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PeaceLink, storia di una comunità virtuale



La mia esperienza e' quella di una comunita' virtuale ecopacifista e 
nonviolenta: PeaceLink. E' cominciata alla fine del 1991 dentro Fidonet per 
poi diventare l'anno successivo una rete autonoma di BBS (Bulletin Board 
System). Non esisteva allora Internet per i comuni mortali e per diffondere 
le informazioni occorreva "sincronizzare" tanti nodi telematici 
locali  "artigianali" (i BBS appunto, ossia "bacheche telematiche") in modo 
che i messaggi si propagassero su tutto il territorio nazionale. Allora le 
comunità virtuali nascevano da queste ragioni strettamente tecniche che 
rendevano indispensabile la collaborazione di tante persone. Di notte ogni 
BBS diramava agli altri i propri messaggi secondo un preciso piano 
concordato in modo da massimizzare l'efficienza minimizzando i costi: i BBS 
erano infatti gratuiti e basati sul volontariato. Ci sentivamo un po' come 
dei "missionari tecnologici" ed io provavo un malcelato orgoglio nel dire: 
noi pacifisti siamo gia' in rete, le forze armate italiane non ancora. 
Fummo particolarmente intraprendenti (tanto che il computer centrale ci fu 
sequestrato nel 1994, ma 6 anni dopo arrivo' l'assoluzione con formula 
piena). Avevamo dispiegato nel 1994 una rete decentrata nelle principali 
citta' d'Italia di oltre 50 nodi telematici che - sul mercato - veniva 
valutata mezzo miliardo e che invece noi consideravamo un servizio pubblico 
gratuito realizzato tramite il volontariato puro di almeno 100 persone 
(conteggiando un sysop e un cosysop per ogni BBS, ossia un gestore e un 
collaboratore per ogni nodo).
Oggi invece con un sito web anche una sola persona può fare tutto e sembra 
venir meno lo spirito delle "comunita' virtuali" di allora. Sono allora 
destinate a morire le comunità virtuali? No: ne cambia la ragione fondante.
Nel 1995 noi di PeaceLink ci "affacciammo" con tante diffidenze sul web, 
mantenendo un'opzione prioritaria verso i BBS che consideravamo la 
"telematica povera", fatta con le nostre mani, senza coloranti ne' 
conservanti e priva di ogni spirito commerciale. Tenemmo centrale la 
funzione dei BBS perche' la nostra comunita' virtuale allora era li', li' 
era la partecipazione e il web ci sembrava una vetrina che rendeva gli 
utenti degli spettatori, quasi dei "telespettatori". Forse c'era qualcosa 
di "ideologico" in quella nostra contrapposizione fra "tecnologia povera" 
partecipata e "tecnologia commerciale" passivizzante. Avevamo il timore che 
la "comunita' virtuale" venisse sostituita dal "re" webmaster e che il 
processo di partecipazione venisse strozzato da un'innovazione tecnica: il 
web. C'era qualcosa di anarchico, a ben vedere, in questo nostro sospettoso 
approccio alla nuova telematica di Internet, vista come una colonizzazione 
dei nostri territori di nativi della rete. Le scelte tecniche che pensammo 
furono pertanto tutte mirate a integrare (con un "gateway" artigianale) la 
tecnologia partecipata dei BBS con la "solitaria" potenza del web. I BBS 
furono interfacciati con la posta elettronica Internet e inoltre - mediante 
un "webgate" - ogni utente che scriveva un messaggio poteva far apparire 
quel messaggio sul web. Anche se tanti BBS sono morti nel frattempo, il 
concetto è rimasto ed ogni utente di posta elettronica (che un tempo 
proveniva dai BBS ed oggi da Internet) quando scrive un messaggio pubblico 
realizza automaticamente una pagina web, dotata di un preciso indirizzo 
Internet, senza dover imparare il linguaggio HTML o l'uso di programmi di 
creazione delle pagine web e senza dover trasferire le pagine mediante FTP, 
con problemi di password, login e lungaggini varie. Oggi si dispone di 
nuovi software di gestione del web che consentono una gestione 
"partecipata" come se fosse un BBS, ma in origine il web era una vetrina le 
cui chiavi le aveva in mano il solo webmaster. Pertanto allora la scelta di 
"traghettare" la comunita' virtuale sul nuovo mondo del web non fu semplice 
e richiedeva impostazioni tecniche che non facessero perdere in 
partecipazione ma che la valorizzassero nel nuovo contesto. E cosi' e' 
stato. Infatti l'impegno che prima era assorbito nella gestione tecnica si 
e' riversata nella gestione informativa ed e' fiorita una quantita' di 
messaggi che prima non esisteva. La comunita' virtuale di PeaceLink si e' 
trasformata da una comunita' a prevalenza di "tecnici volontari" ad una 
comunita' a prevalenza di "giornalisti volontari". Oggi i tecnici non sono 
scomparsi, rimangono pur sempre la base fondamantale. Si e' fatta anzi 
strada una interessante "scelta di volontariato": esperti che offrono 
qualche ora alla settimana gratis. Persone superspecializzate che - in 
un'ottica di volontariato vecchio tipo - dovrebbero scendere in strada per 
fare volontariato mettendo da parte le proprie competenze... ora fanno 
volontariato online usando in primo luogo le proprie competenze. Magari poi 
vanno lo stesso in Africa, come e' capitato al nostro Enrico Marcandalli 
che ha installato il laboratorio telematico a Koinonia nella comunita' di 
padre Kizito a Narobi.
Tornando ai messaggi di posta elettronica che appaiono sul web come pagine 
dotate di un loro indirizzo (URL), va notato che questo sistema rende il 
sito Internet una sorta di gioco del Lego, o meglio una bacheca in cui 
combinare e ricombinare, montare e smontare, spostare e collegare le 
informazioni tramite link. Tutto ciò che scrivono tutti e' "richiamabile" 
mediante la URL del loro messaggio ed e' "impaginabile" secondo una logica 
modulare e partecipata del sito. La comunita' virtale e' stata rilanciata - 
nel contesto del web - in quest'ottica in cui tutti possiamo "fare 
giornalismo", pur senza "essere giornalisti". Lo chiamiamo "volontariato 
dell'informazione" ed e' nelle finalita' statutarie di PeaceLink, 
registrata come associazione di volontariato.

Tre considerazioni infine su quattro questioni per me importanti: i soldi, 
i rapporti personali, l'etica, la politica.

I soldi.
Dal 1991 abbiamo vissuto raccogliendo pochissimo soldi e donando i diritti 
d'autore dei nostri libri ai bambini di strada di Nairobi. I soldi ci sono 
serviti per acquistare un computer centrale, ammodernarlo, telefonare, 
comprare un po' di francobolli. Non abbiamo sedi centrali, facciamo tutto 
"in casa". Non paghiamo nessuno. Non ci paghiamo. Questo ci ha consentito 
si vivere per quasi dieci anni senza mai arrabbiarci per i soldi. 
Associazioni e giornali che progettavano con i miliardi... in questi dieci 
anni sono scomparsi.

I rapporti personali
In una societa' competitiva ti insegnano che e' la concorrenza l'energia 
vitale che muove le cose. In una comunita' virtuale invece si ha piacere di 
imparare dai piu' esperti e si e' contenti di avere accanto persone che "ci 
superano" per competenza, intraprendenza, spirito creativo. Sono quelli 
"migliori di noi" che ci aiutano a saperne di piu'. Questo non genera - 
almeno fra noi - competizione, gelosia, ansia di emergere, lotte intestine. 
Sappiamo che il successo del singolo e' collegato al successo del gruppo. 
Il gruppo e' un ambiente di apprendimento solidare in cui la concorrenza 
lascia il campo alla tacita gratitudine e alla cooperazione per un fine che 
ci appartiene socialmente. In campo didattico questo si chiama "Cooperative 
Learning" e - trasportadolo dalla scuola alle comunita' virtali - tale 
pratica genera valori aggreganti e non competitivi. Genera la coesione e il 
futuro stesso di una comunita' virtuale.

L'etica.
Fare informazione senza agire e' ben poco. Un dei limiti di varie comunita' 
virtuali e' quello della "chiacchierata" e della "verbosita'", malattia che 
in particolare la sinistra (e comunita' vituali nate in ambito strettamente 
politico) ha portato alla follia di riunioni su riunioni... su riunioni 
ancora. Per decidere cosa fare, per autorizzare o non autorizzare, per 
progettare il futuro, ecc. Fiumi di riunioni che - riprodotte in rete - 
divengono fiumi di parole che richiedono mesi di letture e di stress da 
video. All'opposto, i fautori dell'azione diretta (in particolare le 
comunita' virtuali nate dai centri sociali) hanno considerato la rete come 
strumento operativo per "scendere in piazza". In PeaceLink abbiamo sempre 
cercato di privilegiare l'approccio non logorroico. Prima costruiamo poi 
discutiamo. E' un approccio pragmatico ed esperienziale ben diverso dal "tu 
fare, io maestro". Cerchiamo di discutere di cose che stiamo costruendo, 
non di grandi progetti per il futuro. E' importante che una comunita' 
virtuale scenda nel concreto, si mischi alla gente e alla realta'. 
Importante per noi e' la discriminante etica gandhiana della nonviolenza: 
miriamo a fini nuovi con mezzi nuovi anch'essi. L'azione diretta e' sempre 
rigorosamente nonviolenta, positiva, propositiva, "per" e non solo 
"contro". La comunita' virtuale e' quindi - almeno per me - una societa' 
virtuale in cui sperimentiamo rapporti sociali nuovi, una sorta di 
"socialismo umanistico nonviolento" in cui liberta', uguaglianza e 
cooperazione solidale siano non solo parole ma le basi stesse del nostro 
vivere sociale virtuale. In questo senso la rivoluzione nonviolenta cosi' 
difficile da fare nella societa' si puo' anticipare e sperimentare in rete 
nei suoi fondamenti etici.

La politica
Infine: alla larga dalla politica dei partiti. Questa e' la personalissima 
conclusione personale che in dieci anni di rete ho maturato. Abbiamo 
l'opportunita' di creare nuovi luoghi dove realizzare i nostri sogni, 
perche' allora sprecare questa opportunita' consegnandola alle vecchie 
logiche del potere e della delega a chi - tra l'altro - spesso ne sa meno 
di noi?  Le comunita' virtuali saranno una novita' se sapranno far crescere 
persone e idee nuove, ossia un contropotere morale alla logica dei soldi, 
delle carriere e dei tanti voltagabbana che ci sorridono (perche' ci 
sorridono?) dai manifesti elettorali.

Alessandro Marescotti
a.marescotti@peacelink.it
presidente di PeaceLink
www.peacelink.it