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Re: R: Da Severino Saccardi sul tema Cecenia



At 8:03 +0600 9-06-2003, Severino Saccardi wrote:
>Gentile Marco Trotta,
>non ho certo il compito di fare l'avvocato difensore di Adriano Sofri (gli
>avvocati difensori gli sono serviti molto  poco anche nella sua vicenda
>personale, tanto è vero che continua a scontare, senza sottrarsi, la pena
>per un reato di cui, soggettivamente, continuo a pensare che non sia
>colpevole). A difendersi intellettualmente, per quel che gli compete, Sofri
>(che meriterebbe, comunque, più rispetto, certo, anche per il modo in cui
>non si è sottratto alle sue responsabilità, come invece oggi è di moda fra i
>potenti in Italia) penserà da sé. Mi stupisco solo per il modo poco
>veritiero con cui certe posizioni (che, comunque la si pensi, hanno diritto
>di non essere stravolte) vengono rappresentate. Di recente sono stato ad
>intervistare proprio Adriano Sofri nel carcere di Pisa (e la sua intervista,
>insieme agli interventi di altri amici che la pensano diversamente da lui
>comparirà sul prossimo numero di "Testimonianze", il n. 428); ebbene,
>Adriano mi ha confermato che lui non era affatto a favore dell'intervento in
>Iraq. Diceva semplicemente un'altra cosa: che non bisogna scordare che alla
>base del consenso che hanno oggi i neoconservatori americani c'è il trauma
>dell' 11 Settembre (che la sinistra europea sbaglia, in alcune sue
>componenti, a relativizzare ) e che bisogna essere contro Bush, ma anche
>contro le troppe dittature che ci sono in giro nel mondo. A quel che ne so,
>è totalmente d'accordo che la democrazia non possa essere esportata con la
>guerra, ma sottolinea anche che il tema della democrazia è oggi centrale
>anche per porre su un giusto piano  la questione dello sviluppo. A meno di
>non voler cadere in una sorta di curioso eurocentrismo per cui la democrazia
>è merce buona solo per i Paesi sviluppati, mentre per gli altri vanno bene
>anche i loro simpatici e truculenti regimi autoritari.
>Rinvio, comunque, alla lettura  integrale dell'intervista a Sofri sul numero
>di "Testimonianze": può essere utile.
>Un dettaglio: se ben capisco, Adriano non era favorevole nemmeno a QUEL tipo
>di intervento che si era realizzato in Kosovo. Diceva, da tempo, un'altra
>cosa: che era una vergogna che l'Europa avesse permesso l'orrore di
>Srebrenica e che qualcosa per fermare il mattatoio in ex-Jugoslavia si
>dovesse fare. Aveva torto?
>E in ogni caso, amici:  discussione su Adriano Sofri a parte, per casi come
>la Cecenia che si fa? A furia di distinguo, continuiamo a non occuparcene ed
>a fornire così scioccamente ulteriori argomenti a chi vuol criticare
>movimenti e cultura di pace?
>E, soprattutto, continuiamo a consegnare popoli come quello ceceno alla
>deriva fondamentalista per non aver avuto il coraggio, la forza e la
>fantasia di stargli accanto democraticamente nella rivendicazione dei
>diritti (universali, se non sbaglio) di libertà, autonomia, tutela della
>propria identità?
>Diceva una vecchia e cara canzone che "risposta non c'è". O, forse,
>chissà...
>Molti saluti.
>Severino Saccardi

Egr. Sig. Saccardi,
1) converrà con me che la vicenda giudiziaria di Sofri esula
sostanzialmente dal merito della questione. D'altra parte, mi concederà, mi
sono ben guardato dall'affrontarla all'interno di questo contesto. Ma
giusto per essere chiari: trovo che troppo spesso si utilizzi la condizione
carceraria di Adriano Sofri e al sua vicenda personale come una patente di
legittimità alquanto abusata per riconoscere a Sofri il diritto di dire ciò
che vuole, quando vuole e dove vuole. Mi sembra che nei fatti sia l'unica
persona a cui viene concesso uguale diritto a pubblicare i suoi lunghi (e
contorti) editoriali su Il Foglio come su Repubblica. Su Panorama come su
L'Espresso e con notevole arbitrio e supponenza nel rappresentare le
posizioni altrui, ora il movimento pacifista ora quello "no global", con
notevole e ingiustificata distorsione. Chi gli conceda questa patente non
lo so, o si potrebbe provare a immaginarlo, e non credo neanche che questo
sia un tentativo di riconoscere una "figura rappresentativa in Italia a cui
è stato fatto un torto" (parole di Antonio Socci in ana recente
trasmissione) visto è altrettanto singolare che il primo che non ha mai
voluto farne un caso politico sia stato lo stesso Sofri. Né, mi sembra, ci
sia mai stata nessuna presa di posizione condivisibile, da un punto di
vista nonviolento e di riconciliazione, sul tema dell'indulto per gli
stessi reati di cui sono accusati anche altri.
2) L'etica del "bisogna far pur qualcosa" è una costante del Sofri pensiero
che per il Kossovo ha ammonito di "non chiamarla guerra" e ha definito una
sua personalissima teoria sinteitzzata da "mai più Aushwitz e mai più
guerra" (in perfetta sintonia con l'ipocrisia politica di concetti come
"intervento umanitario" o "effetti collaterali"). Una costante che, nella
società reale (e non quella ad uso e consumo di linee editoriali come
quelle del gruppo L'Espresso), ha già concepito il problema guerra come
centrale nel superamento di tutto il sistema economico e sociale che oggi è
in crisi e ben prima dell'11 Settembre. Una crisi profonda, che non cerca
né ottiene risposte ideologiche, e che, proprio nella globalizzazione, sta
mettendo in discussione gli stessi valori della millantata superiorità
occidentale. Altrimenti non si spiegherebbe come onesti intellettuali
liberali temano così tanto l'involuzione sul fronte dei diritti civili e
delle libertà individuali, del principio di presunzione d'innocenza e di
molto altro che rischia di essere spazzato via dalle responsabilità dei
governi Bush, Aznar, Berlusconi, ecc (le sembra relativizzare?). Una
responsabilità che, però, Adriano Sofri non vede e per questo, non senza
nasconderci qualche millantato mal di pancia, preferisce riscattare nella
domanda irricevibile e impudente "o con Bush o con Saddam Hussein?" (a me
sembra, invece, che Sofri abbia sostenuto - e come! - il merito e il metodo
dell'intervento in Iraq e ne sa qualcosa Gino Strada attaccato in maniera
inaudita). Del resto, sig. Saccardi, è l'unico piano del discorso che
potrebbe salvare la pretesa onestà intellettuale dei discorsi di Adriano
Sofri dal doversi confrontare con l'unica verità delle guerre degli ultimi
10 anni che "pur con qualche sé", come molti altri, ha nei fatti sostenuto:
la rottura della legalità internazionale, l'uso di armi e di strategie di
guerra di "distruzione di massa" (queste sì, vere, non quelle che non
trovano in Iraq ora: bombardamenti sulle industrie chimiche nei Balcani, su
ponti, acquedotti, infrastrutture di comunicazione e televisioni, uranio
impovertio, cluster bombs, ecc.).
3) Quanto alla Cecenia, le ho scritto, sarebbe bene inquadrare il contesto
del conflitto nella serie di interessi economici che ruotano intorno a
quell'area e alle riserve petrolifere (si legga queste analisi -
http://www.stimmatini.it/missioni/ilmissio/00/cec05-00.htm -
http://www.carta.org/rivista/settimanale/2003/19/sommario.htm). Mi sembra
che Sofri se ne sia ben guardato. Ancora una volta per salvare quali
interessi? Quali integralismi religiosi fomentati ad arte da un occidente
che ha finanziato e armato diversi gruppi di "liberazione" in funzione
geopolitica (lo ha saputo, vero, che Bin Laden aveva passaporto bosniaco)?
Quali patti scellerati tra Nato e Russia, a pratica di mare l'anno scorso,
per permettere agli uni e agli altri di poter avere mano libera per
stabilire l'ordine più conveniente alle reciproche ragioni di stato?
E infine: quale il prezzo per tutto questo che dovrà pagare l'intero pianeta?

Io credo che esista un movimento ampio e socialmente diffuso che ormai ha
maturato questa convinzione: è definitivamente tramontata l'idea che, negli
attuali (dis)equilibri di potere politico, economico e militare sia ancora
giustificabile qualunque guerra o intervento che pensi di esportare
democrazia attraverso anfibi militari e democrazia di libero (e rapace)
mercato.
Sono scene (e scelte) che abbiamo già visto, che sono alla base delle
attuali contraddizioni e problematiche di sicurezza mondiale e che non
assicureranno alla popolazione cecena un futuro migliore.
Io le ho rilanciato il messaggio: costruiamo un'Europa su basi totalmente
diverse da quelle conosciute fino ad ora. Mai come oggi ci sono le
condizioni ed il consenso sociale per farlo, per impedire che gli affari
nel Caucaso siano ancora la merce di scambio per i diritti umani, per dar
forza ad una cooperazione decentrata attraverso le rispettive società
civili. E' quello che non vedono, né possono vedere, quegli editorialisti
che continuano a sostenere guerre che altri andranno a combattere, di cui
altri pagheranno il prezzo. Con buona "pace" di Adriano Sofri.

MT.