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ieri 16.000 visitatori sul sito di PeaceLink - oggi articolo sul Corriere della Sera



Proprio così: ieri 19 marzo vi sono stati 16.000 visitatori sul sito di PeaceLink.

Oggi è uscito sul Corriere della Sera questo articolo che risporta serie di interviste.


"BANDIERE, VEGLIE E CORTEI: MA NON ABBIAMO FERMATO LA GUERRA"

MILANO - «Fermiamo la guerra» era lo slogan ufficiale della grande manifestazione di Roma. Obiettivo fallito. Non sono bastate le marce nelle strade, i due milioni e mezzo di bandiere arcobaleno esposte sui balconi. Non è bastato urlare «no war»: il pacifismo non ha fermato la guerra. Ma non è una sconfitta, dicono molti. Nel movimento, però, si fa strada il dubbio che le marce e le bandiere non bastino più e rischino di restare solo un simbolo, una testimonianza, un modo per salvarsi la coscienza. «Nessuno dica che abbiamo perso - spiega Raffaella Bolini dell'Arci -. E'vero, la guerra non l'abbiamo fermata, ma che tre mesi di mobilitazione mondiale siano stati utili è un fatto. Grazie alla pressione dell'opinione pubblica, gli Stati Uniti sono rimasti isolati: l'Onu si è chiamata fuori, molti Paesi si sono schierati contro e anche l'Italia ha dovuto barcamenarsi: si è impegnata, ma in maniera marginale». «Certo - aggiunge don Tonio Dell'Olio di Pax Christi - c'è il senso della sconfitta, l'amarezza per quello che sta accadendo. Ma io sono ottimista: abbiamo ottenuto un grande risultato, la mobilitazione delle coscienze. Pensiamo alle bandiere della pace: quando abbiamo iniziato credevamo a un fenomeno minoritario, invece è diventato di massa». Le manifestazioni pacifiste, spiega Flavio Lotti , della Tavola per la pace, «non avevano come nemico Bush o Saddam, ma l'indifferenza. E l'abbiamo sconfitta». «Cadute le prime bombe - ha scritto Pierluigi Sullo su Carta - non assisteremo al ripiegarsi del pacifismo, ma, al contrario, a una diffusione di atti concreti di opposizione. Bush ha già perso la guerra». Bandiere della pace e manifestazioni non sono state inutili, conferma Alessandro Marescotti , presidente di Peacelink: «Le bandiere sono una grande novità, un simbolo trasversale che ha coinvolto persone di solito non sensibili a questi temi. E la trasversalità è stata anche politica».
Eppure a molti non basta. Tra le voci critiche c'è Pasquale Pugliese di Lilliput, che ha scritto: «I pacifisti non disturbano il manovratore imperiale per colpa di una debolezza storica: l'essere prevalentemente movimenti straordinari e di testimonianza. Che si attivano, cioè, in occasione dello scoppio delle guerre e, magari, non di tutte». Non è d'accordo Lotti: «Si poteva fare di più e c'è stato un ritardo della comprensione di questa crisi. Ma la responsabilità è soprattutto politica. Pensiamo al Kosovo: quando Rugova venne in Italia a richiamare l'attenzione sulla resistenza non violenta nessun politico lo ricevette, noi fummo gli unici a sostenerlo».
Eppure anche il pacifismo sta cambiando volto e natura. «Però fermare i treni e le azioni dimostrative non bastano - spiega don Dell'Olio - Occorre, per esempio, sostenere il boicottaggio e le campagne contro le "banche armate", che finanziano il traffico d'armi».
«Qualche volta - ha scritto Norberto Bobbio - è accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato una macchina». Questa volta no. Di granello ce n'era più d'uno, ma ancora troppo pochi e nel posto sbagliato, spiega Rodolfo Tucci , promotore italiano degli Human Shields (gli scudi umani): «Se invece di 50 a Bagdad fossimo stati 5 mila o 50 mila, forse qualcosa sarebbe cambiato. Invece i movimenti pacifisti ci hanno boicottato, forse perché non abbiamo interessi politici. Salvo venire a fare un salto davanti alle telecamere al momento giusto. Per il resto hanno preferito usare i loro soldi, tanti, per sfilare con i fischietti e le trombette nelle marcette per la pace. Hanno urlato "pace pace", si sono ripuliti la coscienza e sono tornati in poltrona davanti alla tv».
Corriere della Sera 20/3/03