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suora pacifista francescana sugli attentati dell'11 settembre



Ecco un buon testo per il vostro notiziario. Giorgio e Gianni

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Uno sguardo più profondo

Di Rosemary Linch, suora pacifista francescana di 84 anni, che vive in 
comunità a Las Vegas (USA) e ha animato per venti anni le manifestazioni di 
nonviolenza attiva contro gli esperimenti nucleari nel deserto del Nevada.


Noi, cittadini della più ricca e più potente nazione della terra abbiamo 
subito un’esperienza che ci ha scioccato, terrorizzato, fino a costringere 
le nostre ginocchia a piegarsi nella preghiera. Noi siamo giustamente 
sconvolti per la dimensione della tragedia e del male che è piombato su di 
noi. Ma c’è una domanda fondamentale finora ignorata nel pubblico 
dibattito: PERCHE’? Perché New York e Washington D.C.? Perché non Londra, 
Parigi o Roma? Perché non Mosca?

Le nazioni hanno la memoria lunga. Alcuni aspetti della malaccorta politica 
estera americana continuano a produrre effetti. Anche se molti episodi si 
sono sbiaditi nella nostra coscienza nazionale, essi continuano a vivere 
nella memoria delle nazioni che ne sono state colpite. Anche se non possono 
minimamente sminuire il male degli attacchi diretti contro gli Stati Uniti 
l’11 settembre, essi possono aiutarci a comprendere alcune persistenti 
animosità e perfino odii diretti contro il paese che amiamo.

Non molti anni fà gli Stati Uniti hanno dato sostegno e partecipato alle 
guerre a bassa intensità in Centro America, a volte contro i desideri 
espressi dalla maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti e perfino del 
Congresso. Possiamo aver dimenticato qui lo scandalo Iran-Contras, ma sulle 
regioni colpite ha lasciato cicatrici ancora aperte. Il Cile ricorda 
l’assassinio di Allende. La Baia dei Porci, Grenada, Panama, la Libia, il 
Viet-Nam  tutti episodi che hanno lasciato il segno, che hanno avuto 
effetti negativi. Abbiamo imparato a metterci in relazione con gli altri 
popoli in una posizione che non sia di dominio?

Il nostro atteggiamento sulla scena del mondo viene visto (a volte 
giustamente) come un atteggiamento arrogante e non cooperativo. Spesso 
tardiamo a dare il nostro contributo alle iniziative internazionali. 
Abbiamo negato la nostra partecipazione a vari progetti dell’Organizzazione 
Mondiale della Sanità. Abbiamo respinto il trattato sulla bio-diversità e 
quello sulla messa al bando delle mine. In un mondo che necessariamente 
deve diventare sempre più unito, questi atteggiamenti sono obsoleti.

Un tempo gli “aiuti all’estero” significavano condivisione di cibo, 
sementi, attrezzi agricoli, forniture mediche e supporti educativi. Oggi 
questo termine indica prevalentemente vendite di armi o “aiuti”, che 
vengono spesso usati per rafforzare indegni regimi oppressivi. Questo non 
ha senso in un mondo che soffre per la fame, per le epidemie di AIDS e di 
altre malattie.

Cosa si può fare? Come nazione abbiamo milioni di cittadini generosi che 
lavorano duro. Anche se devoti al nostro paese, siamo tuttavia largamente 
“spoliticizzati”. La maggioranza dei cittadini non vota nemmeno. Le nostre 
campagne politiche, costose ed estenuanti, allontanano molti che trovano 
che le riforme promesse non si materializzano. In questi tempi di crisi e 
di dolore possiamo convenire che è importante mostrarci come una nazione 
non solo potente, ma anche forte e saggia. Abbiamo i nostri santi e i 
nostri profeti. Uno, l’onorevole dott. Martin Luther King ci consigliò 
bene, quando disse: “L’oscurità non ci può far uscire dall’oscurità, 
soltanto la luce può farlo”. Egli pagò il prezzo estremo per far venire la 
luce. Possiamo noi, in qualche maniera tutti insieme, come nazione, 
condividere questa saggezza? Possiamo noi, in tutta la nostra giustificata 
rabbia e nel nostro dolore, fermarci abbastanza a lungo per chiederci 
questo importante PERCHE’?