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"UN'ALTRA FORMA DI TERRORISMO". I BOMBARDAMENTI SULL'AFGHANISTAN SECONDO I VESCOVI E PASTORI BRASILIANI
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<http://www.adista.it/numeri/adista01/adista78.htm#t1>78 (5 novembre 2001)
"UN'ALTRA FORMA DI TERRORISMO". I BOMBARDAMENTI SULL'AFGHANISTAN SECONDO I
VESCOVI E PASTORI BRASILIANI
DOC-1132. IBIÚNA-ADISTA. Cadono le bombe sui villaggi afghani, sui
quartieri civili. Colpiscono - involontariamente, ci rassicura il Pentagono
- un'agenzia di sminamento, un ospizio, un ospedale militare, forse anche
uno civile. Per il governo Bush, e per chi lo appoggia, sono "danni
collaterali". Ma a molti questa definizione sta decisamente stretta. Così
è, senza alcun dubbio, per un gruppo di vescovi cattolici e di pastori
evangelici riuniti a Ibiúna, nello Stato di San Paolo, per una settimana di
riflessione e preghiera. Il bombardamento anglo-americano contro
l'Afghanistan - denunciano infatti in un documento dal titolo "Clamore dei
popoli per la giustizia, la solidarietà e la pace - non è che un'altra
forma di terrorismo, solo "praticato, ora, da governi che si presentano
come democratici, civili e cristiani". Un documento molto forte,
sottoscritto (fino al 21, ma la raccolta delle firme è ancora in corso) da
23 vescovi cattolici - in maggioranza brasiliani, tra cui Franco
Masserdotti di Balsas; Apparecido José Dias di Roraima; Pedro Casaldáliga
di São Felix do Araguaia; José Maria Pires, emerito di Paraíba, Tomás
Balduino, emerito di Goiás; ma anche argentini e messicani, come Samuel
Ruiz e Raúl Vera Lopez, e due protestanti: il vescovo episcopaliano di
Brasilia Almir dos Santos e il pastore luterano di San Paolo Rolf
Schunemann. Di seguito il documento, in una nostra traduzione dal portoghese.
Noi firmatari, vescovi e pastori evangelici e cattolici del Brasile e di
altri Paesi dell'America Latina, riuniti per delle giornate di studio,
riflessione e preghiera, ad Ibiúna, San Paolo, dal 15 al 22 ottobre del
2001, abbiamo deciso di esprimere la nostra angoscia e preoccupazione di
fronte all'attuale situazione internazionale.
Condanniamo ogni e qualsiasi atto terroristico, come quelli dell'11
settembre scorso che hanno suscitato rifiuto e costernazione universali per
la loro follia e per le migliaia di vittime che hanno provocato, anche tra
i gruppi di soccorso. Si è udito, da ogni parte, un grande clamore per la
giustizia seguito da gesti di compassione e solidarietà con le vittime e i
loro familiari.
Per altro lato, l'indebita trasformazione di questa richiesta di giustizia
in atti di vendetta e di rappresaglia, con bombardamenti aerei contro
l'Afghanistan, è ugualmente terrorismo, praticato, ora, da governi che si
presentano come democratici, civili e cristiani.
I bombardamenti stanno provocando innumerevoli vittime innocenti, compresi
donne, bambini e anziani, la distruzione dell'infrastruttura, l'aumento
della fame e della disperazione, l'aggravamento della situazione sanitaria,
gettando sulla strada milioni di rifugiati. Si è incentivata,
deliberatamente, una recrudescenza della guerra civile tra fazioni
politiche rivali, con rinnovate sofferenze per la popolazione. Oggi il
clamore per la giustizia è accompagnato da un crescente grido per la pace
che si esprime in ripetute proteste e marce contro la guerra, in manifesti
e celebrazioni ecumeniche e interreligiose a favore della pace.
Ci uniamo a tutte queste persone e istituzioni religiose e civili e alle
nostre comunità, per proporre, alla luce della Parola di Dio e di questo
anelito profondo dei nostri popoli, un rinnovato impegno per la giustizia e
il dialogo, la solidarietà e la pace.
"Il frutto della giustizia è la pace" (Is 32.7)
La prolungata indifferenza internazionale di fronte a situazioni di
disumana miseria che colpiscono una parte maggioritaria e crescente della
popolazione mondiale sta lasciando una scia di sofferenza e di morte in
tutto il mondo e sta generando risentimenti e rivolte contro i pochi Paesi
che impongono questo nuovo ordine internazionale e ne godono i frutti, con
l'appoggio di organismi internazionali e delle loro politiche di
aggiustamento economico. Queste politiche neoliberiste stanno provocando
disastri economici e finanziari in molti Paesi piegati sotto il peso di un
debito estero impagabile o colpiti da bruschi movimenti e attacchi alle
monete locali da parte del capitale speculativo.
Si assiste al ritorno, nei Paesi poveri, di malattie ed epidemie come il
colera, la tubercolosi, la febbre gialla, la malaria, che sembravano sotto
controllo, e la nascita di pandemie, come quella dell'Aids, che devastano
continenti interi.
Dietro quasi tutte le guerre attuali, si muovono gli interessi delle
industrie belliche e la disputa per il dominio dei mercati e per il
controllo delle risorse naturali strategiche, come il petrolio e il gas.
Senza il superamento delle tensioni provocate dall'esclusione e
dall'emarginazione delle grandi maggioranze; senza l'impegno concertato e
sincero per diminuire le disuguaglianze internazionali, per eliminare la
fame, il razzismo, la discriminazione contro le donne e le minoranze
etniche e religiose, per cancellare o ridurre il debito dei Paesi poveri e
per limitare la distruzione e i danni ambientali, difficilmente saranno
generate condizioni per una pace duratura.
"Mai più guerra! Mai più guerra! È la pace che deve guidare il destino di
tutta l'umanità. Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle
vostre mani!", è stato il grido di Paolo VI, il 4 ottobre del 1965, di
fronte all'Assemblea dell'Onu, a New York, oggi ferita dagli attentati.
Persone e Paesi che hanno sofferto gli orrori e la follia della guerra
senza limiti di qualunque tipo e che si è consumata nell'olocausto nucleare
di Hiroshima e Nagasaki, possono unirsi alla voce e alla testimonianza di
saggi e pastori, come il Mahatma Ghandi, Martin Luther King e Oscar Romero,
martiri della giustizia e della pace, che hanno vissuto la nonviolenza
attiva come atteggiamento spirituale e politico.
Di fronte alle moderne armi di distruzione di massa e alla guerra nucleare,
chimica o biologica, che mettono a rischio la sopravvivenza del pianeta
terra e della stessa umanità, non si può non ricordare la condanna etica
pronunciata senza esitazione da Giovanni XXIII nella Pacem in Terris: "...
Non è più possibile pensare che in questa nostra era atomica la guerra sia
un mezzo adatto a risarcire i diritti violati" (n. 127).
A coloro che oggi intendono giustificare la guerra, ricordiamo la ferma
parola del Concilio: "Qualunque azione bellica che miri alla distruzione
indiscriminata di città intere o di vaste regioni con i loro abitanti è un
crimine contro Dio e contro lo stesso uomo, da condannare con fermezza e
senza esitazioni" (GS n. 479).
Quello che si sta spendendo nell'attuale operazione militare contro
l'Afghanistan sarebbe sufficiente a eliminare in questa nazione e in molte
altre la fame, la miseria e la distruzione a cui sono sottoposte,
inaugurando relazioni di rispetto e di cooperazione, di aiuto e solidarietà
e non aggravando sofferenze e piantando nuovi semi di odio e di
incomprensione.
L'unico cammino di pace è quello del superamento delle ingiustizie e delle
divergenze, nel quadro di un dialogo supervisionato da legittime istanze
politiche e giuridiche internazionali, che dovrebbero essere maggiormente
rispettate e rafforzate, come l'Onu e il Tribunale Internazionale dell'Aia,
dove i sospettati di crimini di guerra o di terrorismo devono essere
condotti, giudicati e puniti, se vengono trovati colpevoli.
Guerra e vendetta intraprese contro un'altra nazione sovrana, praticamente
indifesa, in maniera unilaterale e imperialista, da uno o più Paesi, che
sono allo stesso tempo parte in causa e giudici, distruggono le basi della
convivenza internazionale e instaurano la legge della foresta e del più
forte, eliminando le garanzie del diritto.
Una delle prime vittime della guerra è la verità. Le guerre moderne sono
ingaggiate nei campi di battaglia, ma anche e soprattutto nei mezzi i
comunicazione sociale. La menzogna e la manipolazione della verità, la
demonizzazione dell'avversario e l'intossicazione della popolazione con
desideri di vendetta e di odio rendono difficili il negoziato, il dialogo e
la restaurazione della concordia e della pace.
Denunciamo e condanniamo, con ogni veemenza, la caricatura che si sta
diffondendo della fede islamica e del mondo arabo e che circonda di
sospetto persone, popoli e religioni. Ad essi chiediamo perdono per
l'ingiusta offesa che viene loro dall'Occidente cristiano. Questo aggrava
soltanto i fraintendimenti, alimenta i pregiudizi e aumenta le tensioni
internazionali.
Uno sguardo a noi stessi e alla situazione che viviamo ci invita ad un
atteggiamento di ascolto, di preghiera ma anche di deciso impegno per la
ricostruzione della giustizia e della pace che ha inizio nel nostro
quotidiano, attraverso gesti contro le ingiustizie e le disuguaglianze, i
pregiudizi e le discriminazioni, attraverso atteggiamenti di compassione
con i poveri e i piccoli, di lotta per politiche sociali inclusive e per un
nuovo ordine internazionale.
La giustificazione della guerra non è né umana né evangelica e Gesù pone
tra le beatitudini quella che siamo chiamati a realizzare in questo
momento, quella dei costruttori di pace:
"Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9)
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