[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
dossier GUERRA - versione 2
DOSSIER SULLA GUERRA n. 2
27.9.2001
Associazione PeaceLink
casella postale 2009
74100 Taranto
c/c postale 13403746
www.peacelink.it
info@peacelink.it
Quella attuale può essere
definita una guerra?
Queste sono le principali
definizioni di guerra:
- "Lotta armata tra due popoli o fra due o più Stati divisi in campi
opposti" (Enciclopedia De Agostini)
- "Contesa armata tra due o più Stati".(Dizionario
Pittano)
- "La lotta armata tra due o più Stati o tra fazioni di uno stesso
Stato" (Dizionario Garzanti)
- "Lotta tra due stati o all'interno di uno stato, condotta con le
armi, con o senza l'osservanza del diritto internazionale in
materia" (Dizionario DISC)
Bush sostiene che l'orrenda serie di attentati negli Usa siano un
"atto di guerra". Tuttavia la parola "guerra" si
applica ad una contesa armata fra stati o all'interno di uno stato fra
fazioni armate opposte (guerra civile). Fra "azione
terroristica" e "azione di guerra" vi è una distinzione
che si rileva dalle definizioni sopra riportate. Un atto di terrorismo
non è un atto di guerra a meno che non sia messo in atto o sostenuto da
uno Stato contro un altro Stato.
Perché, nonostante ciò,
viene usata la parola "guerra"?
La ragione è che un
terrorista si deve arrestare e processare, un nemico lo si può eliminare
fisicamente senza bisogno di processo. Ad esempio al tempo delle Brigate
Rosse in Italia vi fu un partito che invocò l'esercito e l'attuazione
dello stato di guerra per sconfiggere i brigatisti, invocando la pena di
morte.
Cosa ha detto il Papa degli attentati dell'11
settembre?
Giovanni Paolo II il giorno dopo (12/9/2001) ha
detto: "Non posso iniziare questa Udienza senza esprimere profondo
dolore per gli attacchi terroristici che nella giornata di ieri hanno
insanguinato l'America, causando migliaia di vittime e numerosissimi
feriti (...) Con partecipe affetto, mi rivolgo all'amato popolo degli
Stati Uniti in quest'ora di angoscia e di sgomento, in cui viene messo a
dura prova il coraggio di tanti uomini e donne di buona volontà. (...)
Imploriamo il Signore perché non prevalga la spirale dell'odio e della
violenza. La Vergine Santissima, Madre di misericordia, susciti nei cuori
di tutti pensieri di saggezza e propositi di pace".(Fonte: sito
Internet del Vaticano www.vatican.va)
In seguito il Papa ha invocato l'America a non cedere alla guerra
invitandola "a non cedere alla tentazione dell'odio e della
violenza, ma ad impegnarsi al servizio della giustizia e della
pace". (RAI Televideo 16/9/2001)
Sulla guerra la posizione vaticana è stata meglio specificata il 27
settembre: "Nessun via libera ai bombardamenti. Lo ha detto oggi il
portavoce Navarro, incontrando i giornalisti. "Si è fatta una
semplificazione ingiustificata, nessuno ha mai detto "fate come vi
pare" perché esiste una precisa etica cristiana sulla legittima
difesa, che tiene conto della proporzionalità e impone che non venga
versato il sangue di vittime innocenti". (RAI Televideo
27/9/01)
Dentro il mondo cattolico vi sono differenti
posizioni in merito?
Esiste un dibattito in cui Gianni Baget Bozzo
accusa “la volontà islamica di voler sostituire con violenza il
cristianesimo: la guerra di religione è entrata nella Storia”; il
cardinale Biffi ha pregato “perché la cristianità trovi la strada
giusta per la propria sopravvivenza” (Corriere della Sera 15/9/2001);
Giulio Andreotti sostiene: "Quello attuale è un momento che rischia
di diventare "muscolare". A maggior ragione occorre che si
faccia appello alle virtuose risorse della moderazione e del diritto come
fondamento anche della vita internazionale. A differenza della prepotente
massima degli antichi romani, io credo che chi vuole la pace debba
lavorare per la pace".
(editoriale intitolato "La miglior vendetta? Lavorare per la
pace", Corriere del Giorno 13/9/2001)
Perché non si fa ricorso all'Onu per affrontare
questa crisi internazionale?
"Chi sostiene che l'articolo 5 della Nato va
interpretato e che comunque qualsiasi decisione va rimessa all'Onu, punta
in realtà a mettere i bastoni tra le ruote agli americani. Lo sanno tutti
infatti che all'interno dell'Onu gli Usa non hanno la
maggioranza...", sostiene Gianfranco Pasquino, politologo ed ex
parlamentare DS (Corriere della Sera 15/9/2001)
Cosa detto Amnesty International?
Amnesty International appellandosi ai capi di
tutti i governi, il 14/9/2001 ha ricordato che "la solidarietà
internazionale alle vittime non può essere dimostrata cercando vendette
ma cooperando all'interno delle regole imposte dalle leggi, per arrestare
i responsabili. Criminalizzare intere comunità non porta a
nulla". (Fonte:
www.amnesty.org)
Cosa sostiene il governo americano?
"Gli Stati Uniti non hanno dubbi sulla
responsabilità di Osama bin Laden negli attentati di martedì scorso, ma
ci vorranno anni per avere la meglio. Lo ha detto il vicepresidente
Cheney, nella sua prima intervista pubblica dagli attacchi a New York e
Washington". (RAI Televideo 16/9/2001)
Sul Corriere della Sera del 16/9/2001 è riportata una dichiarazione di
Madeleine Albright, ex segretario di Stato americano: "Non è ancora
chiaro che si tratti davvero dell'opera di Osama Bin Laden. Ma è certo
che questo terrorista sta ricevendo aiuti in Afghanistan. E' importante
per noi e i nostri alleati ritenere responsabili per quello che sta
succedendo coloro che offrono rifugio ai terroristi. E' giunto il momento
di prendere posizione".
Bin Laden ha rivendicato gli attentati dell'11
settembre negli Stati Uniti?
"Il miliardario saudita Osama bin Laden ha
smentito di essere implicato negli attentati a New York e a Washington.
"Gli Stati Uniti puntano il dito contro di me, ma affermo
categoricamente che non sono stato io", ha detto bin Laden in un
comunicato all'Aip, l'agenzia di stampa dei Taleban con sede in Pakistan.
I leader religiosi hanno richiesto agli Stati Uniti le prove del
coinvolgimento di bin Laden". (RAI Televideo 16/9/2001)
Qual è la posizione del governo afghano?
L'ambasciatore afghano in Pakistan, Abdul Salam
Zaeef, ha escluso qualsiasi responsabilità di Bin Laden mostrando però
disponibilità verso una sua eventuale estradizione: "Solo però - ha
affermato - in presenza di prove certe che dimostrino il suo
coinvolgimento. Prove che studieremo per poi prendere una decisione alla
luce delle evidenze disponibili". (Fonte: Corriere del Giorno
13/9/2001)
Qual è la posizione del leader palestinese
Arafat?
"Arafat ha espresso le proprie condoglianze,
anche donando sangue a favore delle vittime". (Fonte: Corriere della
Sera 16/9/2001)
Cosa hanno rilevato i sondaggi di opinione?
"L'85% degli americani è favorevole ad
azioni militari e di essi il 75% ritiene che le ritorsioni vadano
intraprese anche se implicano vittime innocenti. E' quanto emerso da un
sondaggio d'opinione compiuto negli Usa da cui risulta che gran parte
degli americani appoggia in pieno la politica di Bush e tra i sacrifici
mette anche la rinuncia alla privacy e alla segretezza delle
conversazioni telefoniche." (RAI Televideo 16/9/2001)
Un sondaggio pubblicato il 27/9/01 da Il Messaggero riporta che il 45%
degli italiani è contro la guerra e il restante è a favore di un'azione
militare.
Ci sono prove contro Bin Laden?
Fino al 2 ottobre non sono mai state esibite le
prove contro Bin Laden. Il 2 ottobre le prove sono state
"dichiarate" alla stampa ma non mostrate. Ecco cosa riporta
l'Ansa: "Chiare e schiaccianti . Così il segretario generale della
Nato ha definito le prove fornite dagli Usa sulla responsabilità di Osama
Bin Laden negli attacchi dell'11 settembre . Le informazioni sono coperte
dal segreto e non possono essere divulgate , ha precisato Robertson, ma
sulla base di queste è stato deciso che l'attacco contro gli Usa ha avuto
un'origine esterna e sarà quindi considerato come un'azione coperta
dall'articolo 5 del trattato di Washington che definisce un attacco
contro uno o piu' alleati della Nato come un attacco a tutta l'alleanza.
Intanto da Washington Bush ha affermato che ''Sceglieremo noi il momento
d'agire: non c'è calendario, non c'è scadenza, non c'è negoziato con i
Taleban''. Ricevendo un gruppo di giornalisti, e parlando in diretta
televisiva, dopo avere incontrato i leaders del Congresso, Bush ha anche
ribadito che i Taleban devono onorare subito le richieste: consegnare
Osama bin Laden e smantellare i campi d'addestramento dei
terroristi". (ANSA 02/10/2001 15:35)
Il primo a poter vedere le "prove" - con due giorni di anticipo
rispetto al segretario genarale della Nato - è stato Tony Blair:
"Sui legami fra Osama bin Laden e gli attentati negli Stati Uniti
esistono "prove incontestabili". Lo ha dichiarato il premier
britannico Blair, aggiungendo di non poterle rendere pubbliche".
(RAI Televideo 30/9/01)
Tali prove non sono tuttavia rese note al Pakistan, nazione che è
chiamata a collaborare nella lotta al terrorismo: "Il presidente
pakistano Musharraf, ribadendo che l'esercito del suo paese non
parteciperà ad alcuna azione militare, ha aggiunto che finora da
Washington non sono arrivate prove sulla colpevolezza di bin Laden".
(RAI Televideo 30/9/01)
Come faranno i parlamentari a deliberare lo stato
di guerra se le prove sono segrete?
Il problema della segretezza delle prove pone una
questione di democrazia: in base all'articolo 78 della Costituzione il
Parlamento Italiano conferisce al Governo i poteri per fare la guerra, ma
i parlamentari allo stato attuale delle cose possono - se consultati
- esprimersi in base solo ad un rapporto di fiducia o di diffidenza
verso le dichiarazioni dei vertici Usa e Nato ma non sulla base di una
documentazione loro fornita comprovante il coinvolgimento
dell'Afghanistan negli attentati terroristici dell'11 settembre.
La Nato può intervenire a sostegno di un'azione
militare contro l'Afganistan?
La Nato deve rispettare l'articolo 1 che sancisce
per le "parti" (ossia le nazioni aderenti alla Nato) quanto
segue: "Le Parti si impegnano, in ottemperanza alla Carta
delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia
internazionale nella quale possano essere implicate, in modo da non
mettere in pericolo la pace, la sicurezza e la giustizia internazionali,
e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla
minaccia o all'impiego della forza in modo incompatibile con gli scopi
delle Nazioni Unite". Quindi il ricorso all'articolo 5 della Nato
(l'autotutela collettiva) è vincolato alla dimostrazione che l'Afganistan
è implicato negli attentati dell'11 settembre negli Usa. Altrimenti tutto
rientra nella definizione di "controversia" da "comporre
con mezzi pacifici".
Chi ha addestrato i guerriglieri di Bin
Laden?
I primi campi di addestramento dei guerriglieri
di bin Laden sono stati due campi scozzesi, rispettivamente nei pressi di
Criffel, nel Dumfries e nella remota penisola di Applecross nella Scozia
occidentale. La fonte di queste informazioni è "Il Giornale"
del 17/9/01 nel quale la corrispondente Erica Orsini da Londra annota:
"Soldati impeccabili, con un debole per i western di John Wayne.
Così erano i mujaheddin, l'"esercito" segreto di Osama Bin
Laden, che fu addestrato ad uccidere nei campi militari britannici, tra
le colline ricoperte d'erica della selvaggia Scozia. A rivelarlo ieri, in
un'intervista pubblicata sul quotidiano 'Sunday Mail' è stato proprio uno
degli "insegnanti" dei guerriglieri afghani che negli anni
Ottanta combatterono i russi supportati dagli americani e dagli inglesi.
Ken Connor, eroe dei corpi speciali inglesi fu incaricato di organizzare
i vari campi di addestramento e per farlo senza il coinvolgimento
dell'esercito nazionale dovette perfino rassegnare le dimissioni da
quest'ultimo". Ma vediamo cos'altro ha rivelato Ken Connor al Sunday
Mail: "Gran parte dell'infinita ricchezza dei Bin Laden - afferma -
è stata costituita da finanziamenti della Cia stanziati per la
costituzione di un governo "amico" afghano che combattesse la
guerra per conto degli Stati Uniti". I guerriglieri di Bin Laden
vennero addestrati molto bene. "Alcuni di loro furono addestrati
anche alla guida di elicotteri e all'attacco dei campi
d'aviazione".
"Oggi il presidente Bush - osserva Ken Connor - forse si starà
chiedendo quanto è costato veramente all'America l'addestramento dei
futuri soldati di Bin Laden".
Cosa ne pensava Bush dei Taleban?
"Cosa ne pensa dei Taleban?"
Intervistato da "Galmour" un anno fa, George W. Bush - allora
candidato alla Casa Bianca - fece scena muta. Poi si illuminò: "Sono
per caso un complesso rock?..." (Fonte: Il Giornale,
21/9/2001)
C'è il rischio di una guerra atomica?
"Gli Usa non escludono uso di armi nucleari.
Il segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld, non ha escluso il
ricorso alle armi nucleari nel conflitto contro i terroristi.
L'affermazione è stata fatta da Rumsfeld durante un'intervista
televisiva. Rispondendo ad una domanda, il ministro ha detto che
quest'opzione non è stata esclusa. (23/09/01 RAI Televideo)
Lo scudo spaziale può difenderci meglio?
Non tutti sono d'accordo sui benefici dello scudo
spaziale. "Missili nucleari lanciati sugli Stati Uniti e
intercettati dallo scudo antimissile progettato dal Pentagono potrebbero
cadere sull'Europa o in
qualche altra parte del mondo. Lo affermano alcuni ricercatori del
prestigioso Massachusetts Institute of Tecnology (Mit) di Boston. Il
programma di scudo spaziale, per il quale sono già iniziati i primi
esperimenti, ha come obiettivo la deviazione dei missili dalla loro
traiettoria ma non quello di distruggere le testate nucleari, che nel
caso l'intercettazione abbia successo potrebbero cadere in qualsiasi
parte della superficie terrestre, secondo i fisici del Mit. L'opzione del
Pentagono è quella di prendere di mira il missile nemico durante la fase
di propulsione, nel corso della quale è più facilmente avvistabile:
comportandosi come un piccolo razzo, esso emette calore, il che consente
di
localizzarlo. In seguito, in orbita bassa, il missile è più freddo e
molto più difficile da intercettare. "Anzitutto
l'intercettazione in fase di propulsione deve funzionare, il che è da
dimostrare", spiega George Lewis, fisico del Mit specializzato nei
sistemi di difesa antimissile. "Ma se questo funziona, la domanda
successiva è: dove andrà a cadere la testata nucleare?". Secondo
l'equipe di tre scienziati del Mit che da anni lavorano sulla questione,
con la tecnologia disponibile attualmente o negli anni a venire non
esiste alcuna possibilità di intercettare un missile controllandone allo
stesso tempo il punto di caduta. Che si tratti di missili intercettori o
di laser giganti su aerei o navi, non c'è alcuna possibilità che la
testata nucleare sia distrutta, assicurano i fisici di
Boston".
(Fonte: Il Giornale 8/9/2001, titolo dell'articolo: "Scudo, i
missili intercettati possono cadere
sull'Europa")
Vi sono analogie fra la prima guerra mondiale e
questa guerra annunciata?
Sì, in quanto la prima guerra mondiale nacque da
un atto di terrorismo che venne attribuito dall'Austria alla Serbia.
Vediamo come si svolsero i fatti. "Il 28 giugno 1914 nella città di
Sarajevo, capitale della Bosnia (la regione che l'Austria-Ungheria aveva
annesso nel 1908), uno studente nazionalista impugnò la pistola e sparò
contro l'erede al trono austro-ungarico, l'arciduca francesco Ferdinando,
che restò ucciso insieme con la moglie (...) Il governo austro-ungarico
attribuì immediatamente la responsabilità dell'attentato alla Serbia e
cercò di sfruttare il tragico avvenimento per infliggerle un colpo
definitivo. La Serbia era la maggiore indiziata perché aveva sempre
condannato l'annessione della Bosnia da parte dell'Impero austro-ungarico
e manifestava nei confronti di questo un'ostilità irriducibile. Oggi noi
sappiamo che il governo serbo non aveva responsabilità dirette
nell'attentato: era al corrente che un gruppo di terroristi stava
preparandolo, ma non riuscì ad impedirlo. Il governo austro-ungarico
ritenne tuttavia che gli indizi fossero sufficianti e lanciò un
ultimatum: entro due giorni la Serbia avrebbe dovuto sciogliere tutte le
formazioni antiaustriache e consentire a funzionari austriaci di compiere
ispezioni sul suo territorio per accertare le responsabilità
dell'attentato. La Serbia accettò il primo punto , ma rifiutò le
ispezioni, ordinando contemporaneamente la mobilitazione generale (cioè
la chiamata alle armi della popolazione). Era la guerra: quando il 28
luglio la capitale della Serbia, Belgrado, fu bombardata dai cannoni
austriaci, si scatenò una reazione a catena che trascinò nel conflitto,
una dopo l'altra, tutte le grandi potenze europee". (Fonte: Calvani
Vittoria e Giardina Andrea, "La storia dall'Illuminismo ai
giorni nostri", Arnoldo Mondadori)
----- Appendice -----
Sommario:
- "Ecco
come darei la caccia a Bin Laden"
- Pensieri
sulla guerra
- Storia
dei pensieri sulla guerra
- "La
vendetta? Non in nome di nostro figlio"
- Il
rischio dell'intolleranza religiosa
ECCO COME DAREI LA CACCIA A BIN LADEN!
NEWSLETTER DIPIETRO2001
28 settembre 2001
Come fermare Osama Bin Laden e la sua rete terroristica internazionale?
E' la domanda che ci assilla tutti. Combattendolo su più fronti
ovviamente, come ha di recente ammonito il Presidente americano Bush:
quello giudiziario, militare, politico, culturale, religioso,
economico, finanziario. Ecco, vorrei soffermarmi su quest'ultimo aspetto
che è poi, a mio avviso, un punto nodale per la lotta al terrorismo.
Solo prosciugando le fonti di approvvigionamento e interrompendo i
finanziamenti, si possono sterilizzare le azioni dei terroristi.
Bin Laden ha potuto agire grazie a ai suoi soldi. Soldi che non tiene
certo a Kabul o nascosti nelle montagne o nelle grotte afgane. Li tiene -
depositati o investiti - nelle banche dei soliti paradisi fiscali: Cipro,
Panama Isole Cayman ma soprattutto a Vaduz nel Liechtestein, a Nassau
nelle Bahamas ed a Riad in Arabia Saudita.
Si pensi a quanto denaro è stato necessario per realizzare gli attentati
dell'11 settembre negli Usa: decine, forse centinaia di terroristi e
fiancheggiatori da mantenere per mesi, e forse per anni, nel territorio
americano, piloti da addestrare, famiglie da accudire (anche dopo la
morte dei kamikaze), spionaggio e coperture da attivare, coordinamento
logistico da sincronizzare e così via.
IL TERRORISMO COSTA
Insomma anche il terrorismo costa. Siccome a pagare sembra che ci pensi
(e nel caso di New York ci abbia pensato) Bin Laden, bisogna scovare,
sequestrare e bloccare le sue risorse finanziarie per renderlo impotente.
Come fare? Indagando su di lui, ovviamente e su chi gli è stato e gli sta
più vicino. Bisogna ricostruire la sua vita, individuare i suoi legami,
ripercorrere i luoghi che ha frequentato, individuare i suoi amici,
analizzare le sue attività. Sembrano cose scontate ma spesso è
proprio su queste bucce di banane che inciampano gli investigatori ed il
guaio è che ci inciampano non tanto per difetto (di investigazione,
intendo dire) quanto per eccesso, immaginando, prima di averne le prove,
soluzioni fantascientifiche e poi perdendo tempo e risorse per dimostrare
l'indimostrabile (per rendercene conto basti pensare alla tragedia del
mostro di Firenze trasformata in una telenovela o al sequestro di Aldo
Moro che secondo alcuni bisognava scoprire ricorrendo alla cartomante).
Ecco, cominciamo allora con il "ripulire" la storia personale
di Bin Laden dal "romanzo" che se ne è fatto. Egli non è figlio
del demonio, con possibilità infinite di replicarsi e di farsi gioco di
tutte le polizie del mondo. Se ha scelto l'America ed alcuni paesi
europei come suoi
principali obiettivi è perché li conosce bene per averci vissuto e
lavorato e per aver intrecciato in quei paesi pericolose relazioni di
connivenza e collaborazione. Negli anni ottanta, infatti, egli è stato un
alleato degli USA che di lui e dei suoi uomini si sono serviti, anche
armando le loro mani e insegnando loro a fare la guerra, per fermare i
sovietici in Afghanistan.
LA FAMIGLIA E GLI AMICI IN ARABIA SAUDITA
Di più. L'intera famiglia Bin Laden ha fatto fortuna proprio in America
(ironia della sorte in alcuni casi proprio facendo affari con la famiglia
Bush). In particolare, il fratello Salem ha fondato nel '73 ad Austin,
nel Texas, la compagnia aerea Bin Laden Aviation ed il suo miglior amico
Kheld Bin Manfuz è stato l'uomo chiave dell' affaire BCCI (uno scandalo
americano di proporzioni enormi riguardanti finanziamenti occulti e
iregolari a formazioni guerrigliere in America Latina ed in Medio Oriente
con denaro anche proveniente dalla droga).
Bin Laden viene comunemente descritto come un miliardario ma in realtà
sulla sua reale posizione patrimoniale si hanno poche notizie.
Certamente viene da una ricca famiglia molto ben introdotta in Arabia
Saudita. I suoi parenti (ha quattro mogli, diversi figli, circa 50 tra
fratelli e sorelle) sono titolari di un vero e proprio impero economico,
il Saudi Bin Ladin Group (SBG) con interessi petroliferi e nelle
costruzioni. Molti di essi lo hanno rinnegato e Osama Bin Laden è pure
stato scacciato dal suo paese per aver criticato la monarchia saudita
allorché questa fece entrare nel suo territorio truppe statunitensi
("gli infedeli") per pianificare la Guerra del Golfo contro
Saddam Hussein. Egli però sicuramente può contare ancora sui parenti e
amici più stretti. Da questi e su questi bisogna allora cominciare le
indagini bancarie e finanziarie, per trovare il patrimonio di Bin Laden e
non tanto su lui personalmente (egli sapendo di essere ricercato da anni
dalle migliori polizie internazionali, si sarà guardato
bene dall'agire con il proprio nome). Insomma, appunterei le prime
indagini - cosa che sicuramente gli 007 statunitensi, inglesi e
israeliani stanno facendo - proprio in Arabia Saudita. E' questo un paese
davvero strano, con potentati finanziari e governanti reali che vanno a
braccetto con gli Stati Uniti ma con l'integralismo islamico nel cuore.
Probabilmente è proprio da lì oltre che dall'Iraq di Saddam Hussein - che
partono i finanziamenti più cospicui e più occulti a favore dei
terroristi, magari sotto forma di donazioni ed elargizioni umanitarie e
di beneficenza. In Arabia Saudita, la maggior parte del denaro
proveniente dall'aumento del prezzo del petrolio (da 4 mila a 8 mila
miliardi di dollari sostengono gli analisti) si è letteralmente
volatilizzato andando ad alimentare l'extrabudget e soprattutto la
corruzione.
L'APERTURA DEI FORZIERI NEI PARADISI FISCALI
Purtroppo manca una qualsiasi normativa in materia di controllo dei
flussi di miliardi che entrano ed escono da quel paese. Non esiste, come
in quasi tutti i paesi del Medio Oriente peraltro, una legge contro il
riciclaggio. Eppure le connessioni saudite tribali e familiari di Bin
Laden sono l'inizio della catena dell'indagine da cui non si può
prescindere.
Anche a costo di imporre con la forza della persuasione (politica,
diplomatica, economica e militare) ai regnanti sauditi di rivedere e
rendere più trasparente la propria legislazione societaria, bancaria e
finanziaria interna. Cosa questa che solo gli Stati Uniti hanno la forza
e la possibilità di fare.
Il canale terminale della rete finanziaria di Bin Laden va invece
ricercato in alcuni specifici paradisi fiscali, in particolare delle
Bahamas e del Liectesthein, ove vanno cercati i suoi collegamenti con
esponenti della mafia russa (già proprio di quella Russia tanto odiata e
combattuta da Osama). A Vaduz ed a Nassau ancora oggi esistono e
prolificano alcuni studi legali e fiduciari di comodo conosciuti e
conoscibilissimi per chi è del mestiere e conosce un po' la storia delle
transazioni finanziarie internazionali (anch'io ho avuto modo di
individuarli ai tempi di Mani Pulite) che fanno da schermo impenetrabile
alle più smaccate operazioni di riciclaggio del denaro provenente dalla
droga e destinato al commercio delle armi. Perché bisognerebbe indagare
su costoro? Ma perché Bin Laden deve tutti i giorni comprare armi e
munizioni ed in Afganistan l'unica cosa che ha
a disposizione per farvi fronte è l'oppio e l'eroina. E perché la mafia
russa? Perché è l'unica organizzazione "vicina"
territorialmente all'Afganistan in grado di fornire ogni tipo di armi a
Bin Laden (più dell'Iraq, più del Sudan che pure sono suoi abituali
fornitori ma le cui operazioni sono sotto il costante controllo degli
USA). Che fare allora, in concreto? Bisogna setacciare ed acquisire ogni
documentazione esistente presso gli studi legali e finanziari sospetti
con sede nei predetti paradisi fiscali, con operazioni non giudiziarie ma
dei servizi segreti. Non è possibile, infatti, ricorrere alla
Magistratura di quei paesi per avere regolari mandati perché è troppo
ingessata da una
legislazione di favore e di copertura, dovuta al fatto che quei paradisi
fiscali si mantengono e ingrassano proprio e solo per questo particolare
tipo di economia.
Lo so, i "puristi" del diritto inorridiranno di fronte a questa
proposta ed anche a me, da ex magistrato, ripugna ma, come ha detto il
Presidente degli Stati Uniti, siamo in guerra e questa guerra va
combattuta anche con "armi non convenzionali". Tra queste può e
deve rientrarci l'apertura anche forzata ed occulta dei forzieri e
dei documenti depositati nei paradisi fiscali, al di la' e al di fuori
dei conniventi vincoli di legge di quei paesi. Non a caso, d'altronde, il
Governo statunitense, pochi giorni dopo l'attentato alle Torri Gemelle ha
istituito un apposito organismo investigativo, il Foreign Terrorist Asset
Tracking Center (FTATC), alle dipendenze del Ministero del Tesoro ( ed
anche questo la dice lunga) con lo specifico scopo di dirigere e
coordinare il lavoro di intelligence nazionale ed internazionale per
rintracciare banche, finanziarie e fiduciari che in
qualche modo forniscono sostegno ai criminali. Probabilmente questo
organismo dovrà "saltare" le procedure delle
"rogatorie" se vuole che il suo lavoro abbia successo ma,
d'altronde, trattasi per stessa ammissione di Bush di una
"guerra sporca" e individuare e sequestrare la contabilità
occulta degli "gnomi" (così vengono chiamati in gergo i
fiduciari che operano nei paradisi fiscali) è un atto
necessitato per tagliare le vie di rifornimento economico ai
terroristi.
I RAPPORTI CON GLI STATI "CANAGLIA"
Un altro cordone ombelicale che consente a Bin Laden ed ai suoi seguaci
di armarsi e guerreggiare è il rapporto di sangue che lo lega ad alcuni
rais e dittatori che ancora spadroneggiano in Medio Oriente (Saddam
Hussein in particolare). Insomma ci sono in Medio Oriente nazioni,
produttori di petrolio, che sponsorizzano e foraggiano il terrorismo.
Sono i cosiddetti "Stati canaglia" (ad esempio Iran, Iraq,
Libia, Siria, Sudan) che aggirano gli embarghi e le sanzioni dell'ONU con
triangolazioni di comodo al fine di fare soldi e di destinarne una parte
a favore di quei terroristi disponibili ad azioni criminali nei confronti
di quei paesi occidentali che hanno decretato l'embargo.
Come avvengono le triangolazioni illegali ? Ad esempio, in Iraq, l'ONU ha
autorizzato Baghdad ad esportare 90 mila barili di greggio al giorno in
Giordania in cambio di cibo e medicine. Nell'oleodotto che collega i due
paesi, però transitano oltre 150 mila barili al giorno di petrolio ed
allora Damasco tiene per sé il petrolio iracheno ed esporta il proprio.
C'è da scommettere che Saddam utilizzi il maggior denaro incassato per
attività del tutto diverse da quelle umanitarie.
Ecco, l'Occidente deve smetterla di tollerare simili furbizie e
richiamare Stati amici e moderati come la Giordania a non fare i
"furbi, a non fare il "doppio gioco". Certo per farlo,
molti paesi
occidentali (Italia compresa) devono darsi una "regolata" anche
loro e non fare i furbi a propria volta. Che senso ha, ad esempio,
decretare l'embargo del petrolio dall'Iraq e poi acconsentire e
incentivare la presenza in quel paese di primarie compagnie petrolifere
come l'Elf, l'Agip, la Mobil per estrarre maggior petrolio? E che dire
delle laute commesse per infrastrutture che vengono commissionate e
realizzate da multinazionali occidentali proprio negli "Stati
canaglia"?
L'IPOCRISIA DELL'OCCIDENTE
Insomma, fino ad oggi vi è stata, in Occidente, anche tanta ipocrisia
nella lotta ai paesi finanziatori del terrorismo: a parole molte
condanne, nei fatti parecchi affari. Ed allora ritorna il dilemma di
sempre: ma chi comanda nei paesi occidentali? Il Governo reale
corrisponde al governo reale? Non è che nella realtà le lobby economiche
e finanziarie condizionano le attività e le decisioni
politiche? Ma questa è un'altra storia ed è bene tornare alla nostra
virtuale caccia al tesoro di Bin Laden. Per esempio, con una indagine
mirata sulla compravendita in borsa di alcuni titoli a rischio nei giorni
a cavallo della strage di New York (azioni di compagnie aeree e di
società assicurative). Si sa che qualcuno ha speculato su questi titoli
con il sistema dei "future", vale a dire "vendendo oggi
quel che si paga al prezzo di domani". Ad esempio comprando
un'azione delle United Airlanes (la compagnia aerea proprietaria dei
velivoli abbattuti) che il giorno prima della strage poteva valere
(mettiamo) 1000, il giorno dopo valeva 100. Ciò vuol dire che solo chi
conosceva in anticipo cosa sarebbe successo di lì a poco poteva
arrischiarsi a commerciare in simili tipi di "future",
speculando in borsa. Cose queste che potevano sapere solo i
fiancheggiatori, i finanziatori e i mandanti dei terroristi che hanno
agito. Un'indagine mirata su queste speculazioni potrebbe portare a
scoprire il "terzo livello" dell'organizzazione ( e magari ed è
probabile che così sia individuando insospettabili magnati dell'odiato
Occidente in combutta con i fondamentalisti islamici di Bin Laden).
Come si può notare, i filoni di indagine da coltivare possono essere
tanti e quelli descritti sono solo alcuni. E nemmeno i più sofisticati.
Ma lasciamo ai specialisti fare il loro mestiere e non anticipiamo i
tempi, anche per non disperdere il vantaggio del "fattore
sorpresa".
Antonio Di Pietro
SCHEDA: PAROLE SULLA GUERRA
"E' stato un atto di guerra, non solo di
terrorismo. Un nuovo tipo di guerra, per la quale noi chiameremo gli
altri paesi ad unirsi a noi: ci è stata dichiarata guerra e noi guideremo
il mondo alla vittoria".
"Sarà una battaglia lunga. Ma non abbiate dubbi: la vinceremo.
Questa sarà una gigantesca lotta del bene contro il male, ma il bene
prevarrà.
"Non ci sara' nessuna distinzione fra i terroristi che hanno
compiuto l'attacco e gli Stati che li fiancheggiano".
George W. Bush, Presidente degli Stati Uniti
----------------------------
"Abbiamo bisogno di giustizia, non di guerra. [...] Dobbiamo
proteggere la nostra sicurezza, ma non distruggere Kabul: che vuol dire
la politica di Bush? Vogliamo cancellare l'Afghanistan dalla carta
geografica? Le risposte che sono necessarie sono politiche, chiudere il
gap tra ricchi e poveri, tra bianchi e neri, tra nord e sud del
mondo".
Cora Weiss, presidente dell'International Peace Bureau
----------------------------
"E' certo l'inizio di una guerra globale, diversa da tutte quelle
che abbiamo conosciuto, e con la particolarità che non ci sono soluzioni
militari a questo conflitto. Eppure i leader occidentali hanno reagito
subito in termini militari e il rischio e' che questa finisca per essere
davvero una guerra tra civiltà, con conseguenze ben ancora più gravi e
drammatiche di quelle che hanno avuto gli attacchi a New York e
Washington. Ci potrebbe essere un dilagare della violenza a scala
planetaria che non ha precedenti".
"I nuovi movimenti globali devono continuare a chiedere che che
siano affrontati i problemi del pianeta, le sofferenze degli oppressi, le
diseguaglianze, che le decisioni a scala globale siano prese in modo più
democratico e rappresentativo. Se no la violenza, in un modo o
nell'altro, sarà destinata a restare con noi".
Richard Falk, docente universitario a Princeton
----------------------------
"Spiacevoli ma accettabili eventuali vittime civili in atti di
rappresaglia, visto le perdite subite dai nostri".
Bill Bennett, senatore Usa
----------------------------
"Non si possono sacrificare vittime innocenti per soddisfare la sete
di potere dei governi imperiali e dei conflitti di coloro che si
considerano padroni del mondo e pretendono di ripartire il pianeta come
se fossero fette di una torta appetitosa. Gli attentati dell'11 settembre
dimostrano che non c'è scienza e tecnologia capace di proteggere persone
o nazioni. Inutile che gli Usa abbiano speso 400
miliardi di dollari quest'anno per la difesa. Sarebbe stato meglio che
questa fortuna fosse stata destinata alla pace mondiale, che solo
arriverà il giorno in cui sarà figlia della giustizia".
Frei Betto, sociologo e scrittore brasiliano
----------------------------
"Questo dibattito è importante perché siamo di fronte a un attacco
di proporzioni epocali. Non solo contro gli Stati uniti, ma anche contro
i valore democratici in cui noi tutti crediamo cosi' appassionatamente.
E' un attacco contro il mondo civilizzato".
Tony Blair, primo ministro inglese
----------------------------
[Dissento da chi] "pensa che mostrare i muscoli e andare a colpire
donne, bambini, vittime innocenti, cioé gli stessi obiettivi dei
terroristi, sia la soluzione a questo problema. Il pericolo e' quello di
una generazione in Irak e Medio oriente che sta crescendo nell'odio
più assoluto degli Stati Uniti. Questo è il problema da affrontare
e non con i bombardamenti visti nel passato".
Tam Dalylell, deputato più anziano della Camera dei Comuni inglese
----------------------------
"Questi attentati richiedono una lotta senza quartiere contro il
terrorismo. Sappiamo di difendere in questo modo i valori che sono alla
base della civiltà e della pacifica convivenza fra i popoli. I popoli
liberi debbono essere uniti e compatti nella risposta a questo atto di
guerra contro il mondo civile".
Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica Italiana
----------------------------
"C'è dietro l'idea che la civiltà sia unica, con la 'c' maiuscola, e
tutto quello che è diverso da noi, sia alieno e barbarico. Questo
ragionamento è antropologicamente inaccettabile; trovo gli stereotipi
di questo genere dal punto di vista culturale e politico, molto
pericolosi. Nessuno pensa che i terroristi siano delle brave persone, ma
sta di fatto che il terrorismo e' sempre un fatto politico, viene da una
crisi, una mancanza, un fallimento della politica. La civiltà non
c'entra".
Fabrizio Tonello, docente all'università di Padova
----------------------------
"Questo è il copione dello scontro di civiltà, l'idea sviluppata
qualche anno fa da Samuel Huntington, secondo cui gli Stati uniti devono
scontrarsi con le civiltà del pianeta che hanno valori e orizzonti
diversi da quelli occidentali, soprattutto con il mondo islamico. Una
visione pericolosa che aggrava i problemi e le tensioni esistenti, a
partire da quelli in Medio oriente, dove la politica degli Stati uniti ha
aggravato il conflitto, con il sostegno incondizionato a Israele e nessun
attenzione per i diritti e le sofferenze dei palestinesi".
Marcus Raskin, politologo, docente alla George Washington University, un
tempo consigliere di John Kennedy alla Casa Bianca, fondatore
dell'Institute for policy studies di Washington
----------------------------
"Il risultato di questi attacchi e' che Israele si ritrova un
mandato in bianco per trattare a modo suo con i palestinesi, crea una
situazione in cui tutti i governi repressivi hanno via libera nei
confronti di
qualunque sfida possano subire, aumenta insomma la legittimità di
politiche di repressione. Il governo Usa è ora più forte nei confronti
della propria società civile, i cittadini saranno pronti ad accettare
limitazioni della libertà, a dare più poteri discrezionali alla polizia
nei confronti dell'opposizione. Tutto questo rafforza quello che abbiamo
visto con le maniere usate dal governo italiano nei confronti della
protesta contro il G8 di Genova del luglio scorso".
Cora Weiss, presidente dell'International Peace Bureau
----------------------------
"Ci stanno uccidendo lentamente giorno dopo giorno - sostiene Abed,
palestinese, venti anni occhialetti da intellettuale in un buon inglese -
e ormai il numero di giovani senza speranza cresce sempre di più".
"Tutti sono in bilico tra l'emigrazione, se ci riescono e se si
hanno i soldi per farlo - sostiene dopo averci invitato nella sua casa
dalle pareti e dal soffitto ammuffiti dove in due stanze vive con i suoi
sei fratelli e sorelle e la madre malata - e il sacrificare la propria
vita per il nostro paese. Non e' fanatismo ma disperazione. Loro hanno
armi potentissime, noi i nostri corpi. La politica degli Usa e di
Israele, non sta lasciando a milioni di palestinesi, di arabi e di
musulmani altra alternativa che una lotta senza quartiere. Di fare, in
parte e su scala assai piu' ridotta, quel che loro in realta' hanno
sempre fatto".
"Quello che ha buttato l'aereo contro le torri gemelle - sostiene
poco dopo uno dei suoi fratelli, laureato in ingegneria ma costretto a
vendere polli in un girarrosto ambulante - non è certo più colpevole dei
piloti americani che hanno sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e
Nagasaki o di Sharon che è arrivato a bruciare vivi con le bombe al
fosforo tanti abitanti dei campi o di Beirut. Purtroppo il giudizio
morale sulle bombe sembra dipendere solo dal fatto se uno ci sta sotto o
sopra. Non se debbano essere usate o meno come dovrebbe essere. Questo è
il mondo che hanno voluto gli Usa e che hanno ottenuto. E per capirlo
bisogna guardarlo anche dalla parte dei poveri polli, non solo da quella
dell'oste".
(da: Il Manifesto, servizio da Beirut)
----------------------------
"Ogni attacco armato sul territorio di alleati, proveniente da
qualsiasi direzione, dara' luogo all'applicazione degli articoli 5 e 6
del trattato di Washington. La sicurezza dell'alleanza deve comunque
tener conto anche del contesto globale. L'interesse alla sicurezza
dell'alleanza può essere toccato da altri rischi di più ampia natura,
compresi atti di terrorismo, sabotaggio, crimine organizzato, e dalla
interruzione del flusso di risorse vitali. Anche il movimento
incontrollato di un grande numero di persone, in particolare quale
conseguenza di conflitti armati, può porre problemi per la sicurezza e la
stabilità dell'alleanza. All'interno dell'alleanza esistono intese
finalizzate alla consultazione fra gli alleati e al coordinamento dei
loro sforzi, incluse le loro risposte a rischi di questo
tipo>>
Dal "Nuovo concetto strategico della Nato", sottoscritto dai
paesi membri nell'aprile '99 durante la guerra del Kosovo, firmato per
l'Italia da Massimo D'Alema e mai sottoposto a ratifica del Parlamento
Italiano
----------------------------
"Noi siamo pronti a pagare qualsiasi prezzo per difenderci, e a
utilizzare tutti i mezzi per prenderci la rivincita".
Mohammad Omar, guida spirituale dei taleban, mullah della moschea
Kandahar, Afghanistan
"Musulmani di tutto il mondo, dobbiamo unirci se gli Usa ci
attaccano", un imam della moschea di Kabul
----------------------------
"I mujahedin che proteggono Osama bin Laden e fanno attentati per
suo conto? Li abbiamo addestrati noi in Scozia".
"I mujahedin erano buoni soldati ma non avevano grandi abilita'
tattiche e di progettazione. [...] il risultato piu' grande che abbiamo
ottenuto è stato quello di trasformare un gruppo di buoni soldati, ma
disorganizzati, in una organizzatissima unità combattente>>
Ken Connor, ex membro delle SAS, le teste di cuoio inglesi
----------------------------
"E' questo il risultato di una politica perseguita dagli Stati uniti
da Reagan, George Bush Senior, Clinton. Il contesto cambia, ma di poco.
Gli americani, in Afganistan, in Algeria, in Arabia saudita, Egitto hanno
negli ultimi dieci o quindici anni reclutato, addestrato e finanziato le
persone sbagliate: la Cia, in Afganistan, ha condotto una operazione in
funzione antisovietica, finanziando i Mujahiddin con 6 milioni di
dollari. Venne considerata dai servizi segreti un vero successo. Mezze
figure del fanatismo islamico vennero incoraggiate e
"appaltate"".
Gabriel Kolko, Professor Emeritus alla York University di Toronto
----------------------------
"Il dominio sul mondo ha come prezzo il venire in conflitto con tipi
come bin Laden i quali, lungi dall'essere "fuori della
civilta'" sono un puro prodotto della politica estera americana di
appena 15 anni or sono. Era di Reagan e di Bush padre, per quelli che
hanno memoria".
Fabrizio Tonello, docente all'università di Padova
----------------------------
"Il fondamentalismo islamico [...] ha i suoi inconfutabili alibi:
mezzo secolo di guerre americane in Medio-oriente e no (talune con
l'avvallo dei governi italiani, oltre a quello di tutte le altre nazioni
del Patto, e sul quale ho trovato inutile sia dissentire che consentire)
sono un alibi sacrosanto".
[Noi che] "proviamo sconcerto e pena e solidarieta' per le vittime
dei terroristi kamikaze e che tuttavia non dimentichiamo lo sconcerto e
la pena, e un senso di solidarieta' per quanto frustrata dal sistema, per
i popoli affamati, calpesatati, sfruttati (e dai loro stessi capi e
dall'accidente tutto) del Medio Oriente e dell' Africa e del Sud America:
soltanto ci permettiamo, e non ci stancheremo di permetterci, di dire che
il nostro non e' il Regno del Bene e il loro non e' l'Impero
del Male".
Aldo Busi, scrittore
----------------------------
"Su come reagire abbiamo la possibilità di una scelta. Possiamo
esprimere un orrore giustificato; possiamo tentare di capire cosa può
aver portato al gesto criminale, e ciò significa fare uno sforzo per
entrare nella mente dei possibili autori dell'attentato. Se scegliamo
questa seconda strada, non possiamo fare di meglio, credo, che ascoltare
le parole di Robert Fisk, la cui diretta conoscenza e familiarità con gli
affari interni della regione è incomparabile dopo tanti anni di studio.
Descrivendo la "malvagità e la spaventosa crudeltà di un popolo
oppresso e umiliato", egli scrive che "non è la guerra della
democrazia contro il terrore che al mondo verrà chiesta di combattere nei
giorni a venire. Ma si tratta anche dei missili americani che distruggono
le case dei palestinesi, degli elicotteri Usa che centrano un'ambulanza
libanese, e di bombe americane che esplodono su un paese
di nome Qana, e ancora della milizia libanese - pagata e attrezzata
dall'alleato israeliano dell'America - che rapisce, stupra e uccide nei
campi profughi". E ancora molto di più. Di nuovo, abbiamo la scelta:
possiamo tentare di capire, o rifiutarci di farlo, contribuendo al
concretizzarsi dell'ipotesi che il peggio sia ancora davanti a
noi".
Noam Chomsky, linguista, docente al MIT di Boston, nonché autorevole
intellettuale radical americano
----------------------------
"Le politiche economiche che gli Stati uniti e gli altri paesi
ricchi hanno imposto al mondo hanno provocato disastri sociali. Negli USA
e in molti paesi europei c'è prosperità, mentre nel resto del mondo è
solo povertà, guerra, fame, malattie. Quando gli Stati Uniti si sono
interessati a qualche problema nel mondo, hanno seguito due strade: o
hanno puntato ad un controllo militare dell'area interessata dalla loro
azione, o hanno imposto misure economiche che hanno spesso fatto
aumentare la miseria e la povertà".
"Pensiamo ai biglietti lasciati a Manhattan dove si può leggere
"peace, not war", "no more killing". Oppure al senso
di solidarietà comune che c'è nelle vegli di preghiera. Sono semplici
messaggi e
pratiche che sono contro l'escalation della guerra. [...] Sono messaggi
scritti da giovani e meno giovani, persone che vogliono immaginare una
vita buona da vivere. Sono uomini donne che non vogliono la guerra. Posso
sbagliare, ma spero di no, ma questi sono sentimenti fortemente presenti
nell'opinione pubblica americani e che possono diventare il germe di un
nuovo movimento contro l'escalation militare".
Saskia Sassen, economista, autrice del libro "Global
City"
----------------------------
"Dallo stesso senso di vulnerabilità di questi giorni può nascere un
altro percorso. Se il mondo e' entrato in casa nostra con gli squarci
nelle torri gemelle di New York, possiamo iniziare a vedere i problemi
che ci sono nel mondo, possiamo metterci nei panni degli altri, smettere
con l'amnesia per le conseguenze delle nostre azioni, pensare a un
sistema commerciale piu' equo, ad uno sviluppo sostenibile, a un disarmo
radicale, al divario crescente tra ricchi e poveri del pianeta. Ma per
questo occorre un cambiamento profondo del nostro modo di pensare.
Dovremmo abbandonare un modo di vivere basato sul principio che noi
sappiamo fare meglio di chiunque altro, che dobbiamo essere i primi per
forza. Dovremmo smetterla di imporre al resto del mondo le nostre idee e
le nostre politiche. E' un percorso che si deve fare fuori dalla
politica, dalle strategie del governo, ma che deve svilupparsi nella
società civile, nelle reti transnazionali, per arrivare in sedi come le
Nazioni Unite e da qui fare pressione sulla politica
americana".
Marcus Raskin, politologo, docente alla George Washington University, un
tempo consigliere di John Kennedy alla Casa Bianca, fondatore
dell'Institute for policy studies di Washington
Tutte le citazioni di questa scheda "parole sulla guerra"
sono state tratte da interviste pubblicate su
http://www.ilmanifesto.it/
eccetto: le dichiarazioni di Bush
(http://www.repubblica.it/
), le riflessioni di Tonello sulla civiltà (trascrizione
dell'intervista di
http://www.radiopopolare.it/
), il pezzo di Chomsky (disponibile ormai su molti siti web). La scheda è
a cura di franxe@katamail.com
STORIA DELLE PAROLE SULLA GUERRA
"Disprezzo profondamente chi è felice di marciare nei
ranghi e nelle formazioni militari al seguito di una musica: costui solo
per errore ha ricevuto un cervello; un midollo spinale gli sarebbe più
che sufficiente".
Albert Einstein
"Una sola cosa non ha sviluppato l'uomo: la caserma".
Joseph Ernest Renan (1823-1892), scrittore francese
"E' con i poveri che i ricchi si fanno la guerra".
Luis Blanc (1811-1882), uomo politico francese
"Una guerra perduta come pure una guerra vittoriosa porta un aumento
delle banche e delle industrie".
Max Weber(1864-1920), sociologo tedesco
"L'uomo deve essere educato a far la guerra e la donna costituirà il
passatempo del guerriero; tutto il resto è follia".
Friedrich Nietzsche (1844-1900), filosofo tedesco
"Chi vede come noi uomini siamo fattie pensa che la guerra è bellao
che valga più della paceè storpio di mente".
Cartesio
"I vantagi della guerra, se ce n'è qualcuno, sono solo per i potenti
della nazione vincente. Gli svantaggi ricadono sulla povera
gente".
Bertrand Russel
"Le guerre si fanno per creare debiti. La guerra è il sabotaggio più
atroce".
Ezra Pound
"Combattere e vincere cento battaglie non è prova di suprema
eccellenza; la suprema bravura consiste nel piegare la resistenza del
nemico senza combattere".
Sun Tzu
"Se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno rimarrebbe nelle
mie file".
Federico II Hohenzollern, re di Prussia (1712-1786)
Elogio della guerra. "E' la salute etica dei popoli (...) è come il
movimento dei venti per le acque del mare: evita che queste si
putrefacciano".
Hegel
"Abbiamo bisogni di cadaveri per lastricare le strade di tutti i
trionfi".
Giovanni Papini (1881-1956), scrittore interventista
Il trucco della guerra. "La guerra non è altro che una comoda
elusione dei compiti della pace. In quanto sostituisce l'avventura
esterna al lavoro e al miglioramento interno, essa è moralmente così
screditata che si può ben pensare non sia mai stata altro che un mezzo di
oppressione interna e di assoggettamento dei popoli, il grande mezzo
ingannatore per indurli a gridare 'evvive' alla propria sconfitta di
fronte al governo vittorioso".
Thomas Mann (1875-1955), scrittore tedesco
Esaltarsi alla guerra. "Quando ascontando vecchie canzoni o
addirittura marce militari sento un brivido che comincia a serpeggiarmi
per le vene, mi oppongo alla tentazione dicendomi che anche gli
scimpanzé, per prepararsi o istigarsi alla lotta, emettono rumori
ritmici".
Konrad Lorenz (1903-1989), etologo
austriaco14
Spietatezza bellica. "E' questione di
umanità far la guerra in maniera feroce affinché finisca
bprima".
F. von Bernhardi
"Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione
distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all'antagonista di questa
pulsione: l'Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini
deve agire contro la guerra (...) La psicoanalisi non ha bisogno di
vergognarsi se qui si parla d'amore, perché la religione dice la stessa
cosa: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Ora, questo è un
precetto facile da esigere, ma difficile da attuare. L'altro tipo di
legame emotivo è quello per identificazione. Tutto ciò che provoca
solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti comuni di
questo genere, le identificazioni. Su di esse riposa in buona parte
l'assetto della società umana".
Sigmund Freud, 1932, lettera ad Einstein
"Vi è una possibilità di dirigere l'evoluzione psichica degli uomini
in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell'odio e della
distruzione? Non penso qui affatto solo alle cosiddette masse incolte.
L'esperienza prova che piuttosto la cosiddetta "intellighenzia"
cede per prima a queste rovinose suggestioni collettive, poiché
l'intellettuale non ha contatto diretto con la rozza realtà, ma la vive
attraverso la sua forma riassuntiva più facile, quella della pagina
stampata".
Albert Einstein, 1932, lettera a Sigmund Freud
"Facciamo la guerra per poter vivere in pace".
Aristotele
"La razza umana è diventata forte nella lotta perpetua, e non potà
che perire in una perpetua pace". Adolf Hitler
"Tutti i popoli sono per la pace, nessun governo lo è".
Paul Leautaud
"La sola garanzia di una lunga pace tra due stati è l'impotenza
reciproca di nuocersi".
Duca di Lévis
"Fate mostra di essere pronti alla guerra e avrete la
pace".
Tito Livio ("Ab urbe condita")
"La pace è più importante di ogni giustizia; e la pace non fu fatta
per amore della giustizia, ma la giustizia per amor della
pace".
Martin Lutero
"La pace ha le sue vittorie non meno celebri di quelle della
guerra".
Milton
"Dove fanno il deserto, quello chiamano pace".
Tacito
"Il famoso "si vis pacem para bellum" non è che un giuoco
di parole da oracolo di Delfo. Torniamo, signori, al senso comune, che
dice: si vis pacem para pacem".
Filippo Turati, discorso parlamentare del 12 giugno 1909
"Essere preparati alla guerra è uno dei mezzi più efficaci per
preservare la pace".
George Washington
"La grande illusione". Titolo del libro di Norman Angel in cui
si dimostra che la guerra non porta vantaggio neanche al vincitore.
"La guerra rassomiglia al camaleonte perché cambia natura in ogni
caso concreto".
Clausewitz
"Ai soldati italiani che romanamente devoti all'onore della Patria a
Dogali e a Sahaiti caddero da eroi".
Lapide del 1887 ancora affissa sul Municipio di Locorotondo (Bari)
"LA VENDETTA? NON IN NOME DI NOSTRO
FIGLIO"
--- Copia della lettera inviata al New York
Times
Nostro figlio Greg è tra i tanti dispersi dell'attentato al World Trade
Center. Da quando abbiamo avuto la notizia, abbiamo condiviso momenti di
dolore, di conforto, di speranza, di disperazione, e i bei ricordi, con
sua moglie, con le nostre famiglie di origine, con i nostri amici, con i
vicini, con i suoi affettuosi colleghi del Cantor Fitzgerald/ Espeed, e
con tutte le famiglie in lutto che giornalmente si incontrano al Pierre
Hotel. Vediamo la nostra ferita e la nostra rabbia riflesse in tutte le
persone che incontriamo. Non riusciamo a prestare attenzione al
quotidiano fiume di
notizie su questo disastro, ma ne leggiamo abbastanza per renderci conto
che il nostro governo va nella direzione della vendetta violenta, e la
prospettiva è che altri figli, figlie, genitori, amici, andranno in terre
lontane a morire, soffrire e finiranno per portare rancore contro di noi.
Non è questo che si deve fare. Questo non vendicherà la morte di nostro
figlio. Non si farà in nome di nostro figlio.
Morendo, nostro figlio è diventato una vittima dell'ideologia umana. Le
nostre azioni non devono seguire lo stesso scopo.
Uniamoci nel lutto. Riflettiamo e preghiamo. Pensiamo ad una risposta
razionale che porti vera pace e giustizia nel nostro mondo. Ma non
contribuiamo, come nazione, alla disumanità dei nostri tempi.
-----
Greg, figlio di Phyllis e Orlando Rodriguez, è una delle vittime del
World Trade Center.
-----
Copia della lettera alla Casa Bianca:
Egregio Presidente Bush,
Nostro figlio è una delle vittime dell'attacco di martedì scorso al World
Trade Center. Abbiamo letto della Sua reazione negli scorsi giorni e
della risoluzione, sottoscritta da entrambe le Camere, che Le conferisce
poteri illimitati per rispondere agli attentati terroristici.
La Sua reazione a questo attacco, però, non ci fa sentire meglio davanti
alla morte di nostro figlio. Anzi, ci fa sentire peggio. Ci fa sentire
come se il Governo stesse usando la memoria di nostro figlio come
giustificazione per arrecare sofferenze ad altri figli e genitori in
altri paesi.
Non è la prima volta che una persona, nelle Sue condizioni, ha ricevuto
poteri illimitati e poi se ne è pentita. Non è il momento per gesti vuoti
di significato per farci sentire meglio. Non è il momento di agire da
prepotenti.
La invitiamo a pensare a come potrebbe il nostro Governo trovare
soluzioni pacifiche e razionali al terrorismo, soluzioni che non ci
facciano sprofondare allo stesso disumano livello dei terroristi.
Con osservanza,
Phyllis e Orlando Rodriguez
IL RISCHIO DELL'INTOLLERANZA RELIGIOSA
"Trattate con rispetto gli arabi di origine
americana e i musulmani. Non sfogate su di loro la vostra rabbia",
aveva detto qualche giorno fa il presidente George Bush.
Parole preoccupate, già consapevoli della nuova emergenza. In molti erano
stati facili profeti, ieri il dramma. Ora ha un nome e un volto anche la
prima vittima della caccia all'arabo, di quell'insensata corsa alla
giustizia sommaria che ricorda tanto gli episodi più brutti dell'epopea
del Far West. E così un altro morto si aggiunge ai tanti, troppi cadaveri
di quel terrificante martedì. Anche lui è un innocente, anche lui non
c'entrava nulla. Balbir Singh Sodhi aveva 49 anni, era proprietario di
una pompa di benzina a Phoenix in Arizona e per tutta la settimana era
stato minacciato da qualcuno che parlava di vendetta, di giustizia.
Balbir era di religione sikh. Nulla a che vedere con i musulmani, con gli
arabi, con gli attentatori delle Torri gemelle. A condannarlo a morte il
turbante e la barba. "Molti non comprendono - spiega il fratello -
che i sikh portano la barba e il turbante e quindi assomigliano a Osama
Bin Laden, ma non solo non hanno nulla a che vedere con il miliardario
saudita, non sono nemmeno musulmani". Non lo sapeva chi è entrato in
macchina a tutta velocità nella piccola stazione di servizio e ha sparato
contro di lui aggiungendo morte a morte, dolore a dolore. Ora la polizia
interroga un uomo, gravemente indiziato e indaga su altri episodi
successi nei dintorni. Pochi minuti dopo, infatti, sembra che il presunto
assassino abbia sparato, questa volta fortunatamente senza conseguenze,
contro altre due stazioni di servizio, una delle quali gestita da un
cittadino americano di origine libanese.
Un episodio terribile come quello capitato sempre ieri nel New Jersey
dove un imam è stato aggredito da un invasato che urlava frasi senza
senso. Il religioso è stato salvato da una donna incinta che passava di
lì. Una donna come la pakistana inseguita nel parcheggio di un centro
commerciale da un ubriaco che la voleva investire e il quale si è così
giustificato: "Sta distruggendo il mio paese".
Tratti somatici, barbe, capelli e vestiti che ricordino i presunti
kamikaze di New York e Wahington sono diventati, quindi, terribili marchi
d'infamia. Le scuole coraniche sono vuote, nelle tante moschee poche voci
recitano le preghiere. Inevitabile, dopo gli attacchi ai luoghi di culto
islamici. Qualcuno ha scagliato una bomba incendiaria contro la moschea
di Denton, in Texas. La polizia ha arrestato un uomo che cercava di dare
fuoco a quella di Seattle. Sconosciuti a Lynnwood, nello stato di
Washington, hanno deturpato con vernice nera il muro di un tempio
musulmano. A Evansville, in Indiana, un uomo è andato a sbattere con la
sua auto contro un centro culturale islamico. E' sceso dalla vettura e ha
rotto i vetri dell'edificio a pugni. A Bridgeview, sobborgo di Chicago,
la polizia è intervenuta per respingere una folla di trecento persone
che, infuriate, marciavano verso una moschea. Altro qualcuno ha scagliato
sacchetti pieni di sangue di maiale. Nel sobborgo di Palos High un uomo è
stato arrestato per aver attaccato a colpi di machete un benzinaio
marocchino. A Los Angeles sono stati denunciati almeno undici episodi di
intolleranza anti-araba, molti dei quali con uso di armi da fuoco.
"La nostra non è una guerra contro l'Islam, né contro il popolo
arabo - ha stigmatizzato il vicepresidente Dick Cheney in un'intervista
-, la violenza che vogliamo combattere è frutto di una perversione di
questo credo religioso da parte di un gruppo estremista".
Non basterà a fermare la caccia all'arabo, ma è comunque una posizione
chiara e ferma".
Giannino Della Frattina ("Il Giornale", 17/9/01)
"I quotidiani regalano poster a doppia pagina del nemico numero uno.
"Wanted dead or alive" è stampatoi sulle t-shirt in vendita per
dieci dollari all'angolo della Sesta avenue e 34' street, un mirino
incornicia il terrorista miliardario mentre si accarezza la lunga barba.
Alla fine tanto battere sull'odio ha scatenato la cieca violenza
dell'America esasperata. Prime vittime sono stati gli indiani sikh che,
da una settimana a questa parte, stanno cercando inutilmente di spiegare
all'opinione pubblica che, nonostante barba e turbanti, non hanno nulla a
spartire con l'Islam e talebani. Il fatto più grave risalke a sabato
scorso: il tranquillo cittadino Frank S. Rocque è arrivato in pick up a
una stazione di rifornimento Chevron a Mesa, in Arizona, e ne ha ucciso
il proprietario. Perché? Semplicemente perché il signor Balbir Singh
Sodhi, un sikh di 49 anni, portava in testa un turbante e aveva la pelle
un po' troppo scura. Non soddisfatto della "missione", ha poi
sparato a un musulmano e ha aperto il fuoco irrompendo in casa di una
famiglia afghana, fortunatamente senza ammazzare più nessuno. Ma a fare
riflettere è soprattutto la giustificazione che Rocque ha dato al suo
gesto: "Sono un patriota, sono un dannato americano. Voi poliziotti
mi arrestate e lasciate che i terroristi siano liberi di compiere stragi
quando e come vogliono".
Dal tragico 11 settembre di New York, Washinghton e Pittsburgh, molte
persone che sono o semplicemente assomigliano a mediorientali e indiani
sono state picchiate, insultate, inseguite e per l'appunto assassinate.
L'Fbi sta indagando su altri 2 omicidi che sono sicuramente riconducibili
all'ondata di razzismo che si è impadronita di un paese civile.
Il primo è quello di Adel Karas, un egiziano cristiano copto di 48 anni,
freddato nel suo negozietto di droghiere a San Gabriel in California. Il
figlio che era nel retrobottega ha sentito una voce gridare: "Sporco
arabo terrorista" e quindi l'esplosione di due colpi di revolver. Il
secondo è invece quello di un pakistano musulmano, Waquar Pasan, 46 anni,
che è stato trovato riverso sul pavimento con una pallottola in fronte
nel suo piccolo supermercato nel quartiere Pleasant Grove di Dallas. Gli
investigatori escludono la rapina: "Nella cassa c'erano tremila
dollari e nessuno li ha toccati, inoltre non ci risulta che la vittima
avesse nemici. Il movente sembra essere l'odio razziale".
In giro per gli States si contano poi cinque moschee bruciate e
innumerevoli molotov lanciate contro aziende ed esercizi commerciali che
appartengono ad arabi. Ma sono soprattutto i pacifici sikh a essere presi
di mira perché più degli altri assomigliano al presunto mandante delle
stragi, Bin Laden. Ieri pomeriggio erano 250 i sikh che hanno denunciato
di aver subito violenze da parte di americani, ben 120 hanno dovuto fare
ricorso alle cure degli ospedali e 10 sono in condizioni serie. Per
esempio Guardshan Singh, un sacerdote sikh a Rockville nel Maryland, che
stava andando a donare il sangue per i feriti del World Trade Center
quando due uomini lo hanno aggredito a sprangate spaccandogli una gamba:
"Che devo dire? Capisco la rabbia, so che c'è ignoranza sulla nostra
religione ma la gente dovrebbe usare la testa e non solo gli occhi".
Una donna, Shari Mitchell, è stata arrestata a Eugene nell'Oregon perché
armata di coltello ha strappato dalla testa di due indiani che stavano
passeggiando i loro turbanti all'urlo "estremisti assassini". E
ancora a Cleveland e West Sacramento bande di vandali hanno distrutto con
mazze da baseball i loro templi, a San Matteo, in California, ignoti
hanno lanciato una bottiglia incendiaria nella casa di una famiglia sikh
colpendo alla tempia un bambino di tre anni. Solo per caso la bomba non è
esplosa. "Non odio gli americani, perché mi considero americano
anch'io - dice Lakhwindet Singh, fratello dell'indiano ucciso a Mesa -
dico solo che avevamo chiesto ai media di chiarire immediatamente che non
siamo musulmani, nessuno ha nosso un dito ed ecco il risultato".
Sia a Chicago sia a New York i tassisti indiani, che sono la maggioranza,
tengono sbarrato il vetro che divide il posto di guida dai passeggeri, ed
erano anni che non si vedevano simili misure di sicurezza. La situazione
è talmente grave che il primo ministro indiano Atal Bihari Vajpayee ha
dovuto telefonare al presidente Bush chiedendo i proteggere i suoi
connazionali. Se il mezzo milione di sikh che vivono negli Usa
accettassero di rinunciare al turbante, il problema sarebbe forse
risolto, ma la loro religione non lo consente. "Potete anche
strapparmi anche lo scalpo - dice combattivo Prabhjot Singh, 22 anni,
consulente tecnologico di Manhattan - ma per togliermi il turbante prima
dovete uccidermi"."
Carlo Piano, inviato a New York de "Il Giornale"
(20/9/01)
"Ali Abu Shwaima punta il dito sul Corano: "Chiunque uccida un
uomo è come se uccidesse tutta l'umanità, mentre chi salva una vita è
come se la salvasse a tutta l'umanità". E chi pensa di trovare nel
presidente del centro islamico della Lombardia almeno una lontanissima
giustificazione dell'ecatombe americana, rimane deluso: "Condanno il
gesto, i suoi autori, esprimo sgomento per questa immensa tragedia che
sconvolge l'umanità. Qui non c'è neppure l'ombra di Allah". Cosa ne
pensa della vita come sacrificio al Misericordioso, al Clementissimo?
Quella vita cioè che i kamikaze delle Torri genelle e del Pentagono hanno
perso in nome del loro Dio? "Nulla di tutto questo fa parte
dell'Islam che dà valore prioritario alla vita. No al suicidio, no
all'omicidio. Pensi solo che la nostra religione considera musulmani
tutti i bambini fino all'età della reagione. Anche quelli cattolici. Mai
e poi mai può essere tollerato l'assassinio, soprattutto di giovani vite,
come è successo a New York".
Cosa pensa di questi kamikaze? "Penso che si tratti di persone
disperate, di gente ridotta all'ultimo stadio esistenziale, di uomini
depressi o malati o sconvolti. Gente che non ha più nulla da perdere, da
chiedere, e che quindi fa un ragionamento di questo tipo: tu mi hai tolto
tutto, mi hai annientato, distrutto, umiliato, tu mi stai uccidendo e io
mi uccido da solo e porto anche te, mio nemico, nella stessa tomba".
In questo senso, riesce dunque ad accettare l'eliminazione fisica?
"No, mai. Nulla può giustificarla". E' risoluto e
impenetrabile. Shwaima fa dunque l'americano? "Nient'affatto. Per me
la verità non è quella di Bush - graffia - Siamo proprio sicuri che il
responsabile della strage sia Osama Bin Laden? I manuali di guerra e di
criminologia non insegnano forse di puntare il dito su chi ottiene i
maggiori benefici da un certo crimine? E vi sembra forse che Bin Laden ne
esca bene da una simile, gigantesca, operazione di guerra? No, io penso
che dietro a tutto questo ci sia la mano di un grande regista". Ma
qui, a Milano, come va? "Per il momento non abbiamo avuto problemi,
anche se qualche lettera di minaccia l'ho ricevuta". E scuote la
testa: "Purtroppo voi non conoscete il nostro mondo".
Andrea Pasqualetto, "Il Giornale", cronaca di Milano, 17/9/01
---------------
Il presente dossier è curato e aggiornato da Alessandro Marescotti. Si
ringrazia il CIPAX (Centro Interconfessionale per la Pace) di Roma per la
riproduzione e diffusione a mezzo stampa.