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lettera aperta a Repubblica sull'Iraq
Lettera aperta al direttore de La Repubblica Ezio Mauro da parte di un
semplice lettore.
Caro Direttore,
sono un lettore de La Repubblica ed anche un assiduo frequentatore
dell'omonimo sito internet. Mi riconosco nel movimento per la pace e, come
milioni di altri italiani, non solo nelle idee del movimento, ma anche
nell'impegno e nella partecipazione.
Le scrivo dopo averla ascoltata nella puntata della rubrica del TG3, Primo
Piano del 17-05-04.
Perché le scrivo?
Nella puntata di Primo Piano che prendeva spunto dalla tragica morte del
caporale Matteo Vanzan, lei ha espresso un'opinione che, per altro, porta
avanti da tempo e che io condivido pienamente. E' il momento di ritirare le
nostre truppe dall'Iraq.
Tuttavia la sua tesi è che questa decisione s'impone dopo aver verificato
sul campo che il nostro intervento in Iraq non viene più avvertito come una
missione pacificatrice e umanitaria, ma come un'occupazione militare. Anche
se la missione italiana è partita con connotati umanitari, lei dice, i fatti
ci dicono che oggi il nostro paese può considerarsi ufficialmente in guerra
contro l'Iraq.
Mi perdoni direttore, ma le cose non stanno così. E lei lo sa.
Questa guerra, direttore, è stata un'aggressione illegittima contro un
paese, governato si da una dittatura sanguinaria, ma praticamente ridotto
alla catastrofe umanitaria dopo dodici lunghi anni di embargo e più di un
milione e mezzo di morti come conseguenza diretta.
A distanza di più di un anno dall'aggressione militare, i contingenti
statunitense, britannico ed anche il nostro italiano, non sono forze di
peace keeping, ma eserciti di occupazione.
Caro direttore, lei m'insegna che le istituzioni non hanno un valore a
prescindere, ma esistono se sono riconosciute e rispettate come tali.
Altrimenti è il caos e l'anarchia. Le Nazioni Unite sono nate dopo la
seconda guerra mondiale allo scopo di evitare che nel mondo regnasse
l'arbitrio, essendo essa un'istituzione sovranazionale legittimata da tutti
i paesi e deputata a regolare i rapporti tra gli stati per la costruzione ed
il mantenimento della pace. Un'istituzione voluta dai vincitori della
seconda guerra mondiale proprio per scongiurare gli orrori e le ingiustizie
che quegli anni di guerra portarono con se. Da allora direttore, questa
istituzione è stata umiliata troppe volte dagli stessi vincitori che
l'avevano voluta e troppe volte piegata vergognosamente ai loro interessi.
Ma la fedeltà a certi principi non ammette eccezioni.
Se restiamo convinti che spetti alle Nazioni Unite stabilire la legittimità
di un intervento armato verso un paese, allora questa guerra è illegittima
ed è un attacco unilaterale e arbitrario verso un altro paese, fuori dal
diritto internazionale. Punto e basta.
Non può essere che, proprio per il mondo civile, liberale e democratico, i
principi, le regole, le leggi e le istituzioni valgano solo quando fa
comodo.
Ora, poiché le cose stanno così, l'Italia, come alleato degli Stati Uniti, è
un paese aggressore ed occupante. Un paese in guerra contro un altro paese.
Da sempre. Dall'inizio.
Ma, caro direttore, lei sa anche, meglio di me, che l'ENI aveva un contratto
per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Nassyria, già con il
regime di Saddam. La nostra missione in Iraq prevede l'invio di un
contingente di circa 3000 soldati proprio a Nassyria, per difendere quei
giacimenti petroliferi che noi vogliamo sfruttare ed il finanziamento di un
ospedale della Croce Rossa a Baghdad. Lei sa che l'intervento a Nassyria
costa all'Italia 232 milioni e 451 mila euro, mentre il finanziamento
dell'ospedale ci costa 21 milioni e 554 mila euro. Se spendiamo 10 volte più
denaro pubblico per difendere i pozzi di petrolio a cui siamo interessati di
quanto ne spendiamo per una operazione umanitaria, come si può mai
concludere che la missione italiana in Iraq è o è stata almeno inizialmente
una missione umanitaria?
Non è possibile direttore, e lei lo sa. Meglio di me.
Ora, io non pretendo che il direttore di un giornale così importante come La
Repubblica sia una voce profetica. Sono troppi gli equilibri a cui deve
badare e troppe le pressioni che deve sopportare. Sarebbe come pretendere
che il Papa si esprima come Alex Zanotelli. Se voglio cercare informazioni
scevre da condizionamenti o ascoltare opinioni illuminanti e profetiche, so
dove trovarle. Internet è pieno di siti realizzati da persone che impegnano
la vita per la pace e la verità. Tuttavia direttore, siamo in una
congiuntura molto felice per osare. Il movimento per la pace è ovviamente
schierato in maniera intransigente per il ritiro delle nostre truppe
dall'Iraq. Il Centrosinistra, che è la parte politica a cui indubbiamente
guarda il suo giornale, ha raggiunto, per lo più, un'intesa in questo senso.
Ormai è evidente che una grande parte degli italiani si sta convincendo che
il ritiro del nostro esercito sia una scelta saggia. Troppo lunga e
sanguinosa questa guerra! E poi c'è stata la strage di Nassyria, la faccenda
degli ostaggi, i fatti di Abu Ghraib, per non dimenticare la bomba di
Madrid. La gente è stanca di aver paura direttore, è stanca della morte,
Dopo la scomparsa del caporale Matteo Vanzan, questa stanchezza si è ancor
più acuita. E allora direttore, perché non cogliere l'occasione per dire,
almeno per una volta, tutta la verità su questa guerra sporca e infame?
L'opinione pubblica sarebbe dalla sua parte. Un atto di coraggio del genere,
lanciato dagli schermi televisivi, sarebbe stato contagioso e avrebbe potuto
mettere in moto un circuito virtuoso di verità ed ammissioni. Lei avrebbe
accettato una sfida esaltante, quella di traghettare una grande parte
dell'opinione pubblica italiana verso la verità. E allora direttore, perché
continuare a mentire?
Le sarò molto grato se vorrà rispondermi.
Un abbraccio cordiale.
Diego Piccioli