so, la Germania per la
chiurgia plastica. Questi medical tour operators offrono pacchetti tutto
compreso. Per esempio a Tel Aviv, in collaborazione con uno dei chirurghi
dei trapianti piu' importanti d'Israele, una ditta ha sviluppato
collegamenti con chirurghi dei trapianti in Turchia, Russia, Moldavia,
Estonia, Georgia, Romania, e, da poco, New York City. Il costo del pacchetto
tutto compreso e' salito da 120.000 a 200.000 dollari (da 250 a 420 milioni
di lire), e continua a rincarare. Il pacchetto comprende l'affitto di un
aereo privato (per accogliere sei pazienti ognuno accompagnato da un
familiare e da dottori israeliani); la "doppia operazione": estrazione del
rene del donatore e trapianto; il compenso al "donatore"; le "commesse"
pagate ai funzionari della dogana e dell'aeroporto; l'affitto della sala
operatoria e della stanza nelle cliniche e l'accoglienza in albergo per gli
accompagnatori. Il pacchetto dura cinque giorni. Giorno 1: arrivo sul posto,
pre-operazione, analisi, dialisi e riposo; giorni 2 e 3: operazioni (2 o 3
pazienti per notte a seconda della dimensione del gruppo); giorni 4 e 5:
convalescenza sul posto e rientro.
M. D'E.: Molti italiani vanno a curarsi i denti in Tunisia da dentisti
laureati in Italia, ma da loro costa un terzo...
N. S.-H.: Si'. Negli Usa c'e' un centro che ipocritamente si chiama "Ufficio
della medicina internazionale" ma che funziona come azienda di soggiorno.
Basta pensare a quanto corteggia i pazienti/turisti stranieri un centro di
trapianti come quello del Texas. A Cuba invece sono piu' sinceri, lo
chiamano proprio "Ufficio per il turismo medico", con tanto di depliants;
all'Avana c'e' un ospedale, Chico Garcia, solo per stranieri, dove non hanno
ancora reparti di trapianti, ma con alcune specializzazioni per cui sono
famosi in tutto il mondo, per esempio l'oftalmologia. Molti emigrati cubani
di Miami vengono a farsi curare qui, visto quanto e' cara la sanita' negli
Stati Uniti. Lo stesso fanno i sudamericani, brasiliani, argentini,
venezuelani, che a Cuba ricevono cure pari a quelle statunitensi ma a un
prezzo molto minore. Cosi' oggi a Cuba c'e' una medicina a due piste e a due
livelli. Ma nessuno se ne lamenta perche' il livello per gli stranieri
fornisce quei dollari che permettono di far funzionare la cura gratis per
gli altri. "Per 25 anni abbiamo curato gratis tutti gli stranieri che
venivano qui. Adesso ci facciamo pagare", mi hanno detto alla loro agenzia
turistica/medica. Apprezzo la loro franchezza.
Uno dei problemi principali dei trapianti e' che generarano
un'insopportabile eufemizzazione del linguaggio. Tutto quest'universo di
traffici, contrabbandi, spacci, ricatti, veri e propri crimini, viene tutto
riformulato nella categoria del "dono", dell'altruismo, del sacrificio di
se', e tanto piu' la pratica e' ignobile, tanto piu' e' ammantata in
nobilta' d'animo. Ma la teoria del dono e' gia' stata elaborata da Marcel
Mauss e Pierre Bourdieu. In particolare Bourdieu ci ricorda che ogni dono e'
un inganno, perche' presto o tardi esige un contro-dono. Ma a forza di
praticare quest'ipocrisia, la stessa classse medica degenera in un cinismo
di fondo, che si nasconde dietro l'ideologia della neutralita'. Ci sono
medici che dicono; "Questo traffico mi disgusta, ma non diremo niente al
paziente, perche' nella sua situazione comprerei anch'io un organo". La
trasformazione della pratica medica e' uno dei primi temi della ricerca
dell'antropologia medica, un settore che ho contribuito a fondare.
M. D'E.: In che senso parli di commercio globale?
N. S.-H.: Il finanziere George Soros ha detto di recente che i valori di
mercato di un'economia globale capitalista erodono i valori sociali e la
coesione sociale. Nulla lo illustra meglio degli attuali mercati di organi
umani, con un meccanismo di mietitura, esportazione, distribuzione e vendita
degli organi, con i loro brokers (agenti di borsa), per rifornire
un'industria sanitaria determinata dal meccanismo della domanda e
dell'offerta. Le tecnoconologie di trapianti si sono subito trasferite
all'Est (Cina, Taiwan, India) e al Sud (in specie Argentina, Cile e Brasile)
e questo ha creato una scarsita' globale di organi viventi che ha innescato
un movimento dei corpi malati in una direzione, e degli organi sani
(trasportati in ordinari refrigeratori di poliestere da picnic da compagnie
aeree commerciali) nella direzione opposta, creando un circuito kula dei
corpi e delle loro parti (ndr: Nancy Scheper-Hughes si riferisce a un
elaborato scambio commerciale e simbolico che l'antropologo Bronislaw
Malinowski credette di rilevare nel Pacifico occidentale). E questo flusso
globale struttura i vari agenti per classe, per genere, per origine
geografica. Il flusso segue di solito le moderne rotte del capitale, da sud
a nord, dal Terzo al Primo mondo, dai poveri ai ricchi, dai neri e scuri ai
bianchi, dalle donne agli uomini. In India, questi "doni" sono diventati lo
strumento principale con cui genitori disperati sono riusciti ad accasare la
figlia creandole una dote (dowry) con i soldi dell'organo. Lo stupefacente,
nel senso di Benjamin, e' con che velocita' la gente si assuefa a quel che
prima era inaudito e inaccettabile. Quando negli slum di Bombay, Calcutta e
Madras sono comparsi "organ bazar", dove i donatori sono pagati 2-3.000
dollari a organo, all'inizio c'e' stato uno scandalo, la televisione e i
settimanali indiani hanno fatto inchieste indignate. Ma dopo qualche anno
sembrava tutto normale.
M. D'E.: Cosa vuol dire tutto questo per la percezione del nostro corpo?
N. S.-H.: Che il nostro corpo diventa divisibile, che cominciamo a guardarlo
con l'occhio di individuare i doppioni, le parti di ricambio... Non si sa
mai, potrei sempre avere bisogno di venderne una, un occhio, un rene,
qualunque "ridondanza". Ti saresti mai immaginato che cento anni fa qualcuno
guardasse alle ridondanze del proprio corpo? Abbiamo bisogno in antropologia
di qualcosa come il manifesto radicale di Donna Haraway del 1985 sul
cyber-corpo e il cyber-se'.
Due esempi brasiliani. Nel 1981 usci' sul "Diario de Pernambuco"
quest'inserzione: "Sono pronto a vendere ogni organo del mio corpo che non
sia vitale alla mia sopravvivenza, che possa aiutare a salvare la vita di
una persona in cambio di una somma di denaro che possa permettermi di
nutrire la mia famiglia" (l'inserzionista fu rintracciato e confermo' tutto,
ma aggiunse una postilla che e' straziante: "Non sono stupido. Voglio che il
dottore dapprima mi esamini e mi paghi il denaro prima dell'operazione. E,
dopo aver pagato i miei debiti, investiro' quel che resta nel mercato
azionario"). Sul versante opposto dello spettro, ancora a Pernambuco stavo
facendo ricerche sulle morti dei bambini, sempre tra obitorio e cimitero, e
a un certo punto vidi un funerale che procedeva accompagnando una bara
piccola piccola. Chiesi a chi la portava: "E' figlio suo?" "No, e' un piede
amputato che andiamo a ricongiungere al morto", mi rispose. Tanto per capire
come nella cultura tradizionale fosse radicata l'idea dell'inseparabilita',
dell'integralita' del corpo.
M. D'E.: Ma cosa ti coinvolge tanto in un argomento cosi' mortuario?
N. S.-H.: E' la violenza, la rapidita' con cui le forze del mercato e la
domanda dei consumatori possono riplasmare da cima a fondo l'etica. E
nessuno si preoccupa delle conseguenze sociali di questa nuova etica. Ci
sembra ormai quasi normale, scontato che sia emerso questo strano mercato,
questo sovrappiu' di capitale, "corpi sovrannumerari" e pezzi di ricambio
del corpo che promettono a individui scelti, dotati di ragionevoli mezzi
economici, e che vivono quasi ovunque nel mondo, di estendere
miracolosamente la sfera del (loro) bios, del vivente nudo.
6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: HURBINEK
[Giulio Vittorangeli e' una delle figure piu' belle della solidarieta'
internazionale (per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it)]
Lunedi 22 ottobre, in prima tv su Raiuno, record d'ascolti, oltre sedici
milioni di spettatori per la "La vita e' bella" (Italia, 1997). Il giorno
dopo: Rai, Mediaset, Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, ecc.,
tutti d'accordo per il trionfo di un film premio Oscar. Sette nomination e
tre Oscar (Hollywood, 21 marzo 1999): miglior film straniero, migliore
attore (Roberto Benigni) e miglior colonna sonora (Nicola Piovani).
Premesso che "La vita e' bella", e' fino ad oggi il film piu' bello di
Benigni (registra-protagonista), e una delle piu' belle sceneggiature di
Vincenzo Cerami, nonche' uno dei piu' belli del cinema italiano degli ultimi
anni, continua pero' a suscitare in molti delle legittime perplessita'.
Ad iniziare dalla sua identificazione come film dell'olocausto, del lager e
della conseguente condanna del fascismo e razzismo; della messa in scena di
un mondo (la shoah, il nazismo) passato alla storia, noto a tutti o quasi.
In realta' e' una favola sull'amore e l'orrore, raccontata con un'ottica
infantile al bambino Giosue'. Il film e' diviso in due parti (comico e
tragico), nettamente separate per ambientazione, tono, luci e colori.
Complementari, pero': la prima spiega e giustifica la seconda.
La prima parte e' essenzialmente una bella storia d'amore, di un
innamoramento e di una conquista. Un campionario dei film di Benigni
passati, riveduti e corretti, miscelati con alcuni commossi omaggi al suo
grande amico Massimo Troisi: il rifacimento della scena
dell'inseguimento-corteggiamento da "Ricomincio da tre", e piu' in generale
un po' tutta l'atmosfera di "Le vie del Signore sono finite"; come nel
prendere in giro la burocrazia grigia e insensibile, ricordate Troisi e la
puntualita' dei treni sotto Mussolini? "E non bastava farlo capostazione?".
Prevale certamente il lato comico, piu' che umoristico: basta pensare alla
sequenza della festa, sontuosa e elegantissima, del fidanzamento al Grand
Hotel. Guido (Benigni) cameriere, si dispera, ne combina di tutti i colori,
finche' si decide a irrompere nella festa in groppa a un cavallo e come
nelle fiabe porta via Dora (Nicoletta Braschi).
Nella seconda parte, padre e figlio (Guido e Giosue') sono rinchiusi in un
carro-bestiame e partono verso l'ignoto. La sequenza dell'arrivo del treno
e' evidentemente una citazione-omaggio di "Schindler's List" di Spielberg.
In mezzo, nell'intervallo, sono venuti oltre al figlio, la guerra, la
Repubblica di Salo' e l'occupazione tedesca. Nella prima parte c'e' l'amore
tra uomo e donna, nella seconda l'amore per un figlio, ma l'uno e' la
continuazione dell'altro; entrambe le parti pervase di sincera e commossa
umanita'. Cosi' tutta la seconda parte poggia su un patetico inganno, su una
menzogna amorosa inventata per nascondere un orrore. Il padre che camuffa il
suo tragico destino sotto forma di gioco agli occhi del figlio. Ma non e' un
invito a mentire ai bambini per far loro credere che il mondo sia diverso da
quello che realmente e', quanto il racconto della sofferenza interiore tra
il dolore dell'essere adulto e la meraviglia dell'infanzia. Alla fine dal
gioco dentro l'orrore un bambino esce vittorioso, perche' salvando un
bambino si resta umani. E' la vittoria della magia del comico, regno
immaginario e magnifico dove il gioco, alla fine, vince sempre. La vita e'
bella perche' un bambino la potra' vivere.
Pur tenendo presente che il film racconta in forma comica una storia che non
e' affatto comica: la visione gioiosamente infantile di un lager; ed in
questo, piu' che ricostruire, cerca di rievocare la crudelta' degli
avvenimenti, cercando una "leggerezza" che e' l'arte del togliere e
dell'alludere; e pur dando per scontate, a causa del tono favolistica
dell'intero film, certe inverosimiglianze (una per tutte: il bambino
nascosto nella baracca), non possiamo non domandarci se la tragicommedia non
passi il segno nel cancellare le tracce di quel processo di degradazione
subumana che i reclusi dei campi di sterminio hanno subito.
Cosa resta agli oltre sedici milioni di spettatori televisivi dell'orrore
del mondo di Auschwitz? Paragonate il bambino Giosue' con Hurbinek, il
bambino di tre anni nato ad Auschwitz che non aveva mai visto un albero, che
non sapeva parlare. Di lui racconta Primo Levi che non si sa nulla, ne' la
madre, ne' il nome: lo hanno chiamato Hurbinek le donne del Lager,
"decifrando una delle voci inarticolate che il piccolo ogni tanto emetteva",
che nessuno dei parlanti di tutte le lingue d'Europa capisce. Hurbinek,
"paralizzato dalle reni in giu', parla solo con gli occhi, terribilmente
vivi, pieni di richiesta, di asserzione, della volonta' di scatenarsi, di
rompere la tomba del mutismo. La parola che gli mancava, che nessuno si era
curato di insegnarli, il bisogno della parola, premeva nel suo sguardo con
urgenza esplosiva: era uno sguardo selvaggio e umano ad un tempo, anzi
maturo e giudice, che nessuno fra noi sapeva sostenere, tanto era carico di
forza e di pena". Ed ancora, in un brano straziante senza essere lacrimoso,
Primo Levi scrive: "Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in
Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek, che aveva combattuto
come un uomo, fino all'ultimo respiro, per conquistarsi l'entrata nel mondo
degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il
senza-nome, il minuscolo avambraccio era pure segnato col tatuaggio di
Auschwitz; Hurbinek mori' ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non
redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole".
7. VERSI RAMMEMORATI. MARIANNE MOORE: QUASI SAPESSERO
[Da Marianne Moore, Unicorni di mare e di terra, Rizzoli, Milano 1981, p.
139. Marianne Moore (1887-1972 e' una delle piu' grandi poetesse americane
del Novecento]
... quasi sapessero
che non esiste fortezza
piu' sicura dell'amore.
8. INIZIATIVE. ALCUNE INIZIATIVE CONTRO LA GUERRA
* Contro la guerra e la finanziaria oggi sciopero indetto dai Cobas della
scuola.
* Il 3 novembre a Roma manifestazione nazionale di solidarieta' con gli
immigrati e per la pace. Molte le adesioni.
* Il 4 novembre manifestazione contro la guerra a Cagliari. Molte le
adesioni.
* Il 9 novembre sciopero generale contro la guerra promosso da varie
organizzazioni sindacali di base.
9. INCONTRI. A PALERMO IL 7 NOVEMBRE GIORNATA DI STUDIO SU LANZA DEL VASTO
[Riceviamo e diffondiamo. Per contatti: Enzo Sanfilippo
(manfredy@interfree.it)]
Nel centenario della nascita, giornata di studio sulla vita e il pensiero di
Lanza del Vasto, Shantidas, fondatore della Comunita' e del Movimento
dell'Arca.
Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' di Palermo, viale delle
Scienze, Aula Seminari, Palermo, 7 novembre 2001.
* Perche' questa giornata
Il sistema sociale in cui siamo inseriti ci porta spesso ad atteggiamenti
individualistici. Facciamo parte, piu' o meno consapevolmente, di una
struttura sociale modulata sugli imperativi del consumo, del possesso, del
dominio.
In tutto questo Lanza del Vasto ha ritrovato lo spirito del peccato
originale, fatto sistema.
Non si esce da questo spirito se non per conversione. Conversione personale,
ma anche delle strutture sociali.
Ci si converte anche con l'aiuto di un insegnamento, che, non imponendosi
dall'esterno in modo autoritario, ci aiuta comunque al lavoro interiore e
alla liberazione da tutto cio' che ci impedisce di vivere secondo la nostra
piu' profonda vocazione umana.
Nell'insegnamento dell'Arca molte persone in tutto il mondo hanno trovato la
chiave d'unione di tutte le loro esperienze: dall'impegno politico alla
crescita spirituale, dal lavoro quotidiano per vivere, alle espressioni
dell'arte.
La purificazione, la conoscenza, il possesso e il dono di se', l'esperienza
diretta della propria anima come unita' interiore e come immagine di Dio:
ecco il metodo dell'Arca. La semplificazione della vita, il lavoro manuale,
la pratica Yoga, il canto, la danza, la festa, l'azione nonviolenta per la
giustizia, il dialogo interreligioso, sono altri elementi fondanti
dell'insegnamento. Un insegnamento ricco, originale, fecondo che ha ancora
molto da dire, soprattutto in questo periodo, a ciascuno di noi e al mondo.
* Programma della giornata
Mattina: Facolta' di Lettere e Filosofia, Aula Seminari.
Ore 9,30: Presentazione della giornata: Enzo Sanfilippo, Alleato dell'Arca.
Introduce e coordina i lavori Grazia Tagliavia (Facolta' di Lettere e
Filosofia dell'Universita' di Palermo).
Ore 9,45: Jean Baptiste Libouban (responsabile dell'Arca): L'insegnamento di
Lanza del Vasto: nonviolenza, vita interiore, ecumenismo religioso.
Ore 10,45: Andrea Cozzo (Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' di
Palermo): Scienza e istruzione secondo Lanza del Vasto.
Ore 11,15: Liliana Tedesco (direttrice del Coro Convivium di Palermo): Il
ruolo della musica e del canto corale nell'insegnamento di Lanza del Vasto.
Ore 11,30: Maria Antonietta Malleo (Facolta' di Lettere e Filosofia
dell'Universita' di Palermo): "Dormimmo sotto le stelle d'un sonno
trasparente". L'arte e il ritorno all'Evidenza.
Ore 11,45: Antonino Drago (Facolta' di Fisica dell'Universita' "Federico II"
di Napoli, Alleato dell'Arca): Nonviolenza, modello di sviluppo e flagelli
del mondo contemporaneo.
Ore 12,30: Dibattito
Pomeriggio: Istituto Don Orione, via Ammiraglio Rizzo 68.
Ore 16,15: Proiezione audiovisivo.
Ore 16,45: Incontro conviviale con Jean Baptiste e Jeannine Libouban e
Tonino Drago sul tema: Vivere con un insegnamento? Introducono gli Alleati
dell'Arca della Sicilia.
Ore 18,15: Danze e Canti dell'Arca.
Ore 20: Cena vegetariana.
Ore 21,30: Preghiera del Fuoco
* Dalla "Carta del Movimento dell'Arca"
Nel cammino di ricerca di verita' che ognuno di noi sta compiendo sulle orme
di Gandhi e Shantidas, ci orientiamo, nel sostegno e nella verifica
reciproca:
- a lavorare su noi stessi, dedicando un tempo della nostra giornata alla
pratica spirituale;
- a vivere concretamente il servizio e l'accoglienza nei confronti di chi e'
solo o nel bisogno;
- a ricercare la semplicita' di vita, dando dei segni distintivi di essa a
livello personale;
- ad essere attivi nel lavoro manuale e a sostenere coloro che vivono di
questo tipo di lavoro.
La conversione personale e' favorita da relazioni di comunione che
facilitano la condivisione delle esperienze. E' per questo che riteniamo
fondamentale vivere uno spirito comunitario:
- considerando la famiglia la prima comunita' di vita;
- approfondendo la nostra tradizione religiosa con un gruppo di riferimento.
Caratteristica della nonviolenza e' entrare in un cammino spirituale che
lega la conversione personale a quella sociale, il che oggi per noi vuol
dire anche:
- cercare di risolvere i conflitti propri e degli altri con l'accordo delle
parti, sforzandosi sempre di capire le ragioni dell'altro, praticando il
perdono e la riconciliazione;
- testimoniare sempre la verita', non delegare alle sole istituzioni la
risoluzione dei conflitti;
- rispettare la ricerca spirituale di ognuno, lavorare per l'ecumenismo;
- vivere le obbedienze sociali, salvo quelle alle quali obiettiamo, come
autodisciplina e autoeducazione.
La nonviolenza ha in se' la possibilita' di ispirare anche la costruzione
delle istituzioni pubbliche e pertanto:
- sosteniamo l'obiezione di coscienza, al servizio e alle spese militari,
per costruire una istituzione pubblica di difesa alternativa;
- valorizziamo le economie su bassa scala, diverse dall'attuale economia di
sfruttamento;
- cerchiamo di individuare nel nostro contesto, le forme di ingiustizia,
ricercando il contributo che la nonviolenza puo' fornire per la soluzione
dei conflitti e per l'evoluzione del sistema in cui siamo inseriti.
* Notizia su Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto
Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto nasce nel 1901 a San Vito Dei Normanni, in
Puglia, da madre belga e padre siciliano. Compie a Parigi gli studi
classici, all'Universita' di Pisa si laurea in filosofia. Si da' alla
poesia, agli studi, ai viaggi, alla pittura, alla musica. Si converte a
venticinque anni a quella che gia' era la sua religione: il cristianesimo.
Vagabonda per le strade d'Europa, di Terra Santa, d'India e ricerca una via
d'uscita alla guerra, all'ingiustizia, alla miseria. Nel 1937 incontra
Gandhi nel suo ashram; diventa suo discepolo, scopre la nonviolenza nella
vita del suo piu' grande testimone. Gandhi gli da' il nome di Shantidas che
vuol dire "servitore di pace".
Di ritorno in Europa sposa una musicista, Simone Gebelin, che chiamera'
Chanterelle. Insieme a lei fondera' in Francia la prima comunita'
dell'Arche, un ordine nonviolento, rurale, artigianale, ecumenico, e lancia
piu' tardi diverse azioni civiche nonviolente: contro le servitu' militari
del Larzac, contro le bombe e le centrali nucleari, per l'obiezione di
coscienza. In questi anni affianca all'ordine il Movimento degli Alleati.
Muore in Spagna il 15 Gennaio 1981.
* Opere di Lanza del Vasto in lingua italiana
Pellegrinaggio alle sorgenti, Jaca Book, Milano 1978; Principi e precetti
del ritorno all'evidenza, Gribaudi, Torino 1972; Giuda, Jaca Book, Milano
1972; Vinoba, Jaca Book, Milano 1980; In Fuoco e Spirito, La Meridiana,
Molfetta 1986; I Quattro Flagelli, SEI, Torino 1996; Introduzione alla vita
interiore, Jaca Book, Milano 1989; Che cos'e' la nonviolenza, Jaca Book,
Milano 1978; Per evitare la fine del mondo, Jaca Book, Milano 1981; Il
Canzoniere del pellegrin d'amore, Jaca Book, Milano 1979; L'Arca aveva una
vigna per vela, Jaca Book, Milano 1980; Lezioni di Vita, Libreria Editrice
Fiorentina, Firenze 1980.
10. INCONTRI. DUE APPUNTAMENTI DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo queste
due lettere di invito]
* Incontro annuale della redazione di "Azione nonviolenta"
Cari amici,
l'annuale incontro, aperto a tutti gli interessati, della redazione e dei
collaboratori di "Azione nonviolenta", per la programmazione del 2002, e'
convocato a Verona (presso la Casa per la Nonviolenza, in via Spagna 8, tel.
0458009803) il giorno sabato 24 novembre, con inizio alle ore 11 e termine
previsto alle ore 17. Nella pausa pranzeremo insieme.
Ordine del giorno: 1. Relazione sull'andamento della rivista; 2. Valutazione
del lavoro svolto nel 2001; 3. Programmazione ordinaria e numeri speciali
per il 2002; 4. Valutazioni e proposte sulla gestione amministrativa; 5.
Varie ed eventuali.
Il giorno successivo si riunira', nella stessa sede, il comitato di
coordinamento del Movimento Nonviolento, cui verranno presentate le nostre
proposte. Chi lo desidera puo' fermarsi a dormire. Siete pregati di
comunicare preventivamente la vostra presenza o assenza. Arrivederci a
Verona.
Mao Valpiana
* Nona riunione del Comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento
Cari amici,
e' convocata la nona riunione del Comitato di Coordinamento del Movimento
Nonviolento, che si terra' il giorno domenica 25 novembre a Verona, con
inizio alle ore 10,30. Si ricorda a tutti gli eletti e ai rappresentanti dei
gruppi locali l'importanza del Coordinamento, e si raccomanda la presenza e
la puntualita'.
Ordine del giorno: 1. Approvazione del verbale del precedente incontro; 2.
Iniziative contro la guerra; 3. Dibattito e valutazioni sulla Marcia
Perugia-Assisi; 4. Verso il XX congresso nazionale del Movimento
Nonviolento; 5. Seminario su "valore della laicita' e tensione religiosa
nella nonviolenza"; 6. "Azione nonviolenta", proposte per il 2002; 7.
Campagna iscrizioni al Movimento Nonviolento e abbonamenti ad "Azione
nonviolenta"; 8. Prospettive della Rete Lilliput; 9. Attivita' delle sedi;
10. Varie ed eventuali.
Il luogo dell'incontro e' la Casa per la Nonviolenza, in via Spagna 8 a
Verona (tel. 0458009803) che si trova vicino alla Basilica di San Zeno.
Siete pregati di comunicare preventivamente la presenza o l'assenza.
Si e' pensato di cogliere l'occasione della nostra presenza a Verona per
proporre, il giorno precedente al nostro incontro, sabato 24 novembre, nella
stessa sede, l'annuale riunione aperta della redazione e dei collaboratori
di "Azione nonviolenta", per la programmazione del 2002. Chi desidera
partecipare puo' fermarsi a dormire tra sabato e domenica. Vi aspettiamo
tutti.
Per la segreteria, Mao Valpiana
11. LETTURE. MARCO BELPOLITI: PRIMO LEVI
Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. 224, lire
16.000. Una densa e limpida introduzione scritta dal curatore della recente
ottima edizione di tutte le opere di Primo Levi (Primo Levi, Opere, Einaudi,
Torino 1997, in due volumi).
12. LETTURE. GIOVANNI BERLINGUER, VOLNEI GARRAFA: LA MERCE FINALE
Giovanni Berlinguer, Volnei Garrafa, La merce finale, Baldini & Castoldi,
Milano 1996, pp. 200, lire 24.000. Un terribile "saggio sulla compravendita
di parti del corpo umano" scritto da due illustri studiosi per denunciare un
fenomeno tremendo e sintomatico dell'attuale situazione del mondo.
13. LETTURE. DENIS McQUAIL: SOCIOLOGIA DEI MEDIA
Denis McQuail, Sociologia dei media, Il Mulino, Bologna 1986, 1996, pp. 386,
lire 42.000. Un manuale che e' gia' divenuto un classico in questo ambito di
studi.
14. RILETTURE. ERNST BLOCH: IL PRINCIPIO SPERANZA
Ernst Bloch, Il principio speranza, Garzanti, Milano 1994, tre volumi per
1.660 pagine, lire 96.000. Il capolavoro del filosofo dello spirito
dell'utopia.
15. RILETTURE. JEAN MARIE DOMENACH: EMMANUEL MOUNIER
Jean Marie Domenach, Emmanuel Mounier, Ecumenica, Bari 1996, pp. 256, lire
25.000. Un commosso ed acuto profilo di Mounier scritto da uno dei suoi
principali collaboratori.
16. RILETTURE. JACQUELINE RISSET: LA LETTERATURA E IL SUO DOPPIO
Jacqueline Risset, La letteratura e il suo doppio, Rizzoli, Milano 1991, pp.
138, lire 32.000. Uno studio "sul metodo critico di Giovanni Macchia", che
e' anche uno stupendo omaggio al grande studioso recentemente scomparso.
17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
18. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 274 del 31 ottobre 2001