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Scelli e la CRI



Da il manifesto

INTERVISTA

«Scelli fa politica, la Cri va riformata»
Rufini, docente di peacekeeping: la Croce rossa italiana non è più neutrale

«La Croce rossa italiana costituisce da molto tempo un'anomalia: da anni il
governo l'ha commissariata con lo scopo ufficiale di assicurarne il
funzionamento. Ma il controllo diretto da parte del governo è una
violazione delle Convenzioni di Ginevra, per non parlare dell'integrazione
con le forze armate». Per Gianni Rufini, docente di aiuto umanitario e
peacekeeping, la polemica che ha coinvolto la Croce rossa italiana (Cri) e
il suo commissario Maurizio Scelli in seguito alla morte di Enzo Baldoni,
ha radici lontane. Le ombre che aleggiano sulla tragica vicenda del
free-lance italiano non sarebbero, dunque, che una logica conseguenza del
criterio di gestione fin qui seguito.

A parte i problemi che si trascinano da anni, quali altri errori sono stati
commessi durante la crisi irachena?

Nell'aprile del 2003, Scelli - già candidato di Forza Italia nel 2001, e
perciò figura di dubbia indipendenza - viene nominato commissario della
Cri. Il nuovo commissario decide subito di allestire un ospedale da campo
con il finanziamento della cooperazione italiana. Ma l'utilità della
struttura è alquanto discutibile. In risposta a un'emergenza umanitaria,
infatti, la prima regola è il rafforzamento delle strutture esistenti in
loco. Insomma, invece di spendere soldi per un ospedale da campo sarebbe
stato meglio ristrutturarne uno. Si è agito ancora una volta contro il buon
senso, privilegiando un'operazione di immagine. Dulcis in fundo, sono stati
inviati i carabinieri a proteggere l'ospedale italiano.

Perché si è prodotta questa commistione tra assistenza umanitaria e
operazioni militari?

La sensazione è che la protezione dell'ospedale sia servita per
giustificare la nostra presenza militare in Iraq. La Croce rossa non lavora
mai accanto alle forze armate, a parte alcuni rari casi in cui le forze di
peacekeeping sono imparziali e accettate da tutte le parti in lotta. Altra
regola è il basso profilo: non si emettono comunicati che non siano
approvati a Ginevra e non si concedono interviste. Una linea di condotta
che Scelli ha ignorato.

Quanto ha pesato questo atteggiamento nella vicenda Baldoni?

In Iraq Scelli non ha credibilità come negoziatore, perché non ha fatto uso
della dovuta discrezione: ancora non era cominciato il negoziato per
liberare Baldoni, se mai c'è stato, che già rilasciava dichiarazioni. E' un
comportamento lontano anni luce non solo dalle regole della Croce rossa, ma
anche dalla prassi seguita da qualunque buon negoziatore. Non mi stupisce,
quindi, che i tentativi di salvare Baldoni, anche se accompagnati dai
propositi più nobili, siano falliti.

In base alle convenzioni internazionali, quali sono i principi che
dovrebbero regolare l'azione della Croce rossa?

Sin dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, si è stabilito che l'aiuto
umanitario deve essere esente da influenze esterne. La Croce rossa,
infatti, non deve mai confondersi con i militari, perché nasce per
assistere le vittime civili delle guerre. L'unico criterio che la guida è
quello di aiutare le popolazioni bisognose secondo i tre principi del
movimento: il dovere di agire, la neutralità e l'imparzialità. In Italia,
invece, la Cri sfila insieme ai soldati il 2 giugno su via dei Fori
Imperiali, stravolgendo così il concetto di aiuto umanitario.


GABRIELE CARCHELLA
Lettera 22



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L'autoritarismo ha bisogno
di obbedienza,
la democrazia di
DISOBBEDIENZA