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(Fwd) [Forumtrieste] Fwd: Re: [fori-sociali] Lettera di dimissinoni a Colin Powell di John Brady Kiesling, ambasciatore USA a T




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John Brady Kiesling

Diplomatico degli Stati Uniti

Lettera di dimissioni al Segretario di Stato Colin L. Powell



Atene, Giovedì 27 febbraio 2003-03-04



Signor Segretario,



Le scrivo per presentarLe le mie dimissioni dal Ministero degli 
Esteri
degli Stati Uniti e dalla mia posizione di Consigliere politico
all'Ambasciata degli Stati Uniti di Atene, a far data dal 7 marzo. Lo
faccio con un peso sul cuore. Il bagaglio della mia formazione
comprendeva il dovere sentito di restituire qualcosa al mio paese.
Servire come diplomatico degli Stati Uniti è stato un lavoro
meraviglioso. Ero pagato per capire lingue e culture straniere, per
trovare diplomatici, politici, studiosi e giornalisti e persuaderli
che gli interessi degli Stati Uniti e i loro fondamentalmente
coincidevano. La mia fede nel mio paese e nei suoi valori era l'arma
più potente nel mio arsenale diplomatico.

 Era inevitabile che durante i vent'anni che ho trascorso al
 Dipartimento di Stato io sia diventato più sofisticato e più cinico
 nei confronti dei 
motivi burocratici ristretti ed egoisti che plasmano la nostra
politica. La natura umana è quello che è, e capire la natura umana 
era
il motivo per cui sono stato ricompensato e promosso. Ma fino al 
tempo
di questa Amministrazione è stato possibile credere che tenere alta 
la
politica del mio presidente significava anche tenere alti gli
interessi del popolo americano e del mondo. Non lo credo più.

La politica che ci si chiede ora di portare avanti è incompatibile 
non
solo con i valori americani ma anche con gli interessi americani. La
nostra fervida ricerca della guerra con l'Iraq ci conduce  a
sperperare il patrimonio di legittimazione che è stata la più potente
arma americana sia di offesa che di difesa dai giorni di Woodrow
Wilson. Abbiamo cominciato a smantellare la più vasta ed efficiente
rete di relazioni internazionali che il mondo abbia mai conosciuto. 
Il
nostro corso presente porterà instabilità e pericolo, non sicurezza.

Il sacrificio degli interessi globali a favore della politica interna
a degli interessi burocratici auto-referenziali non è niente di nuovo
e non è certo un problema unicamente americano. E tuttavia non 
avevamo
visto una tale sistematica distorsione dell'intelligenza e una tale
sistematica manipolazione dell'opinione americana dai tempi del
Vietnam. La tragedia dell'11 settembre ci ha lasciati più forti di
prima, in grado di riunire intorno a noi una vasta coalizione
internazionale per cooperare per la prima volta in modo sistematico
contro la minaccia del terrorismo. Ma invece di mettere all'attivo
questo successo e costruire su di esso, questa Amministrazione ha
scelto di fare del terrorismo uno strumento politico interno,
arruolando un'Al Quaeda dispersa e largamente sconfitta come proprio
alleato burocratico. Seminiamo terrore sproporzionato e confusione
nella mente della gente, allacciando arbitrariamente i problemi
sconnessi del terrorismo con l'Iraq. Il risultato, e forse la 
ragione,
è giustificare la allocazione di una ricchezza pubblica sempre più
ristretta nelle mani dei militari e indebolire le salvaguardie che
proteggono i cittadini americani dalla mano pesante del governo. L'11
settembre non ha fatto tanto danno al tessuto della società americana
quanto sembriamo determinati a fare noi stessi. Davvero la Russia dei
Romanov è il nostro modello, un egoistico impero che si agita in
direzione della propria auto-distruzione nel nome di uno status quo
condannato?

Dovremmo chiederci perché non siamo riusciti a persuadere gran parte
delmondo che la guerra con l'Iraq è necessaria. Negli ultimi due anni
abbiamoesagerato nel ripetere ai nostri partners mondiali che gli
interessi ristretti e mercenari degli Stati Uniti devono passare 
sopra
ai valori che sono cari ai nostri partners. Anche quando i nostri 
fini
non erano in questione, la nostra coerenza faceva problema. Il 
modello
dell'Afghanistan è di poco conforto per i nostri alleati che si
chiedono su che base pensiamo di ricostruire il Medio Oriente, ad
immagine e nell'interesse di chi. Siamo davvero diventati ciechi, 
come
la Russia è cieca sulla Cecenia, come Israele è cieco sui Territori
occupati, per nostro stesso suggerimento, ciechi sul fatto che la
soverchiante potenza militare non è la risposta al terrorismo? Dopo
che il macello dell'Iraq si sarà unito al macello di Grozny e di
Ramallah, sarà coraggioso lo straniero che si metterà insieme alla
Micronesia per seguirci dove andiamo a parare. 

Abbiamo ancora una coalizione, ed è solida. La lealtà di molti dei
nostri amici è impressionante, un tributo al capitale morale 
americano
accumulato in più di un secolo. Ma la persuasione dei nostri più
stretti alleati riguarda meno il fatto che la guerra sia 
giustificata,
e più il fatto che sarebbe pericoloso lasciare che gli Stati Uniti
scivolino in un completo solipsismo. La lealtà dovrebbe essere
reciproca. Perché il nostro Presidente tollera l'approccio spavaldo e
sprezzante nei confronti dei nostri amici ed alleati che questa
Amministrazione promuove, inclusi i funzionari più anziani? Davvero
"oderint dum metuant" - ci odino, purché ci temano - è diventato il
nostro motto?

La scongiuro di ascoltare gli  amici dell'America in giro per il
mondo. Anche qui in Grecia, riferito focolaio di anti-americanismo,
abbiamo amici in numero e intensità maggiore di quanto i lettori dei
giornali possano mai immaginare. Anche quando si lamentano
dell'arroganza americana, i Greci sanno che il mondo è un posto
difficile e pericoloso e vogliono un forte sistema internazionale, 
con
gli Stati Uniti e l'Unione europea in stretta collaborazione. Quando 
i
nostri amici temono noi e non per noi, è tempo di preoccuparsi. Ed 
ora
sono spaventati. Chi dirà loro in modo convincente che gli Stati 
Uniti
sono, come erano, un faro di libertà, di sicurezza e di giustizia per
tutto il pianeta?

Signor Segretario, ho un enorme rispetto per il Suo carattere e per 
la
Sua abilità. Lei ha preservato più credibilità internazionale nei
nostri riguardi di quanto la nostra politica meriti, e ha recuperato
qualcosa di positivo dagli eccessi di un'Amministrazione ideologica e
orientata su se stessa. Ma la Sua lealtà verso il Presidente va 
troppo
in là. Stiamo forzando al di là dei suoi limiti un sistema
internazionale che abbiamo costruito con tanta abilità e cura, una
rete di leggi, trattati, organizzazioni e di valori condivisi che
hanno posto limiti ai nostri nemici molto più efficacemente di quanto
sia stata sollecitata l'abilità dell'America nel difendere i propri
interessi.

Mi dimetto perché ho cercato, e ho mancato, di riconciliare la mia
coscienza con la mia abilità nel rappresentare l'attuale
Amministrazione degli Stati Uniti. Ho fiducia che il nostro processo
democratico sia in grado in ultima analisi di auto-correggersi, e
spero che in misura limitata io possa contribuire dall'esterno a
plasmare una politica che serva meglio la sicurezza e la prosperità
del popolo americano e del mondo che condividiamo.



John Brady Kiesling



(traduzione di Franco Giampiccoli)


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