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strage voluta da fascisti e servizi segreti



 La Stampa  
 Domenica 12 Marzo 2000

 
  Bomba in questura, giustizia dopo 27 anni
 
 Milano: 4 ergastoli per la strage voluta da fascisti e servizi segreti
 
  
 MILANO 
In galera, per ora, continuerà a rimanerci solo il "Negro", nome in codice
che il Sifar e poi il Sid, i servizi segreti degli anni della strategia
della tensione, attribuirono a Gianfranco Bertoli, l'uomo che il 17 maggio
1973, fingendosi anarchico, gettò una bomba a mano davanti alla Questura di
via Fatebenfratelli uccidendo 4 persone innocenti e ferendone più di 40. I
suoi mandanti, o almeno una parte di essi, l'ex ufficiale dell'esercito
Amos Spiazzi e neofascisti Carlo Maria Maggi, Francesco Neami e Giorgio
Boffelli, anche se sono stati condannati ieri all'ergastolo dalla quinta
corte d'assise, continueranno a rimanere liberi, protetti dall'età e dai
malanni e da una sentenza che, per quanto giunta dopo 27 anni d'indagini, è
ancora di primo grado, quindi rivedibile. Una strage "di Stato" decisa dai
vertici golpisti dei servizi di allora e dai gruppi neofascisti veneti per
punire con la morte l'allora ministro degli Interni Mariano Rumor,
colpevole di non aver voluto decretare lo stato d'emergenza dopo gli
attentati di Piazza Fontana e dei treni e di aver anzi deciso di sciogliere
l'organizzazione neofascista Ordine Nuovo. Ma quando la bomba deflagrò,
Rumor si era già allontanato dalla Questura: a morire furono cittadini
indifesi. 
Ma intanto una prima verità dopo tante bugie, è stata scritta e non lascia
scampo al comodo oblio dei misteri d'Italia dietro cui troppo spesso si
nascondono realtà imbarazzanti: quella bomba che Bertoli, con la A di
anarchia tatuata sul braccio, scagliò in mezzo alla folla che commemorava
la morte del commissario Luigi Calabresi, venne costruita (forse) nelle
caserme israeliane del Mossad, innescata nel chiuso di certi squallidi
uffici dei servizi segreti "deviati" del Sid, trasportata dal fanatismo
politico di destra dei fascisti di Ordine Nuovo. E adesso alcune caselle di
quel complicatissimo puzzle in cui si saldarono eversione nera e servizi
golpisti per ins anguinare il Paese da Piazza Fontana in avanti, hanno un
nome. Quello di Amos Spiazzi, il colonnello dell'esercito e dei servizi
accusato di aver dato vita all'organizzazione "Rosa dei Venti" e di aver
coperto i responsabili dell'attentato: l'unico presente ieri alla lettura
della sentenza e a protestare la sua innocenza. Anzi, la sua estraneità: «È
un'ingiustizia macroscopica. Non conosco questa gente e non so perchè ce
l'hanno con me». 
Quello di Carlo Maria Maggi, imputato anche per la strage di Piazza
Fontana, il medico veneziano accusato di aver guidato i fascisti di Ordine
Nuovo. Quello di Francesco Neami, l'ordinovista triestino che avrebbe
«istruito Bertoli sull'uso della bomba e sulle risposte da fornire in caso
di arresto». Quello di Giorgio Boffelli, l'ex mercernario che avrebbe
arruolato "l'anarchico Bertoli" dopo il rifiuto di un altro neofascista,
quel Claudio Vinciguerra rifiutatosi di partecipare all'azione perché
«sentiva puzza di servizi». La corte ha stabilito la loro colpevolezza
accogliendo in pieno le tesi del pubblico ministero Grazia Pradella,
pubblica accusa insieme al collega Meroni anche nel processo per Piazza
Fontana. «È una sentenza importante per Milano - dice la pm - perché questa
strage, che è stata quasi dimenticata, ha colpito la città nel cuore come
quella di Piazza Fontana e il fatto che un tribunale abbia riconosciuto le
responsabilità di un gruppo di neofascisti del triveneto e milanesi diventa
un segnale importante anche per l'altro processo». 
Sul fascicolo che il giudice istruttore Antonio Lombardi - l'uomo che più
di altri ha indagato sulla strage - scoprì nel ?91 tra le carte segrete e
"dimenticate" del Sid, intestato a Gianfranco Bertoli, unico reperto di un
più ampio carteggio distrutto col fuoco nel 1986, qualcuno scrisse: «Non
dare all'autorità giudiziaria se non indispensabile». Furono in molti ad
impegnarsi nei depistaggi: alcuni sono morti, altri non sono mai stati s
coperti, uno è stato condannato: si tratta dell'ex generale responsabile
dell'ufficio "D" del Sid, Gian Adelio Maletti. Per lui la corte ha
stabilito 15 anni di reclusione che però il generale non sconterà mai: da
anni risiede in Sudafrica. Condanne a pioggia infine anche per vari
esponenti di ordine Nuovo: 10 anni per Gilberto Cavallini, 6 anni e 6 mesi
a Ettore Malcangi, 6 anni a Enrico Caruso, 6 mesi in continuazione con una
precedente pena per Lorenzo Prudente. Prosciolto invece per la sua
collaborazione l'ex neofascista legato ai servizi Carlo Digilio, il grande
pentito anche dell'inchiesta su Piazza Fontana, l'uomo che descrisse tutti
i preparativi dell'attentatro, «organizzato nell'appartamento in via Stella
a Verona di Marcello Soffiati». E prosciolti anche Sergio Minetto e Martino
Siciliano. I 4 condannati all'ergastolo dovranno anche risarcire il Comune
di Milano, parte civile, con una cifra di 500 milioni e svariate centinaia
di milioni ai famigliari delle vittime. Nessun risarcimento invece per lo
Stato italiano che inspiegabilmente non si è mai costituito parte civile.
 


 
   
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