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La nonviolenza e' in cammino. 231



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 231 del 17 settembre 2001

Sommario di questo numero:
1. Silvano Tartarini, un incontro per una riflessione comune
2. Giobbe Santabarbara, sei risposte
3. Michele Nardelli, l'assenza di speranza porta alla follia
4. Alessandro Marescotti, prepararci ad iniziative di pace
5. Licio Lepore, nell'angoscia piu' profonda
6. Le donne afghane di "Rawa" oppresse dal regime dei Talebani: no al
terrorismo, no alla guerra
7. In rete il nuovo numero de "Il paese delle donne"
8. Chiara Schiavinotto, a Treviso forum per la pace in Colombia
9. Roberto Tecchio, il laboratorio di ricerca e formazione sulla gestione
nonviolenta dei conflitti (parte prima)
10. A Cagliari corso sulla gestione positiva dei conflitti
11. Per studiare la globalizzazione: da Edi Rabini a Etta Ragusa
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. PROPOSTE. SILVANO TARTARINI: UN INCONTRO PER UNA RIFLESSIONE COMUNE
[A nome della segreteria dei "Berretti Bianchi" Silvano Tartarini ha inviato
questa lettera a vari movimenti nonviolenti ed amici della nonviolenza.
Tutti coloro che fossero interessati all'iniziativa possono mettersi in
contatti con la segreteria dei Berretti Bianchi, via F. Carrara 209, 55042
Forte dei Marmi (LU), fax 0584735682, cell. 3357660623, e-mail:
bebitartari@bcc.tin.it, sito: www.peacelink.it/users/berrettibianchi]
Cari amici, riteniamo che sia necessario un incontro a breve tra le nostre
associazioni e, possibilmente, altre. L'incontro dovrebbe essere rivolto a
una riflessione comune sul che fare nel breve periodo. Crediamo che non
basti informarci tra di noi e nella nostra area sul nostro essere contro il
terrorismo e la guerra, ma che sia necessario tentare di farci sentire da
tutti.
Per fare questo l'indicazione che ci sentiamo di dare e' quella di
concentrare tutte le nostre forze - anche mettendo provvisoriamente tra
parentesi quello che stiamo facendo - per opporci ai venti di guerra e ad
una progressione della violenza, che se si attuera' portera' non solo morte
e distruzione sul nostro pianeta, ma cambiera' di troppo in peggio la nostra
vita e limitera' sempre piu' la nostra liberta'.
Un primo incontro preparatorio si potrebbe tenere nel Centro Italia (Firenze
o Bologna) al piu' tardi entro il mese di settembre.
Ogni organizzazione dovrebbe inviare, se possibile, una sola persona.
Chiediamo un parere urgente su questo assieme a interventi e indicazioni.

2. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: SEI RISPOSTE
[Il testo seguente e' la sintesi delle risposte per un'intervista
radiofonica]
1. Alla domanda se nel mondo oggi ci sia posto per la pace rispondo che oggi
nel mondo non vi e' piu' posto per la guerra.
Poiche' la guerra qui e adesso mette a rischio l'esistenza del genere umano,
la pace e' la necessita' fondamentale a cui tutto il resto deve essere
subordinato.
Cosicche' occorre fare ogni sforzo per far cessare le guerre in corso, per
impedire che altre se ne aggiungano, per prevenire ogni escalation bellica.
2. Ma la pace non e' una stasi, ne' piove dal cielo: la pace si costruisce.
Quando i quattro quinti dell'umanita' devono vivere col 20% delle risorse
mondiali mentre un quinto degli esseri umani rapina e consuma e dissipa e
distrugge l'80% delle risorse, questa e' una violenza strutturale
inaccettabile. E' la guerra divenuta quotidianita'.
3. Occorre quindi risolvere le ingiustizie.
Ma occorre risolverle con gli strumenti della democrazia, del diritto, della
solidarieta'. Chi aggiunge ingiustizia a ingiustizia, chi aggiunge violenza
a violenza, coopera con i malvagi che si illude di contrastare, se ne fa
scimmia e servo, degrada il mondo vieppiu'.
4. L'impegno per la pace deve essere limpido, o non e'.
Se non vi e' coerenza tra mezzi e fini non vi e' impegno per la pace. La
pace si costruisce con la pace, la democrazia si difende con la democrazia,
la dignita' umana si promuove rispettandola in tutti gli esseri umani.
Vi e' un solo modo di contrastare efficacemente la violenza: ed e' la
nonviolenza.
5. Circa vent'anni fa il compianto padre Balducci ci parlo' delle "tre
verita' di Hiroshima": che l'umanita' ha un unico destino di vita o di
morte; che la guerra e' uscita per sempre dalla sfera della razionalita';
che l'aspirazione alla pace e l'istinto di conservazione vengono a
coincidere.
Occorre quindi il ripudio assoluto della guerra in tutte le sue forme
(inclusa la guerriglia, il terrorismo, l'omicidio del singolo, lo
sfruttamento servile, l'omissione di soccorso, un'organizzazione della
societa' e delle relazioni - tra gli stati, tra i popoli, tra singoli
soggetti economici, politici, culturali, e fin tra individui - che de facto
condanna degli esseri umani alla fame, agli stenti, alla morte).
6. Occorre il riconoscimento dell'altro nell'unico mondo che abbiamo.
Il fatto che la superficie terrestre non sia illimitata ci impone il dovere
dell'universale convivenza, ci impone il dovere dell'accoglienza da parte di
tutti gli esseri umani nei confronti di tutti gli esseri umani.

3. RIFLESSIONE. MICHELE NARDELLI: L'ASSENZA DI SPERANZA PORTA ALLA FOLLIA
[Michele Nardelli e' tra gli animatori dell'esperienza di "Solidarieta'" nel
trentino]
La frase piu' ricorrente in questi tragici giorni e' "nulla sara' piu' come
prima". Lo si diceva dopo i fatti di Genova, lo si dice oggi di fronte alle
immagini delle torri sbriciolate del World Trade Center. E quante altre
volte lo diremo? Ho come l'impressione che per entrare davvero nel XXI
secolo, nel secolo della globalizzazione, che per scollinare il novecento
non solo con il procedere del tempo ma anche con il pensiero, ci vorranno
altri scossoni. Certo e' che la sensazione di trovarsi immersi in un nuovo
tempo comincia ad essere diffusa, se ne colgono soprattutto le incognite, ma
tant'e'.
Che tale consapevolezza sia ancora incerta e contraddittoria lo si capisce
dalle paure, dallo sbigottimento, dalle reazioni, tanto della gente comune
come dei potenti della Terra. I cambiamenti non avvengono com'era un tempo
anche recente da una generazione all'altra, sono cosi' rapidi che ciascuno
di noi fatica ad elaborarli, tanto che le nostre reazioni sono talvolta
irrazionali come quando a meta' dell'ottocento i luddisti teorizzavano la
distruzione delle macchine, cogliendone - tutt'altro che
ingiustificatamente - le insidie. Cosi' la nostra esistenza quotidiana si
trova a dover fare i conti con nuovi scenari, il lavoro che cambia, il
rapido modificarsi delle forme di relazione familiare ed interpersonale, le
nostre comunita' alle prese con diversita' che turbano il quieto vivere di
persone sempre piu' omologate nei comportamenti e dunque refrattarie verso
cio' che non si conosce...
Le vecchie identita' non reggono all'urto: nelle nostre comunita' locali,
evidenziando quel fenomeno che qualcuno ha chiamato "spaesamento"; nei
luoghi della politica, dove le idee hanno abdicato alla governabilita' ed il
confronto collettivo ha lasciato il posto all'affermazione personale.
Tratti che segnano molti dei moderni conflitti. Spaesamento e
autoriproducibilita' delle elites (o meglio delle nomenklature) sono i
tratti della moderna tragedia balcanica, e a pensarci bene anche della
vicenda italiana dell'ultimo decennio. Non c'e' molta differenza fra la
Balkanska krcma (la locanda balcanica) descritta da Radamir Kostantinovic
nel suo geniale "Filozofija palanke" (La filosofia del villaggio) e
l'osteria veneta di cui ci parla Paolo Rumiz, laddove cova il rancore per la
citta' ed il suo cosmopolitismo. Ma e' la', nei dintorni della locanda
veneta, quando non direttamente a Timisoara, che avviene il miracolo
economico del nord est, dove la cultura di paese si incontra con l'economia
globale, dove si saldano arretratezza e modernita', creando quel mix
apparentemente contraddittorio fra xenofobia e ricorso ai nuovi schiavi
senza i quali non ci sarebbe alcun miracolo.
La globalizzazione produce i suoi frutti, quelli dolci di un'era planetaria
che apre all'uomo innumerevoli opportunita' di conoscenza, quelli amari e
velenosi di un delirio di onnipotenza che gia' abbiamo assaggiato nel '900 e
di contese senza limiti per la supremazia economica ed il potere.  Abitare
in maniera intelligente la globalizzazione dovrebbe portarci ad operare per
far prevalere le opportunita' sulle insidie, ma per questo dovremmo
ripensare alla nostra cassetta degli attrezzi.
Che al contrario oggi vi sia una totale inadeguatezza ad affrontare gli
scenari della globalizzazione lo si capisce dalla sostanziale assenza di
autorevoli istituzioni della comunita' internazionale e da quel nuovo ordine
che non conosce altro linguaggio che quello delle borse e delle armi.
Nonostante vi sia la consapevolezza del concetto di limite, dell'aria che
respiriamo o dell'acqua che scompare da intere aree del nostro pianeta,
continuiamo con modelli di sviluppo insostenibili, lasciando dietro di noi e
alle generazioni che verranno devastazioni che non hanno precedenti nella
storia dell'uomo. E lo stesso potremmo dire per i conflitti lasciati marcire
e per le tante guerre dimenticate che ci trasciniamo dietro come rumore di
fondo (al quale ci si abitua).
La disputa del '900 chiusasi con il crollo del comunismo, la competizione
fra chi fosse in grado di meglio sviluppare le forze produttive, che si
misurava su dove sapesse arrivare l'opera umana nel modificare a proprio
piacere la natura in uno smisurato delirio di onnipotenza, ha portato a
considerare il concludersi di tale competizione come si trattasse della fine
della storia, lasciando dietro di se' un vuoto che, di fronte al permanere
di grandi ed irriducibili contraddizioni, e' stato in primo luogo vuoto di
speranza. E l'assenza di speranza porta alla follia.
La follia del terrore, ha come retroterra il vuoto lasciato da quella storia
finita. Non penso ai terroristi come ad una squadra di automi privi di ogni
emozione e sensibilita', lanciati contro il simbolo del potere di Manhattan.
Voglio vedervi delle persone che hanno bisogno di ubriacarsi, non molto
diversi dal cecchino imbottito di cocaina che spara sul ragazzo di Sarajevo,
uomini (perche' di uomini quasi sempre si tratta) che sono cresciuti in un
contesto di guerra e fanatismo, ma soprattutto di vuoto, di quella banalita'
(del male) di cui ci parlava Hannah Arendt a proposito del processo
Eichmann, di perdita di speranza, appunto di "fine della storia". In questo
perdersi, nella perdizione dell'uomo moderno, trovano il loro alimento tanto
il fondamentalismo (religioso e non solo) che la cultura della guerra. La
guerra, invocata in nome di una civilta' o di una religione non fa
differenza, toglie ogni spazio al dialogo e mette in moto una spirale senza
fine se non l'annientamento dell'altro.
Alla difficile consapevolezza di essere in una nuova era sembra
corrispondere un difetto di memoria, quasi che la storia ricominciasse ogni
volta da zero. Per questo le guerre moderne distruggono le biblioteche
piuttosto che le fabbriche di armi.
Che cosa dovrebbe essere la politica se non la ricerca del dialogo? Proprio
nella miseria in cui e' ridotta la politica prospera il manicheismo, o di
qua o di la', o la civilta' o la barbarie. Descrivere il mondo in bianco e
nero e' la fine della politica e l'inizio della guerra.
E questo vale anche per la scomposta e folle chiamata alle armi di queste
ore contro il terrorismo. Invocare la guerra santa dell'Occidente contro
l'Islam (o viceversa) e' pura follia.
Per rompere questa spirale e' necessario dire "Addio alle armi". Avere cioe'
la consapevolezza che solo un nuovo modo di pensare e dunque di affrontare i
conflitti e i problemi che ne sono alla base puo' permetterci uno sguardo
responsabile sul secolo che viene.
La risposta sembra essere diversa e gia' rombano i motori dei bombardieri.
Cosi' i popoli si identificheranno con i loro simboli. In questi tragici
giorni New York sembrava Belgrado o Baghdad, quello sventolio di bandiere e
quegli slogan dimostrano come i terroristi abbiano raggiunto il loro vero
obiettivo: quello di radicalizzare i conflitti, in modo di togliere
qualsiasi spazio alla politica. Ed alla criticita'.
In quelle torri che toccavano il cielo, moderne torri di Babele oggi non
piu' dei mille linguaggi ma del pensiero unico, ed oggi sbriciolate vorrei
poter leggere non l'ennesima spirale di morte ed il desiderio di vendetta ma
una nuova e diffusa consapevolezza planetaria. In questo senso speriamo che
davvero nulla sia piu' come prima.

4. INIZIATIVE. ALESSANDRO MARESCOTTI: PREPARARCI AD INIZIATIVE DI PACE
[Alessandro Marescotti e' tra gli animatori dell'esperienza di Peacelink.
Per contatti: a.marescotti@peacelink.it]
Dobbiamo prepararci ad iniziative di pace.
Una buona strategia e' la preparazione di un database di chi vuole
promuovere citta' per citta iniziative di pace, con le seguenti
discriminanti:
1) la nonviolenza;
2) la netta condanna degli atti di terrorismo negli Usa in quanto "crimini
contro l'umanita";
3) la richiesta di una punizione dei colpevoli basata sulla giustizia e non
sulla vendetta, senza violare il diritto internazionale e senza aggiungere
altro sangue innocente a quello gia' versato.
L'Unione Europea precisa anche che "il diritto internazionale permette di
perseguire gli autori, i mandanti e i complici ovunque essi si trovino" e
aggiunge che "le organizzazioni internazionali, e in particolare l'Onu,
dovrebbero farne un obiettivo prioritario". E' una dichiarazione da
appoggiare e sostenere.
E' importante inviare questa lettera al Presidente della Repubblica:
Signor Presidente,
La supplico di agire perche' alla strage disumana compiuta negli Stati Uniti
nessuno risponda con la vendetta militare. Proprio perche' quel crimine
colpisce tutta l'umanita', deve essere un tribunale che rappresenta l'intera
comunita' dei popoli umani a compiere le indagini ed emettere il giudizio
con tutte le garanzie giuridiche. Ad un crimine, per quanto grande, non si
risponde con la guerra. La guerra non sarebbe un giusto giudizio penale,
nella luce della ragione, della morale e della legge, ma un nuovo crimine
che spingerebbe ulteriormente il mondo nel buio mortale dell'odio e della
distruzione. In nome della vita e della civilta', nell'ora del massimo
pericolo, La supplico di scongiurare la guerra con l'impegnativa autorita'
che Le da' la nostra Costituzione pacifica. Se l'Italia sara' in guerra, io
non ci saro'.

5. RIFLESSIONE. LiCIO LEPORE: NELL'ANGOSCIA PIU' PROFONDA
[Licio Lepore fa parte dei "Berretti Bianchi"]
L'orrore che si e' abbattuto sul popolo americano non puo' fare altro che
gettarci nell'angoscia piu' profonda per la brutalita' con la quale, nel
giro di pochi minuti, migliaia di persone sono state cosi' violentemente
spazzate via.
La constatazione poi che niente e nessuno e' cosi' invulnerabile, come
spesso si e' voluto credere, conferma che questo e' un sistema sbagliato,
che non funziona non solo per chi lo subisce ma anche per chi lo ha ideato e
lo gestisce per salvaguardare unicamente i propri interessi.
Inorridiamo all'idea che in nome di un diverso credo politico o religioso o
per biechi interessi qualcuno possa pensare di mettere in atto azioni
terroristiche il cui unico effetto e' quello di provocare vittime innocenti
e restringimento di liberta' democratiche per l'intera collettivita'.
Sono anni tuttavia che stiamo inorridendo di fronte ai milioni di morti per
fame, ai sacrifici pagati dalle popolazioni del sud del mondo per ingiusti
ed interminabili embarghi a causa dei quali neppure le medicine arrivano
negli ospedali.
Nello stringerci intorno al popolo americano lo esortiamo affinche' non si
faccia sopraffare da un sentimento di vendetta che rischia di innescare un
meccanismo perverso e incontrollato di risposta e controrisposta a non
finire, dalle conseguenze devastanti per l'intera umanita'.
In questo momento cosi' drammatico, se da una parte e' comprensibile una
sensazione di smarrimento, dall'altra ci sembra necessario che il mondo
pacifista si faccia sentire al piu' presto e con determinazione, ribadendo
le proprie convinzioni. Non potremo giustificare nessuna azione militare
verso nessuna nazione. Non vogliamo entrare in guerra a fianco degli Stati
Uniti, non sarebbe questa la giusta risposta da dare al terrorismo.
Proprio ora che gia' si stanno affilando le armi ci auguriamo che il
movimento pacifista, la sinistra, il mondo cattolico, le organizzazioni
della cooperazione e della solidarieta' continuino ed anzi intensifichino il
percorso che da anni li caratterizza - e in modo particolare dopo il G8 di
Genova.
Siamo contro il terrorismo e lo affermiamo senza equivoci ma siamo anche
determinatamente contro la guerra e contro la Nato.
Non vogliamo vedere il nostro Paese ripudiare un'altra volta la propria
Costituzione facendosi trascinare in un conflitto che potrebbe avere effetti
devastanti. Innanzitutto le ripercussioni interne sarebbero gravissime in
modo particolare per cio' che riguarda le liberta' individuali.
Le precedenti avventure militari - da dieci anni a questa parte - sono state
dei veri e propri fallimenti che hanno seminato morte tra i civili, odio e
rancore. Crediamo invece che dovremmo cominciare a mettere in atto quelle
strategie che a livello mondiale sono in grado di riequilibrare la realta'
tra un occidente opulento e un sud affamato e violentato.
Dobbiamo eliminare le cause che generano il terrorismo e dare risposte serie
a miliardi di persone che vivono al di sotto della soglia di sopravvivenza.
La risposta militare e' la meno efficace, la piu' inutile che si possa dare
dopo una tragedia come quella che ha colpito il popolo americano e
conseguentemente quello di tutto il mondo.

6. UN APPELLO. LE DONNE AFGHANE DI "RAWA" OPPRESSE DAL REGIME DEI TALEBANI:
NO AL TERRORISMO, NO ALLA GUERRA
[Riceviamo e diffondiamo questo comunicato delle donne afghane
dell'organizzazione femminista "Rawa"; per maggiori informazioni in rete:
www.ecn.org/reds/donne.html]
L'11 settembre 2001 il mondo e' rimasto scioccato dagli orribili attacchi
terroristici negli Stati Uniti. "Rawa" esprime con il resto del mondo il
proprio dolore e la condanna di questo atto barbarico di violenza e terrore.
"Rawa" ha gia' ripetutamente chiesto che gli Stati Uniti non sostengano il
piu' sanguinario, il piu' criminale, il piu' antidemocratico e misogino
partito fondamentalista islamico, perche' entrambi, i Jehadi [l'Alleanza del
Nord di Massud] e i Talebani, hanno commesso ogni possibile sorta di orrendi
crimini contro la nostra gente, ed essi non proverebbero alcuna vergogna nel
commettere tali crimini contro il popolo americano che essi considerano
"infedele".
Allo scopo di guadagnare e mantenere il proprio potere, questi barbarici
criminali sono pronti facilmente a qualsiasi azione delittuosa.
Ma sfortunatamente noi dobbiamo dire che e' stato il governo degli Stati
Uniti che ha sostenuto all'epoca il dittatore pakistano, generale Zia-ul
Haq, nel creare migliaia di scuole religiose dalle quali sono emersi i germi
dei Talebani. Allo stesso modo, come e' evidente per tutti, Osama Bin Laden
e' stato il pupillo della Cia. Ma cio' che e' piu' penoso e' che i politici
americani non hanno tratto una lezione dalle loro politiche a favore dei
fondamentalisti nel nostro paese e stanno ancora continuando ad appoggiare
questo o quel gruppo o leader fondamentalista. Secondo noi, ogni tipo di
sostegno ai fondamentalisti Talebani e Jehadies e' attualmente dannoso per
la democrazia, i diritti delle donne e i diritti umani.
Se fosse provato che i presunti autori degli attacchi terroristici si
trovano fuori dagli Stati Uniti, il nostro grido costante che i terroristi
fondamentalisti avrebbero finito per ritorcersi contro i loro creatori,
sarebbe confermato una volta di piu'.
Il governo degli USA dovrebbe considerare le cause di fondo di questo
terribile evento, che non e' stato il primo e non sara' l'ultimo. Gli USA
dovrebbero smettere di appoggiare i terroristi afghani e i loro sostenitori
una volta per tutte.
Ora che i Talebani e Osama sono i primi indiziati dalle forze americane dopo
gli attacchi criminali, gli USA sottoporranno l'Afghanistan a un attacco
militare simile a quello del 1998 e uccideranno migliaia di innocenti
afghani per i crimini commessi dai Talebani e da Osama?
Pensano gli USA che attraverso questi attacchi, con migliaia di diseredati,
poveri e innocenti afghani come vittime, saranno in grado di portare a
termine la lotta contro il terrorismo o piuttosto diffonderanno il
terrorismo su piu' larga scala?
Dal nostro punto di vista vasti e indiscriminati attacchi militari su un
paese che e' sottoposto a disastri permanenti da piu' di due decadi, non
sarebbero una rivincita.
Non pensiamo che una tale aggressione sarebbe l'espressione della volonta'
della gente americana.
Il governo degli USA e il loro popolo dovrebbero sapere che c'e' una grande
differenza tra la gente povera e martoriata dell'Afghanistan e i terroristi
criminali Talebani e Jehadi.
Mentre noi manifestiamo ancora una volta la nostra solidarieta' e il
profondo cordoglio al popolo degli Stati Uniti, crediamo anche che attaccare
l'Afghanistan e uccidere la sua gente piu' derelitta e sofferente, non
alleviera' in alcun modo il lutto del popolo americano.
Speriamo sinceramente che il popolo americano sia in grado di distinguere
tra la gente dell'Afghanistan e un pugno di terroristi fondamentalisti. I
nostri cuori si rivolgono alla gente degli Stati Uniti.
No al terrorismo!

7. MATERIALI. IN RETE IL NUOVO NUMERO DE "IL PAESE DELLE DONNE"
[Riceviamo e volentieri pubblichiamo]
All'indirizzo www.womenews.net e' on line il nuovo numero de "Il paese delle
donne".
Questo l'indice: 11 settembre: Attacco a New York; Tra uccidere e morire
preferiamo vivere (comunicati); Non restiamo mute (Luisa Morgantini); Tra il
grido e il silenzio scegliamo la parola (Cristina Papa); No alle
rappresaglie e ad altri spargimenti di sangue (Silvia Baratella e Lia
Scalici); Manifestare: comunicare e relazionarsi (Maria Rosa Madella);
Rifiutare la logica del nemico (Donne in nero di Reggio Emilia); Marcia
mondiale delle donne: Il prossimo incontro nazionale si terra' a Firenze il
23 settembre alle ore 10 presso il Giardino dei Ciliegi , via S.Egidio 21
(fino alle ore 12.30 e' aperto il portone per la biblioteca, poi l'entrata
e' da via dell'Oriolo, tel. 3404639823: telefonare per farsi aprire); Quale
altro mondo crediamo possibile? (Nadia De Mond); Un primo bilancio:
documento preparatorio all'incontro internazionale del 14 ottobre in Quebec;
Parole di donne sulla globalizzazione; Punto G: Genere e globalizzazione;
Testimonianze sulle violenze a Genova; La difficolta' di dire noi  (A.
Picciolini); Violenza, un concetto complesso (M. Black); Globalizzazione e
turismo  (Cristina Papa); Liberta' per Roberta Ripaldi.
"Il Paese delle donne", e-mail: pdd@isinet.it, sito: www.womenews.net

8. INCONTRI. CHIARA SCHIAVINOTTO: A TREVISO FORUM PER LA PACE IN COLOMBIA
[Da Chiara Schiavinotto dell'ufficio stampa di "Koine' comunicazione"
(koine@altamiragallery.it) riceviamo e pubblichiamo]
A Treviso i protagonisti del dramma colombiano: il 6 e 7 ottobre Forum
internazionale per la pace.
Intellettuali, esuli, militanti dei movimenti per i diritti umani, portavoce
delle istanze della gioventu' e delle donne: la societa' civile colombiana
si da' appuntamento il 6 e 7 ottobre a Treviso (presso la Casa dei Carraresi
la prima giornata, nell'auditorium del Collegio Pio X la seconda) per un
grande Forum internazionale con un obiettivo ambizioso: richiamare
l'attenzione dell'opinione pubblica sulla Colombia, sulle violenze che la
insanguinano, ma anche sui fermenti di pace che la attraversano.
Da Alfonso Molano Bravo (sociologo e giornalista, attualmente esule a causa
delle minacce di morte delle formazioni paramilitari) a Monica Godoy
(dirigente nazionale del Movimiento de los Niños por la Paz e portavoce
delle istanze della gioventu' colombiana); da Gloria Cuartas  (responsabile
di progetti Unicef e Unesco, ma soprattutto simbolica figura di donna
sindaco in zona di scontri armati) a Javier Sanchez e Jeronimo Perez (che
porteranno l'esperienza delle Comunidades de paz: altrettanto ferme nel
rifiutare ogni forma di violenza e nel rivendicare i propri diritti sulle
terre d'origine): sono loro i testimoni di una guerra civile interminabile,
che provoca 40.000 morti ogni anno, 300.000 persone scomparse, un sequestro
ogni tre ore, 288.000 desplazados (sfollati) nel corso del 2000, quasi due
milioni dal 1985 al 1999. Dati impressionanti, anche per un continente in
tumulto come quello latinoamericano.
Il programma prevede inoltre approfondimenti sul tema dei diritti umani e
della tutela legale (con il contributo di Amnesty International e della
Fondazione Lelio Basso); un'ampia ricognizione sulla questione della terra
(come ricchezza, ma anche come risorsa non rinnovabile), affidata al biologo
Gianni Tamino;  e una riflessione sul caso esemplare degli U'wa; mentre il
senatore Franco Danieli (vicepresidente della Commissione Esteri del Senato
e gia' Sottosegretario con delega alla Colombia) traccera' il quadro delle
relazioni internazionali tra il nostro paese, l'Europa e la Colombia.
Il forum rappresenta il movimento culminante di "Colombiavive": un progetto
di sensibilizzazione sulle vicende colombiane nato da una sollecitazione
della Fondazione Lelio Basso e promosso con passione da un gruppo di Comuni
e di associazioni.  Collegato alla quarta Assemblea dell'Onu dei Popoli
organizzata a Perugia dalla Tavola della Pace, l'appuntamento trevigiano
propone un confronto tra soggetti pubblici e privati impegnati nella
cooperazione e le richieste pressanti che la societa' civile colombiana
rivolge alle istituzioni internazionali.

9. MATERIALI. ROBERTO TECCHIO: IL LABORATORIO DI RICERCA E FORMAZIONE SULLA
GESTIONE NONVIOLENTA DEI CONFLITTI (PARTE PRIMA)
[Ringraziamo Roberto Tecchio, formatore alla gestione nonviolenta dei
conflitti, per averci messo a disposizione questo testo. Pubblichiamo oggi
la presentazione generale del laboratorio e le prime due schede teoriche; il
seguito pubblicheremo nei prossimi giorni]
Il laboratorio nasce con l'intento di offrire una formazione di base alla
nonviolenza fondata su metodologie attive ed esperienziali, con
caratteristiche di continuita' nel tempo e di accessibilita' economica
(soprattutto a chi la formazione, per i costi che normalmente ha, non
l'incontra mai o l'incontra solo ai fini di una specializzazione
professionale).
Avviatosi nel maggio del 1997 all'interno dell'associazione Cipax a Roma,
sono state realizzate sinora nove edizioni del modulo base del laboratorio
(che dura due mesi, con almeno otto incontri di due ore, a volte anche nove
o dieci) e sei edizioni del modulo di approfondimento (che si svolge in
cinque incontri di due ore). Rivolto a tutti coloro che sono interessati ad
affrontare in modo nonviolento i conflitti a livello personale e sociale, ha
visto in questi anni il passaggio di circa cento persone (ogni laboratorio
base consente un massimo di dodici partecipanti), dai diciassette ai
sessantacinque anni di eta', con il grosso che si colloca tra i venticinque
e i trentacinque anni. La meta' di queste ha poi partecipato almeno a uno
dei moduli del laboratorio di approfondimento.
Scopo principale e' una formazione di base alla nonviolenza, nel senso che
non mira all'acquisizione di competenze specialistiche di gestione dei
conflitti, bensi' al rafforzamento del potere personale (empowerment) e
all'acquisizione di strumenti per leggere e gestire concretamente i
conflitti vissuti in ogni ambito del quotidiano.
Piu' precisamente il laboratorio si propone di essere un luogo ove sia
possibile: a) sperimentare la nonviolenza all'interno del gruppo dei
partecipanti; b) approfondire la conoscenza di se' in rapporto al modo
abituale di affrontare i conflitti; c) sperimentare strumenti per la
gestione nonviolenta dei conflitti a livello personale e sociale; d) avviare
una formazione di base che puo' essere autogestita ed eventualmente
sviluppata con i laboratori di approfondimento.
I temi trattati riguardano soprattutto la dimensione interiore del conflitto
(gestione positiva delle emozioni e del disagio) e la dimensione sociale del
conflitto a livello micro (comunicazione, negoziazione, dinamica della lotta
nonviolenta). I livelli meso e macro del conflitto sono invece, solo per
ragioni pratiche, tralasciati in questo laboratorio per essere pero'
affidati ad altri momenti formativi che il Cipax assieme ad altre agenzie
organizza e promuove durante l'anno a Roma e in Italia.
L'attivita' di laboratorio si fonda sulla ricerca personale (del conduttore
del laboratorio) nella gestione nonviolenta dei conflitti, ricerca che e'
sintetizzata in apposite "schede teoriche" date ai partecipanti al termine
di ogni incontro. Ogni scheda teorica ha una corrispondente "scheda pratica"
che ha lo scopo di aiutare i partecipanti a mettere in pratica e
sperimentare la nonviolenza nelle relazioni e situazioni quotidiane. Gli
incontri di laboratorio si svolgono quindi tenendo insieme e cercando di
collegare due dimensioni esperienziali, quella degli esercizi fatti durante
la settimana (fatti anche dal conduttore) e quella dei giochi/esercizi
svolti in sede durante l'incontro stesso, in un misto di gioco, racconto,
condivisione e discussione.
*
Scheda teorica n. 1
Parte 1: Ri-conoscere il conflitto per gestirlo.
Che cos'e' il conflitto? Di che cosa e' fatto? Come lo riconosciamo?
Dalla risposta a queste domande nasce la seguente definizione di conflitto
che ci serve per svolgere il nostro lavoro di ricerca e formazione. Questa
definizione pero' e' solo una tra le tante e quindi, come ogni definizione,
va presa con senso critico ricordando che il linguaggio che usiamo ci puo'
liberare o imprigionare riguardo alla comprensione della realta'.
Definizione di conflitto (ipotesi di ricerca) (1)
Il Conflitto e' uno stato della Relazione
caratterizzato dalla presenza di un Problema
cui si associa un Disagio.
1.1. Tutto si gioca nella Relazione. "Io nasco in un Tu" (M. Buber).
Il Conflitto e' sempre legato ad una determinata Relazione (con qualcuno o
qualcosa), dove la Relazione (con un amico o un nemico, con la vita o una
parte di se') va vista sempre in senso dinamico, per cui nel tempo essa si
trasforma e quindi il conflitto puo' aumentare o diminuire d'intensita',
risolversi in modo definitivo, oppure temporaneo.
Qui e' importante distinguere due dimensioni della Relazione: una interiore,
con noi stessi, e una esteriore, con gli altri: d'ora in poi chiameremo la
prima dimensione Personale e la seconda dimensione Sociale. Tale distinzione
ci permette di cogliere una dimensione Personale e una dimensione Sociale
del Conflitto, dimensioni che sono intimamente connesse e inseparabili, ma
anche molto diverse tra loro. L'importanza pratica di questa distinzione si
chiarira' strada facendo (2).
1.2. Distinguere i Problemi dai Conflitti.
Generalmente per conflitto s'intende "una incompatibilita' (o scontro,
divergenza, opposizione, etc) tra scopi (o interessi, valori, opinioni, etc)
perseguiti da attori diversi (persone, gruppi, Stati)" (3).  Cio' e' ben
espresso anche dall'etimologia della parola Conflitto: cum fligere, cioe'
battere contro.
Questo modo di vedere pero' non evidenzia la componente dolorosa del
conflitto, che pure sembra essere universalmente riconosciuta quando si
entra nel vivo dei conflitti. Nell'approccio nonviolento e' invece
fondamentale cogliere bene la componente di dolore, sofferenza, disagio,
tipica del vissuto conflittuale. Percio' nel nostro approccio e'
determinante la presenza di disagio per definire una relazione come
conflittuale. Altrimenti ci troviamo di fronte a un semplice Problema.
Infatti la sola presenza di uno "scontro di interessi" all'interno di una
relazione non implica sempre e necessariamente la presenza di disagio.
Per capirci meglio abbiamo bisogno a questo punto di entrare nella nostra
definizione di conflitto e chiarire cosa intendiamo precisamente con i
termini usati, anche allo scopo di costruire un minimo di linguaggio comune
per lavorare meglio insieme.
Per Problema possiamo intendere tutto quello che all'interno di una
relazione percepiamo come "scontro, incompatibilita', divergenza, contrasto,
opposizione, ecc.", che puo' essere legato a qualsiasi cosa, quindi
"interessi, opinioni, valori, ecc.", ma senza che a tutto cio' si associ sul
piano emotivo una qualche forma di disagio. Per esempio durante una riunione
qualcuno potrebbe fare delle osservazioni che io ritengo assolutamente fuori
luogo rispetto all'ordine del giorno e dunque prendo la parola per sollevare
tranquillamente quello che secondo me e' un problema.
Per Disagio possiamo intendere tutti quei sentimenti ed emozioni che dentro
di noi percepiamo come spiacevoli e sono fonte di sofferenza.  Riprendendo
l'esempio precedente, puo' accadere che quella persona dopo un po' riprenda
la parola riproponendo quelle stesse osservazioni che io continuo a ritenere
completamente fuori luogo, la qual cosa comincia a provocarmi un certo
fastidio e un'irritazione verso quella persona: ecco allora che al problema
si e' associato un disagio (irritazione, tensione, frustrazione, etc.), che
in qualche misura influira' sulla qualita' della mia partecipazione alla
riunione (per es. ad un certo punto potrei alzare la voce e aggredire
verbalmente tale persona, oppure ritirarmi in un silenzio ostile e di fatto
non partecipare piu' alla riunione). Dunque ci troviamo di fronte non piu' a
un problema, ma a un conflitto, dove rispetto alla situazione precedente
sara' piu' impegnativo trovare una soluzione costruttiva.
Qui distinguiamo il disagio strettamente fisico da quello psicologico, che
certo sono molto legati, ma non sono la stessa cosa (per es. posso star male
fisicamente, ma avere un buon umore e, viceversa, non avere problemi fisici
ed essere di umore nero), ed e' essenzialmente il disagio psicologico quello
a cui qui ci riferiamo quando parliamo di disagio.
Ricapitolando, nella nostra mappa il Conflitto e' un aggregato costituito
sempre da due componenti: il Problema e il Disagio.
1. La dimensione del conflitto che qui c'interessa primariamente e' quella
cosiddetta "micro" (gruppo, classe, famiglia, ufficio, condominio, ecc).
Sulle distinzioni tra i cosiddetti livelli micro, meso e macro del Conflitto
(e piu' in generale come buon testo introduttivo) vedi E. Arielli e G.
Scotto, I conflitti. Introduzione a una teoria generale, Bruno Mondadori, p.
15.
2. Queste due dimensioni del conflitto, come del resto tutti i concetti che
usiamo, "non sono la realta', ma una sua descrizione", e il rapporto che
c'e' tra concetti e realta' e' come quello che c'e' tra una "Mappa e il
relativo Territorio". Percio' conviene costruirsi delle buone mappe.
3. Vedi J. Galtung in AA.VV., Invece delle armi, FuoriThema, p. 109. Va
tenuto presente che Galtung, uno dei massimi rappresentanti a livello
mondiale della peace-research, nel suo lavoro tratta soprattutto la
dimensione macro del conflitto. Per un'ampia trattazione del conflitto e
delle sue tante definizioni, vedi anche A. L'Abate, Conflitto, consenso e
mutamento sociale: introduzione a una sociologia della nonviolenza, Franco
Angeli.
*
Scheda teorica n. 2
1.3. Nel conflitto si sta male: la centralita' del disagio.
Se ammettiamo che il conflitto e' un aspetto naturale dell'esistenza umana,
allora e' ovvio che per costruire la pace e la giustizia nelle relazioni ad
ogni livello e' necessario passare attraverso una gestione sana e
costruttiva del conflitto. Insomma, per gestire il conflitto in modo
costruttivo e' necessario saper stare costruttivamente nel conflitto.
Ma non e' finita: per arrivare al cuore della questione dobbiamo fare ancora
un altro passo, ben evidente nella nostra definizione di conflitto, e cioe'
per stare costruttivamente nel conflitto devo saper stare costruttivamente
nel disagio.
Quest'ultimo passaggio non e' roba da poco perche' in definitiva porta al
centro dell'attenzione il nostro rapporto con la sofferenza. Ed infatti
l'enorme difficolta' che s'incontra nello sviluppare un atteggiamento
positivo verso il conflitto (che rappresenta l'obiettivo fondamentale del
lavoro di formazione alla nonviolenza) risiede proprio in cio': si ha una
profonda paura del conflitto perche' si ha una profonda paura di star male,
di soffrire.
Un esempio. Il mio nuovo vicino di casa fa una festa rumorosa, che va ben
oltre la mezzanotte, disturbandomi parecchio e impedendomi di riposare,
pero' io non gli dico nulla, dicendo invece a me stesso che e' un gran
maleducato e che dovrebbe capirlo da solo che disturba, e che con gente
cosi', ovviamente, non vale nemmeno la pena discutere. Dunque sto male
(stanco e arrabbiato) e nutro un risentimento crescente verso questa
persona; ma cosi' facendo non vedo che questa mia manovra ha, sotto sotto,
come vero obiettivo l'evitamento della mia paura di andare da lui e di avere
un confronto diretto, di reggere il suo sguardo, la sua presenza, e, forse,
c'e' anche la paura della mia reazione alle sue possibili reazioni che
immagino chissa' quanto terribili e provocatorie. Quindi evito di affrontare
la dimensione sociale del conflitto, che e' la sola che mi consentirebbe di
affrontare e forse risolvere il problema concreto (il mio bisogno di
riposare), ma in realta' quello che sto veramente evitando e' di affrontare
la dimensione interiore e personale del conflitto, cioe' la mia paura
dell'altro e di me stesso, che e' qualcosa che mi metterebbe molto piu' a
disagio rispetto a quello che sto vivendo. In pratica pero' questa manovra
non funziona e invece di diminuire la sofferenza e risolvere i problemi li
aumenta moltissimo. Il fallimento di questa comunissima strategia di
gestione del conflitto (comunissima perche' si apprende, si agisce e si
trasmette inconsapevolmente) si fonda su tre errori:
- il primo errore sta nel non riconoscere che disagio e problema sono due
cose ben diverse;
- il secondo errore sta nel rapportarsi in modo errato, disfunzionale, alle
emozioni nostre e altrui (1);
- il terzo errore, il piu' grave e fondamentale, quello che sembra condurre
all'origine di tutti i conflitti, riguarda la nostra ignoranza di fondo
circa la natura della sofferenza e di conseguenza il nostro rapporto con
essa.
A questo punto dovrebbe essere piu' comprensibile perche' il cambiamento di
atteggiamento tanto auspicato e predicato verso il conflitto (da un
atteggiamento negativo che vede il conflitto o come qualcosa di sbagliato,
violento, brutto, a un atteggiamento positivo che vede il confitto come
opportunita' di crescita personale e sociale), e' in pratica cosi' difficile
a farsi: si tratta niente meno che di un cambiamento culturale, di
mentalita', verso la sofferenza (2).
1.4. Il rapporto tra disagio e problema.
Cause primarie e cause secondarie.
Proviamo a spiegare questo rapporto con la famosa metafora del seme e della
pianta. Se seminiamo grano non c'e' dubbio che, se qualcosa nasce, quello e'
grano: diciamo allora che la "causa primaria", generatrice, risiede nei
fattori interni del seme, mentre la "causa secondaria", che provoca la
crescita, risiede nel complesso dei fattori esterni (acqua, sole, ecc) che
consentono al seme di realizzare la sua potenzialita' e divenire una certa
pianta. Allora il disagio che provo di fronte a un problema (collera e
indignazione per il vicino che fa rumore e non mi fa riposare), ha come
causa primaria il seme della rabbia gia' presente in me, e solo come causa
secondaria il problema (che come acqua annaffia i semi della mia rabbia).
Se questo e' vero ne deriva che, onestamente, non posso mai attribuire
all'Altro "tutta" la responsabilita' del mio star male, cosi' come, d'altra
parte, nemmeno posso attribuirla "tutta" unicamente a me stesso. Cio' e'
particolarmente importante perche' contribuisce fortemente al cambiamento di
atteggiamento verso se stessi e verso gli altri dove si abbandona la
tendenza a colpevolizzare (che produce vittime e capri espiatori), per
andare verso l'assunzione di una responsabilita' sempre piu' consapevole e
condivisa all'interno delle relazioni che viviamo. Ragionare in termini di
corresponsabilita' invece che di colpevolezza produce avvicinamento umano e
costruisce fiducia. Percepire tutte le relazioni come parte di un piu' ampio
sistema dinamico e complesso di relazioni interconnesse e interdipendenti,
di cui noi siamo una parte piccolissima, ma unica e insostituibile, ci
conduce con naturalezza a quel sentimento di vicinanza, fratellanza,
compassione, che e' caratteristico della nonviolenza e assolutamente
centrale per qualsiasi tipo di gestione positiva dei conflitti.
Dove "cade" cio' che accade?
Un altro importante aspetto del rapporto tra disagio e problema e' la sua
dinamica circolare: il disagio alimenta i problemi, i problemi alimentano il
disagio. Quando sono di umore cattivo (nervoso, irritato, depresso) e' molto
probabile che percepiro' piccoli problemi come ostacoli opprimenti, o
addirittura arrivero' a inventare dei problemi per poter scaricare il mio
disagio. D'altra parte un problema, che magari si ripete nel tempo, puo'
mutare un mio stato di serenita' e portarmi a una soglia critica di
tolleranza che alla fine mi fara' percepire (e gestire) quel problema in
modo alterato. La metafora della pianta e del seme, e quindi del terreno, ci
aiuta a ricordare il suddetto rapporto con una domanda da meditare: dove
cade cio' che accade? I problemi della vita quotidiana, piccoli o grandi,
sono accadimenti che, appunto, cadono in noi (il terreno) e trovano risposte
piu' o meno adeguate in rapporto al nostro stato d'animo (che e' cio' che
maggiormente caratterizza la qualita' del terreno). Piu' siamo agitati,
nervosi, ansiosi, irati, risentiti, "stressati", insomma, piu' c'e' disagio
emotivo in noi, e piu' i problemi sono vissuti male e gestiti male. Ecco
perche' trasformare i semi della rabbia, della paura, dell'odio e' la
migliore opera di prevenzione della violenza a tutti i livelli (per esempio
le guerre lasciano potenti semi di odio e rancore che se non vengono
adeguatamente trattati nel cosiddetto tempo di pace, con le opportune
condizioni - cioe' certi problemi - torneranno sicuramente a germogliare).
Per contro, piu' siamo distesi, calmi, contenti, in pace con noi stessi, e
piu' siamo positivi e propositivi rispetto ai problemi e a cio' che in
generale accade nella nostra vita. Ma lo stato di pace interiore deve avere
una certa forza e stabilita', e come vedremo si tratta di una forza che va
coltivata.
Campanelli d'allarme.
A questo punto possiamo considerare il disagio come un campanello d'allarme
che ci consente di riconoscere prontamente il conflitto, cosa fondamentale
perche' per  gestire i conflitti bisogna innanzitutto riconoscerli.
Questa puo' sembrare un'osservazione banale, ma di fatto, se andiamo a
vedere con attenzione e onesta', la gran parte dei nostri conflitti nemmeno
la vediamo (a fine giornata, quanti conflitti abbiamo vissuto? E quanti ne
abbiamo gestiti, consapevolmente, in modo nonviolento o in modo
semplicemente "diverso" dal solito?). Il punto e' che le migliori
intenzioni, supportate anche da una buona preparazione teorica su cosa fare
per gestire il conflitto, si perdono nella nebbia fitta dell'abitudine,
della confusione mentale, dell'identificazione con le emozioni, per cui
viviamo i conflitti senza rendercene conto - e forse viviamo cosi' anche le
cose belle e piacevoli della vita. Ecco allora l'importanza di avere un
indicatore sensibile, chiaro e preciso che ci consente di cogliere al volo
il conflitto mettendoci nelle condizioni di gestirlo consapevolmente. E in
proposito il "problema" funziona come un allarme giallo: il conflitto non e'
ancora scoppiato e, appunto, sappiamo quanto conta a scopo preventivo una
buona gestione del problema. Invece il disagio funziona come un allarme
rosso: il conflitto si e' acceso, o si sta per accendere, per cui si sa,
almeno in teoria, cosa (non) bisogna fare.
1. Su questo argomento segnalo il testo di D. Goleman, Intelligenza Emotiva,
Rizzoli.
2. Sul rapporto tra sofferenza e nonviolenza (e sulla nonviolenza in
generale), segnalo Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi. Sul
rapporto tra violenza e sofferenza, sui meccanismi di propagazione della
violenza e sulle sue radici, che hanno molto a che fare con l'origine dei
conflitti, segnalo anche J. Semelin, Per uscire dalla violenza, Edizioni
Gruppo Abele.
(Continua)

10. INCONTRI. A CAGLIARI CORSO SULLA GESTIONE POSITIVA DEI CONFLITTI
[Riceviamo e pubblichiamo]
Il 21 settembre inizia a Cagliari un corso sulla gestione positiva dei
conflitti.
Il corso e' organizzato dalla "Casa di Alex", promosso dalla "Associazione
Terra" di Cagliari e dal CISP di Roma, col patrocinio del Ministero Affari
Esteri e della RAS - Ufficio Relazioni Internazionali.
Il corso e' gratuito ed e' aperto a trenta persone, che si sono iscritti da
tempo per prender parte sia alle plenarie che ai laboratori.
Per quanto riguarda le conferenze plenarie, pero', abbiamo scelto di
renderle degli appuntamenti pubblici, e sono quindi aperte a tutti e tutte.
* Programma e calendario
Le conferenze:
21 settembre: ore 16.30 accoglienza ed iscrizione ai laboratori.
ore 17-20 conferenza di Enrico Euli: Introduzione ad una gestione
nonviolenta dei conflitti.
28 settembre: ore 17-20 conferenza di Umberto Allegretti: Conflitti e
globalizzazione.
12 ottobre: ore 17-20 conferenza di Franco Cassano: Mediterraneo: soglia,
confine, frontiera.
31 ottobre: incontro-seminario internazionale sui conflitti balcanici con
Predrag Matvejevic. Parteciperanno anche operatori di ONG presenti nell'area
di crisi.
14 novembre: valutazioni finali e conclusioni (a cura dell'Associazione
Terra).
Le conferenze si terranno presso la sala della Casa dello Studente in via
Trentino a Cagliari.
I laboratori (aperti soltanto ai 30 iscritti):
15 - 16 ottobre e 29 - 30 ottobre, dalle 16 alle 19 (sede da definire)
- Mauro Bucci ("Soleluna", Roma): Identita' di gruppo e conflitti, dal
pregiudizio all'interculturalita'.
- Enrico Noviello ("Dulcamara", Amelia): Amico con tutti, fedele a nessuno.
* Informazioni utili
Il corso non prevede l'esonero per gli insegnanti. Per i partecipanti
iscritti e' prevista, al termine, la consegna di un attestato. Per ulteriori
informazioni si puo' chiamare alla "Casa di Alex" il mercoledi dalle 17 alle
20 e il sabato dalle 10 alle 12 (tel. 070672079) oppure alla segreteria
tecnica (348.8850127 - 330.413793).

11. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA EDI RABINI A ETTA RAGUSA

* EDI RABINI
Profilo: impegnato per la convivenza, i diritti, la pace, l'ambiente;
collaboratore e prosecutore dell'opera di Alexander Langer.

* PIERCARLO RACCA
Profilo: e' impegnato nel movimento nonviolento, di cui e' una delle figure
piu' rappresentative.

* MIKLOS RADNOTI
Profilo: poeta ungherese, nato nel 1909, assassinato dai nazisti nel 1944.
Opere di Miklós Radnóti: in italiano una raccolta di versi di Radnóti in
edizione economica è Ero fiore sono diventato radice, Fahrenheit 451, Roma
1995.

* CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI
Profilo: nteorico, critico e storico dell'arte, tra i maggiori
rappresentanti dell'antifascismo e della Resistenza. Opere di Carlo Ludovico
Ragghianti: della sua vastissima produzione cfr. almeno il Profilo della
critica d'arte in Italia.

* RODOLFO RAGIONIERI
Profilo: nato nel 1953, figlio di Ernesto Ragionieri, fisico, impegnato nel
movimento pacifista. Opere di Rodolfo Ragionieri: Sicurezza comune, Edizioni
Cultura della Pace, 1989; (a cura di), La sicurezza dell'Italia, Marietti,
Genova 1989; Il golfo delle guerre, Edizioni Cultura della Pace, 1991.

* ETTA RAGUSA
Profilo: una delle figure piu' note e prestigiose dell'impegno di
costruzione della pace, impegnata nei movimenti nonviolenti, e
particolarmente nella solidarietà con la lotta nonviolenta del popolo
kosovaro; e' il principale punto di riferimento della "campagna Kossovo per
la nonviolenza e la riconciliazione". Collabora a varie pubblicazioni
nonviolente. Indirizzi utili: Casa per la pace, c. p. aperta 8, 74023
Grottaglie (TA), tel e fax 0995662252.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 231 del 17 settembre 2001