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ACCORDI DI GINEVRA



GUERRE&PACE
Via Pichi 1, Milano
Tel 0289422081; guerrepace@mclink.it


Oggi a Ginevra vengono presentati pubblicamente gli accordi tra esponenti
palestinesi e israeliani - guidati da Yossi Beilin e Yasser  Abed Rabbo.
Questa iniziativa è stata salutata da molte/i di coloro che hanno a cuore
la pace e i diritti dei palestinesi come un'occasione importante -
addirittura l'ultima occasione - per far ripartire il dialogo e un vero
processo di pace tra palestinesi e israeliani.
Come rivista abbiamo dedicato molto spazio al conflitto israelo-
palestinese - e anche nel numero di dicembre in uscita potrete trovare un
articolo proprio sull'iniziativa di Ginevra - con l'obiettivo di
approfondire e comprendere il contesto del conflitto stesso; allo stesso
tempo abbiamo cercato di contribuire alle iniziative di sostegno ai diritti
del popolo palestinese e di costruzione di una pace giusta.
Siamo tra coloro che sperano che l'iniziativa di Ginevra possa davvero
riuscire a sbloccare una situazione terribile per il popolo palestinese -
ma anche per quello israeliano - ma ne vediamo anche i limiti e le
ambiguità. I più grandi dei quali - secondo noi - possono risiedere nella
creazione di ulteriori "illusioni" o nella rimozione della reale e tragica
situazione sul terreno.
In ogni caso saranno le popolazioni di Israele e Palestina a dover
giudicare e far marciare qualsiasi processo di pace. Per quanto ci riguarda
crediamo di dover invece mantenere sempre uno sguardo critico e per questo
vi proponiamo questo articolo scritto da due pacifisti radicali israeliani
- che sottolineano anche le ombre degli accordi - perché serva per meglio
approfondirne il significato e poter lavorare per una soluzione pacifica e
giusta del conflitto.

Per chi fosse interessato, l'articolo di amos Oz al quale fanno riferimento
può essere trovato (in inglese) all'indirizzo
http://www.guardian.co.uk/g2/story/0,3604,1064754,00.html un altro
interessante articolo di Azmi Bishara è rintracciabile su
http://weekly.ahram.org.eg/2003/661/op10.htm

La redazione di G&P



Testo e contesto israeliano degli Accordi di Ginevra
Shiko Behar e Michael Warschawski* - 24.11.2003

Gli accordi di Ginevra, l'ultima cornice non ufficiale per la pace
israelo-palestinese, reso pubblico a metà ottobre del 2003, non sono
diventati la base per i negoziati ufficiali. Ma l'iniziativa ha già avuto
successo su un aspetto: ha suscitato tante voci di speranza quante di
protesta tra gli israeliani e i palestinesi anche se il governo israeliano
li ha rifiutati e l'autorità palestinese non li ha  formalmente
sottoscritti. Gli accordi di Ginevra - essenzialmente un riproposizione del
piano di pace presentato dal presidente Clinton alla fine del 2000, gli
accordi di Ginevra fissano diversi principi base sui quali costruire un
accordo di pace permanente.

L'iniziativa di Ginevra richiede una seria valutazione critica da parte  di
coloro che sono interessati in una pace duratura - una pace più giusta
possibile - tra israeliani e palestinesi. I negoziati hanno coinvolto un
consistente numero di importanti personaggi guidati da  Yossi Beilin, già
ministro nel governo laburista israeliano, e Yasser  Abed Rabbo, fino a
tempi recenti ministro degli affari di gabinetto  dell'autorità palestinese
e uno dei maggiori rappresentanti nei  passati colloqui ufficiali. Fino ad
oggi gli accordi di Ginevra  rappresentano il documento più avanzato sul
quale si è trovato un  accordo tra politici palestinesi e israeliani di
alto livello. Comunque,  in un modo che ricorda le iniziative dell'epoca di
Clinton, questo  apparentemente coraggioso documento è intrinsecamente
debole.  Ed è anche presentato in maniera ingannevole  - e quindi votata
alla sconfitta - dai suoi firmatari israeliani.

DOPPIA URGENZA
In base agli accordi Israele è autorizzata a legalizzare e mantenere
insediamenti nella Cisgiordania occupata (che ospitano oltre 3000.000
coloni), inclusi tutti gli insediamenti ebraici costruiti dopo il 1967
nella parte orientale araba di Gerusalemme. In cambio i palestinesi
ricevono quale compensazione territori equivalenti da Israele. I
Palestinesi avranno la garanzia della sovranità sui territori scambiati e
sulle restanti parti di Cisgiordania e Gaza, inclusi i sobborghi arabi i
Gerusalemme est. Questa entità sovrana palestinese rimarrà smilitarizzata.
La sicurezza del Monte del Tempio/Spianata delle Moschee, luoghi sacri di
Gerusalemme sarà  assicurata da una forza internazionale permanente, mentre
gli aspetti non riguardanti la sicurezza saranno sotto controllo
palestinese; sarà garantito agli ebrei il pieno accesso al sito.
I palestinesi resi profughi nel 1948 riceveranno risarcimenti, mentre sarà
ad unica discrezione israeliana decidere a quanti rifugiati, sul totale di
oltre 4,1 milioni registrati dall'Onu, sarà permesso ritornare  nelle loro
case in Israele.

Questa clausola rappresenta un forte compromesso da parte palestinese
rispetto al diritto al ritorno dei rifugiati - benché non sia  il suo
totale abbandono. A questo riguardo l'opposizione agli accordi tra i
palestinesi è legittimata non solo da un punto di vista politico e morale
ma anche dal punto di vista a loro favorevole della legge umanitaria e
internazionale. Per giustificare questa concessione, i palestinesi che
hanno partecipato ai negoziati di Ginevra sottolineano una doppia urgenza
che attualmente prevale su altre questioni nell'arena politica
israelo-palestinese.

La prima urgenza è che sta scadendo il tempo per arrivare ad una soluzione
negoziata: nel prossimo futuro potrebbe non esistere più nulla di
sostanziale da negoziare, dati i continui insediamenti israeliani nei
Territori Occupati e la costruzione del muro all'interno  della
Cisgiordania, che sta di fatto rafforzando un sistema di apartheid.
La seconda deriva dalla crescente convinzione tra le opinioni pubbliche
palestinesi ed israeliane che non esistono partner dall'altra parte e
quindi i negoziatori palestinesi sostengono che presto potrebbe diventare
impossibile convincere palestinesi e israeliani che un qualsiasi tipo di
soluzione negoziata del conflitto possa essere raggiunta.
I partecipanti israeliani ai negoziati di Ginevra condividono questa
sensazione di doppia urgenza; ecco perché giustificano l'importanza della
loro iniziativa, valorizzando la sua potenziale capacità di capovolgere la
spirale di disperazione (di Israele), o perlomeno di frenarla.

LE LEZIONI DI OSLO
Benché le prospettive degli Accordi di Ginevra siano incerte, un altro
ministro palestinese, Ghassan Al Khatib, ha risposto a diversi
commentatori che tali accordi "stanno creando utili rumori" in Israele.
Arrivando dopo tre anni di assenza di iniziative ufficiali da parte del
governo sharon, e tra le critiche provenienti dal capo dello Staff delle
forze armate israeliane Moshe Yaalon e da quattro ex dirigenti dei servizi
di intelligence, l'iniziativa di Ginevra ha il potenziale di interrompere
lo spostamento a destra dell'opinione pubblica ebraica israeliana. Ma le
analisi sul possibile impatto degli  accordi devono tenere in
considerazione l'esperienza degli accordi  di Oslo del 1993, che sembravano
anch'essi promettere pace, e la  loro disintegrazione nella seconda metà
degli anni '90.

Molti di coloro che pensavano che gli accordi di Oslo avrebbero prodotto
una pace che fosse la più giusta possibile, limitavano la loro analisi al
testo degli accordi stessi, che portava loro a premettere che tali accordi
incontravano le aspirazioni minime del popolo palestinese.
Benché gli accordi non soddisfacevano queste aspirazioni minime, avrebbero
comunque potuto rappresentare un modesto punto di partenza per una pace
israelo-palestinese che soddisfacesse i bisogni basilari di israeliani e
palestinesi (solo per quanto riguarda Gaza e Cisgiordania) - a condizione
che israeliani e palestinesi avessero compreso il testo in maniera simile e
provveduto a portare  avanti i negoziati in buona fede. Sfortunatamente non
è stato così.

Se i negoziatori palestinesi sembravano sinceramente intenzionati a
raggiungere quello che definivano "storico compromesso" basato sulla
risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu - che significava
rinunciare a nulla di meno del 78% della loro rivendicazione storica
dell'intero territorio della Palestina mandataria - i politici israeliani
usarono i documenti di Oslo per consolidare ulteriormente il loro controllo
coloniale sulle vite e sulla terra palestinesi. Durante il "processo di
pace" le colonie esistenti  si sono allargate, ne sono state costruite
ulteriori e il numero dei coloni è più che raddoppiato. Questi fatti
portano ad una sola conclusione: i primi ministri Yitzhak Rabin e Shimon
Peres intendevano sfruttare sin dall'inizio l'equilibrio asimmetrico tra le
forze dello stato occupante israeliano e la società palestinese occupata
per imporre all'Autorità Palestinese una concezione di pace basata sulla
continua dominazione.

Molti osservatori del processo di Ginevra trascurano il fatto che gli anni
'90 in Israele sono stati principalmente un periodo di governo della
sinistra sionista, e non del Likud e della destra ultra- nazionalista: tra
l'elezione di Rabin nel 1992 e la vittoria elettorale  schiacciante di
Sharon sull'ex Primo Ministro Ehud Barak nel febbraio 2001, ci sono stati
quasi sei anni di governo del Partito Laburista con l'appoggio a sinistra
del Meretz. Contrariamente alle percezioni prevalenti è la sinistra
sionista - piuttosto che la destra - che ha la principale responsabilità
del fallimento del "processo di pace" negli anni '90. dato che gli accordi
di Ginevra nascono dalla stessa "scuola" israeliana che ha prodotto gli
accordi di Oslo, Beilin e i suoi associati avrebbero potuto aumentare la
praticabilità politica del loro nuovo processo di Ginevra se avessero
ammesso pubblicamente il loro fallimento degli anni '90. Essi non lo hanno
fatto, ancora una volta rifiutandosi di offrire all'opinione pubblica una
spiegazione alternativa per la nascita dell'intifada rispetto al luogo
comune dei palestinesi che avrebbero "scelto la violenza".

Nel 1993, invece che cercare di convincere gli israeliani che stava per
iniziare una nuova era basata sull'eguaglianza e sulla coesistenza
pacifica, i leader della coalizione Labour-Meretz hanno  bastato la loro
strategia di marketing unicamente sulla sicurezza, sulla separazione dai
palestinesi e la continuità della supremazia coloniale israeliana. Tale
leadership non ha voluto riconoscere alcuna responsabilità israeliana o
sionista per gli oltre 100 anni di conflitto; al contrario, consciamente
questa leadership ha legato il conflitto, politicamente e retoricamente, al
"terrorismo" e allo storico rifiuto permanente palestinesi.



Ascoltando attentamente le personalità israeliane legate al processo di
Ginevra - soprattutto quando parlano ebraico - è subito evidente che non
hanno dimenticato, o imparato da, il loro stesso  fallimento di Oslo.
Infatti si rivolgono all'opinione pubblica israeliana, per sostenere
l'iniziativa di Ginevra, con lo stesso comportamento e le stesse strategie
di marketing.

"REALISMO" E "GENEROSITÀ"
Il testo degli accordi di Ginevra ha scarso significato al di fuori del
contesto politico e giornalistico nel quale è stato "venduto" all'opinione
pubblica israeliana. In pratica, la reale sostanza degli accordi è fissata
nella "esegesi" verbale e scritta che circonda il  testo degli accordi.
Questo contesto di spiegazioni già preannuncia  il fiasco politico a cui
sembra destinato il testo nel prossimo futuro.

Un articolo pubblicato su "The Guardian" da uno dei più importanti
partecipanti israeliani agli accordi di Ginevra, il famoso scrittore Amos
Oz, illustra queste posizioni. L'articolo di Oz, intitolato "We have done
the gruntwork of peace", era basato su un articolo pubblicato
precedentemente in ebraico in Israele.. Oz spiega che i colloqui di Ginevra
erano differenti dai passati rapporti israelo- palestinesi: per esempio,
non vi è più discussione sul "diritto al ritorno dei profughi" ma piuttosto
"una soluzione al problema dei profughi"; non c'è più discussione sul
"ritorno ai confini del 1967" ma "una mappa logica che tenga anche conto
della realtà presente  e non solo della storia".
Lettori innocenti potrebbero concludere che la logica è una caratteristica
mentale della sola sinistra sionista e che gli israeliani, al contrario dei
palestinesi, non hanno mai basato alcuna  loro rivendicazione nazionale
sulla storia. Il messaggio principale di  Oz è il seguente: negli accordi
di Ginevra i palestinesi hanno finalmente scelto di essere "realistici" e
di rinunciare non solo al diritto al ritorno ma anche alla richiesta di un
completo ritiro nei confini del 1967.

Oz, che è uno dei principali "guru" del movimento israeliano "Peace  Now",
fa uno sforzo ulteriore per ribadire che è stata l'ostinazione palestinese
che ha portato al fallimento di Oslo e del vertice di Camp David del luglio
2000; Oz sostiene che i pacifisti israeliani alla fine hanno avuto successo
convincendo gli irrazionali palestinesi che devono accettare i "paletti"
stabiliti dalla sinistra  israeliana. Questi "paletti", secondo un collega
di Oz, rappresentano un grande sacrificio da parte loro perché egli "è
pronto a rinunciare a niente di meno che ad una parte della propria fede
religiosa, poiché sono pronto, con il cuore a pezzi, ad accettare la
sovranità palestinese sul Monte del Tempio". E ancora, Oz ricorre ad un
simile simbolismo propagandistico dichiarando che "noi cediamo la sovranità
di una parte della Terra di  Israele, dove rimangono i nostri cuori". Quali
sono, allora i principali  problemi, per Oz e per la scuola israeliana di
Ginevra che egli ben  rappresenta, per quanto concerne l'opinione pubblica
israeliana?

Mancando della capacità di autocritica, Oz rinforza l'autostima di Israele
e sottrae ai palestinesi la posizione di vittime, rappresentando sé stesso
e Israele come le vere vittime; egli non fa  alcun tentativo per
comprendere gli enormi sacrifici fatti dalla sua controparte palestinese.
La sua prosa rispecchia gli assunti che sottostavano alle "generose"
offerte di Barak ad Arafat a Camp David nel luglio 2002.

Per convincere l'opinione pubblica israeliana, gli israeliani che hanno
sottoscritto gli accordi di Ginevra devono mostrare - o così almeno credono
- che gli israeliani "hanno vinto" e che i palestinesi  "hanno rinunciato".
Il più grande difetto degli accordi di Ginevra è che la basilare nozione
dei diritti umani e politici inalienabili del popolo palestinese è
totalmente ignorata da Oz e dai suoi soci, come fu il caso degli accordi di
Oslo. Seguendo Barak, Oz sostituisce il concetto di diritti con quello di
carità - "se avessimo offerto loro nel 1967 quello che offriamo oggi…".
Quando non è riconosciuto alcun posto ai diritti, e l'equilibrio delle
forze favorisce in maniera così evidente l'occupante illegale, il racconto
corrente israeliano si legge in questo modo: i palestinesi hanno rinunciato
ai  loro obiettivi distruttivi (perché per Oz e la scuola di Ginevra
"'ritorno' è una parola in codice per significare la distruzione di
Israele") perciò noi, campo pacifista israeliano, abbiamo deciso di essere
estremamente generosi.

SISTEMATICAMENTE CONTROPRODUCENTE
A parte la sua valenza morale, gli argomenti di "marketing" del contesto
dei partecipanti israeliani a Ginevra sono controproducenti  politicamente
rispetto all'obiettivo di generare un cambiamento dell'opinione pubblica
israeliana. Se i diritti politici ed umani non esistono e il conflitto
deriva dall'irrazionale determinazione palestinese di cacciare gli ebrei,
come possono gli israeliani credere che i palestinesi possano cambiare? E
se i palestinesi cambiano solamente perché il campo pacifista israeliano è
stato abbastanza duro nel trattare con loro, allora perché non essere
ancora più duri e costringerli ad accettare la dominazione israeliana senza
alcuna concessione di nessun tipo?

Anche gli alchimisti politici del calibro della scuola di Ginevra non
possono costruire fiducia basandola sulla menzogna: per convincere
l'opinione pubblica israeliana alcuni dei partecipanti di Ginevra
sostengono che, questa volta i palestinesi hanno rinunciato  al loro
diritto al ritorno.
Una semplice lettura dell'articolo 7 degli accordi rivela che i palestinesi
che hanno partecipato ai colloqui di Ginevra sono davvero pronti a fare
notevoli compromessi rispetto ai diritti dei profughi palestinesi; in ogni
caso essi non sono andati così lontano  da rinunciare al "diritto al
ritorno", come stabilito dalla risoluzione 194 dell'Onu approvata nel 1948,
dato che una tale mossa cancellerebbe immediatamente e totalmente la loro
legittimità agli occhi dell'opinione pubblica palestinese.

Coloro che sono interessati ad una pace duratura - la più giusta possibile
- tra israeliani e palestinesi devono pertanto porsi una domanda: perché la
scuola di Ginevra cerca di comprarsi l'opinione  pubblica israeliana
sostenendo esattamente il contrario di quello che la controparte
palestinese dice alla propria opinione pubblica, in modo da ottenere il suo
supporto all'iniziativa congiunta?
Il risultato finale del processo di Ginevra consisterà così in un aumento
delle differenze tra le letture di israeliani e palestinesi, preparando in
questo modo ancora una volta il campo per l'accusa israeliana, spesso
rilanciata dai decani della stessa scuola di Ginevra, che i palestinesi
sono bugiardi.

Alcuni dei più cinici partecipanti israeliani al processo di Ginevra sanno
perfettamente che esiste una contraddizione esplosiva tra la  lettura
palestinese degli accordi e il modo in cui vengono venduti all'opinione
pubblica israeliana. Questi israeliani sembrano credere che un'esposizione
falsata della posizione palestinese possa aiutarli a indurre gli israeliani
a riportare il Partito Laburista al potere, dove troverà il modo per
imporre gli "accordi".

Ma i laburisti non riusciranno a tornare al potere perché le loro politiche
sono una pallida replica delle convinzioni dei partiti di destra.
Le dimissioni dell'ultimo candidato laburista a primo ministro, Amram
Mitzna, da presidente del partito, insieme alla rinuncia degli esponenti di
sinistra del partito come Beilin e Yael Dayan a formare un nuovo partito
socialdemocratico - testimonia l'impossibilità di una seria riforma del
partito. In campo socio- economico il Partito Laburista sostiene posizioni
neoliberiste simili a quelle di Binyamin Nethanyahu del Likud.
In merito al conflitto arabo-israeliano parlamentari laburisti come il gen.
Binyamin Ben Eliezer, Efraim Sneh e Dany Yatom sono probabilmente peggiori
di alcuni parlamentari del Likud. La questione per l'elettore medio rimane
la stessa: perché votare per una copia (laburista) quando si può votare per
l'originale (Likud)?

CHE FARE?
Se sono davvero interessati ad una pace per la loro popolazione sostenibile
e praticabile, i politici israeliani avranno in definitiva bisogno di
presentare un piano di pace che abbia il sostegno della base palestinese. A
questo scopo l'opinione pubblica israeliana dovrà sviluppare una più seria
comprensione delle dinamiche sottostanti il conflitto arabo-israeliano.
Piuttosto che insistere su questa o quella clausola del testo degli accordi
di Ginevra, gli israeliani interessati a raggiungere una pace giusta e
duratura devono immediatamente concentrarsi sulle sincere spiegazioni
scritte e verbali necessarie a contestualizzare in maniera produttiva
questi accordi.

In primo luogo, gli israeliani critici devono dire all'opinione pubblica
israeliana che il conflitto non è la conseguenza del terrorismo o del
fanatismo palestinesi, ma piuttosto il risultato dell'espropriazione e
occupazione israeliane; la responsabilità israeliana del conflitto deve
essere smascherata dagli israeliani stessi. I diritti umani e politici
fondamentali dei palestinesi negati dalle politiche israeliane di
occupazione e colonizzazione devono essere riconosciuti in ogni  accordo
che intende raggiungere una pace giusta. Deve essere reso chiaro
all'opinione pubblica israeliana che le sole "generose offerte" tra Israele
e Palestina è la volontà da parte di alcuni palestinesi di rinunciare al
78% delle rivendicazioni sulla loro patria storica.

Il diritto al ritorno è un diritto umano fondamentale. La volontà di alcuni
palestinesi di considerarlo oggetto di negoziato, tenendo in considerazione
le preoccupazioni demografiche di Israele, deve essere percepito come
ulteriore generosa offerta palestinese. Gli israeliani critici devono
chiedere ai loro concittadini israeliani - inclusa la scuola di Ginevra -
come possono chiedere ai palestinesi di rinunciare al loro diritto la
ritorno prima ancora che gli  israeliani riconoscano la sua stessa
esistenza?

Quello che è richiesto inoltre agli israeliani critici - e in definitiva ai
politici israeliani - è di promuovere seriamente una concezione positiva di
pace basata sulla coesistenza e l'eguaglianza. Deve essere decisamente
rigettata - non solo per la sua corruzione morale ma perché non ha
possibilità di funzionare - la concezione della pace di Oz e i suoi soci di
Ginevra, che intendono la "pace" come mezzo per tenere i palestinesi fuori
dalla loro vista - al di là  del muro - e considera i palestinesi un
pericolo esistenziale.

Come nel caso degli accordi di Oslo del 1993, negli accordi di Ginevra il
contesto è molto più importante del testo, tanto più per  quanto concerne
l'opinione pubblica israeliana.

(traduzione da "Middle East report" www.merip.org)

* Shiko Behar è direttore del Alternative Information Center (Aic) -
organizzazione israelo-palestinese con sede a Gerusalemme e Beit Sahour;
Michael Warschawski è co-presidente dell'Aic)