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dal presidio di nablus r 16



Nablus, 30 maggio 2004

La fresca primavera oggi ha lasciato il passo al caldo estivo. Cambia il
tempo, ma non le amene abitudini degli israeliani. Come al solito, nella
notte, i soldati sono entrati, sparando, nella Citta' Vecchia. 
Al mattino l'ambulanza del Medical Relief raggiunge un casetta dove i sicari
di Sharon, malmenato il proprietario, si sono installati per alcune ore.
Andandosene hanno lanciato almeno una bomba fumogena che nell'eplodere ha
scheggiato il selciato di durissima pietra! Al rientro rivedo altri due
volontari, Giuditta e Fabio, arrivati con la seconda ambulanza inviata a
portare aiuto ad altre case occupate questa mattina, da dove i soldati di
tanto in tanto ancora sparano dalle finestre.
Cerco di rendere la dimensione pratica, "normale" del vissuto di questa
citta'.
Nablus ha centottantamila abitanti. E' un grosso centro urbano situato in
una valle dai cui rilievi, circa novecento metri, dominano due grosse basi
militari israeliane. Le uscite della citta' sono semplici da controllare.
Gia' ai tempi dei romani (Nablus e' la Nea Polis di allora) gli ingegneri
imperiali avevano costruito un reticolo di gallerie per sfuggire agli assedi.
E a Nablus, citta' assediata dal 28 marzo 2002 {quando, invasa dai carri
armati, in un solo giorno ebbe ottanta morti} oggi gli assedianti scorrazzano
come meglio gli aggrada. 
Stretta nella morsa dei posti di blocco la gente non puo' entrare o uscire
senza subire controlli tanto minuziosi e insultanti quanto lunghi ed 
imprevedibili.
Poi quando, e se, riescono a tornare a casa, potrebbero ricevere, magari
a notte fonda, le visite di cortesia dei bravi cittadini in divisa del cosi'
detto "stato ebraico" (definizione giustamente contestata da moltissime
persone di religione ebraica). 
Non dimentichiamo che l'occupazione israeliana dura da decenni. Molto piu'
lunga quindi di quella imposta da fascisti e nazisti all'Europa nella Seconda
guerra mondiale. La sottolineatura temporale ha un suo significato perche'
l'oppressione militare israeliana marca non una, ma molte generazioni. Io
ricordo l'occupazione nazista (e il suo corollario di servi fascisti e 
repubblichini)
come un incubo lungo cinque anni alla fine del quale vi fu la Liberazione,
ed una nuova vita. 
Qua in Palestina non si vede una fine.! Non c'e speranza! Solo volonta'
di continuare a vivere cercando, giorno dopo giorno, di ricostruire fuori
e dentro di se' un barlume di normalita' umana (magari soltanto sognata).

Quanto segue appartiene ad un singolare momento di questa continua 
ricostruzione.
Nel tardo pomeriggio assisto all'inizio del campionato cittadino di 
pallacanestro
che riprende dopo tre anni e mezzo di sosta forzata. Di fronte una squadra
di Nablus e quella del villaggio di Samaritani situato appena oltre l'alto
rilievo occidentale. Se mi stupisce che qui a Nablus abbiano un campionato
di pallacanestro, mi stupisce ancor  piu' che vi sia una squadra di 
"Samaritani".
Le "grandi firme" del giornalismo italiano non mi pare abbiano mai raccontato
la storia di questa piccola comunita' ebraica palestinese, con una sua squadra
di pallacanestro, con un proprio seggio nel Consiglio Legislativo Palestinese,
a cui Israele riserba la stessa sorte di ogni altro palestinese, cristiano,
musulmano o ebreo.

Giorgio Stern



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