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articolo di U .Allegretti che uscirà su "Rocca"n°8



Articolo di Umberto Allegretti*   che uscirà sul numero 8 della rivista
"Rocca" .
* Ordinario di diritto pubblico generale all'università di Firenze

Scrivere dell'Onu, del suo valore, delle sue severe deficienze, delle sue
possibili riforme, nel giorno preciso in cui é stata scatenate la terribile
nuova guerra contro l'Iraq, mette in una condizione di grande angoscia e di
grande ambiguità.
Da un lato, non si può non avere l'acuta  percezione di un ennesimo
fallimento delle Nazioni Unite e di tutta la comunità mondiale per non
essere riusciti a fermare un evento annunciato e tanto catastrofico.
Dall'altro, non si potrà però misconoscere che con questo fallimento
convivono alcuni elementi che autorizzano un giudizio non sconsolato e,
forse, parzialmente favorevole su ciò che é accaduto. Infatti la violazione
flagrante e incontestabile da parte degli Stati Uniti e dei pochi loro
autentici alleati di ogni principio e di ogni norma che da più di mezzo
secolo stanno a fondamento della convivenza internazionale (e, per quanto ci
riguarda, per virtù dell'articlo 11 della Costituzione, a fondamento della
vita del nostro Paese) consente un giudizio chiaro e definitivo sull'operato
di questi paesi: la Legge, si sa, ha fra i suoi compiti quello di dichiarare
il peccato. Inoltre, su questa vicenda si é aperta da mesi una dialettica
fortissima tra i diversi membri delle N.U., inclusi per un verso alcuni dei
protagonisti di quella che pareva una inossidabile lealtà dell'Europa verso
il grande alleato, e inclusi, anche, una serie di stati del Sud del mondo
che dalla loro condizione di povertà sembravano destinati a cedere a ogni
ricatto. Una dialettica in cui chi era dalla parte giusta ha perso, ma ha
combattuto con forza e chiarezza  e ha costretto per mesi la superpotenza a
rinviare l'attuazione dei suoi propositi e a vedersi alla fine costretta ad
agire nella più piena illegalità per non essere riuscita a condizionare,
come era sempre avvenuto in passato, le decisioni dell'Onu. Il che, se avrà
un seguito, potrà esplicare in futuro effetti importanti nella direzione di
un maggiore equilibrio di potere nei rapporti mondiali.
Dunque questi eventi possono persino gettare una luce positiva sul valore,
anche se non sulla immediata efficacia, dell'azione delle N.U. La verità é
che l'Onu é fin dalle origini il luogo di un'esperienza ambigua.
Per un verso, essa é fondata su principi assolutamente giusti: il divieto
degli Stati di usare la forza unilateralmente, da singoli o in gruppo, per
regolare i loro rapporti (tranne l'eccezione della legittima difesa in senso
stretto, che non comprende affatto la cosidetta "difesa preventiva" ora
teorizzata dai documenti americani); l'obbligo di affrontare tutte le loro
controversie con strumenti pacifici; la mediazione dell'Organizzazione per
risolvere quelle controversie, con la possibilità solo per essa, e come
mezzo estremo, di usare la forza, ma in misura controllata e non nella forma
della guerra. Il principio, inoltre (non lo si dimentichi) per cui la pace
si fonda sulla giustizia, e perciò su relazioni di cooperazione economica,
sociale, giuridica e culturale fra tutti gli Stati.
Per altro verso, a questi principi che costituiscono uno dei frutti più alti
del progresso moderno non corrispondono strumenti organizzativi adeguati,
sia perché l'Onu, pur rappresentando tutti i paesi, non costituita da organi
di natura democratica, sia perché cinque paesi vi godono dell'esorbitante
prerogativa del veto e, ancora, perché in campo economico, sociale e
giuridico, essa dispone di poteri aventi solo efficacia morale e politica e
deve rimettersi o alla volontà degli Stati o all'azione, del tutto
antidemocratica, delle istituzioni economiche internazionali (Fmi, Banca
mondiale, Wto).
Da queste gravi deficienze d'origine, oltre che dalle vicende politiche
della guerra fredda, dipendono i numerosi fallimenti dell'Organizzazione nei
suoi quasi sessanta anni di vita, sia nel campo della pace che in campo
economico. E tuttavia, non si può negare che stanno al suo attivo alcuni
importanti risultati, come l'aver agevolato la decolonizzazione, l'aver dato
impulso alla codificazione internazionale dei diritti umani sancita da
numerosi trattati, l'aver quanto meno temperato alcuni conflitti esplosivi -
ta i più recenti, quelli coinvolgenti la Macedonia, o Timor Est - e perfino,
per un certo tempo (anni 70) l'aver costituito un foro per la discussione,
se non per la soluzione, dei gravi problemi economici dei paesi del Sud.
E' per questo che l'Onu non può essere abbandonata (che cosa rimarrebbe dopo
di essa se non la pretesa imperiale della superpotenza?), che deve
continuare ad essere cercata come teatro per il confronto pacifico tra gli
Stati, ed é per questo che bisogna con tenacia lavorare per la sua riforma.
Mentre appaiono per ora fuori di ogni possibilità riforme come l'abolizione
del potere di veto e la ristrutturazione profonda degli organi in chiave
democratica, almeno due strade potrebbero essere percorse, che non hanno
bisogno di revisioni statutarie ma solo di una conveniente opera di
attuazione in via di semplici decisioni degli organi delle stesse N.U. Una
e' la messa a punto di un serio sistema di potenziamento dell'impiego dei
mezzi pacifici a disposizione dell'Organizzazione per la soluzione delle
controversie internazionali. Si tratta di ripigliare il cammino intrapreso
al tempo di Boutros Ghali (intorno al 1992) con la formulazione del
documento noto come Agenda per la Pace, la cui approvazione fu' interrotta a
meta'. La seconda e' l'istituzione di rapporti tra l'Onu e le tre grandi
istituzioni economiche mondiali, che sottopongano queste ultime
all'osservanza di direttive dell'Assemblea delle Nazioni Unite per la guida
dell'economia mondiale, ora in piena fase di globalizzazione. Anche qui
esistono strumenti che attendono solo di essere potenziati, cioé i cosidetti
accordi di collegamento tra Onu e agenzie specializzate.
Naturalmente questo richiede una tenace campagna politica, che avrà da fare
i conti, ancora una volta, con gli Stati Uniti, i quali sono i massimi
beneficiari della globalizzazione sia economica che politico-militare, e che
hanno sempre contrastato i propositi in quelle direzioni. Ma é in questo
che - oltre all'azione dei Paesi del Sud, che sono i massimi interessati ad
un governo della globalizzazione perché ne sono le massime vittime - si
dovrebbe impegnare l'Europa. Traendo così il piu' duraturo insegnamento
dallo scontro che una parte di essa é stata capace di sostenere sulla
questione Iraq con il grande alleato.


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