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8 marzo per leyla zana e il popolo curdo
8 marzo per Leyla Zana
Care amiche, cari amici,
approfitto della ricorrenza dell'8
marzo per informarvi dell'evoluzione importante che sta avendo la questione
di Leyla Zana e degli altri parlamentari curdi in carcere da otto anni in
Turchia.
Il nuovo governo islamista ha promosso nei mesi scorsi una serie di
modificazioni costituzionali e legislative che hanno lo scopo di adeguare
la Turchia alle condizioni per l'entrata nell'Unione Europea. Tra queste
modificazioni c'è la possibilità di rifare quei processi che abbiano avuto
militari nel collegio giudicante, qualora un organo giurisdizionale abbia
sentenziato essere stati svolti in condizioni di violazione dei diritti
degli imputati. Ricapitolando rapidamente il processo a Leyla Zana e agli
altri parlamentari curdi ricordiamo come esso inizialmente si fondò
sull'accusa di separatismo (delle provincie a popolazione curda dalla
Turchia) e come, dato il carattere inconsistente di quest'accusa, essa fu
repentinamente trasformata in terrorismo. Ma l'accusa di terrorismo si basò
sulla dichiarazione durante le indagini, però non ripetuta in tribunale,
di un capo tribù curdo legato a un partito della destra turca e
direttamente compromesso, assieme al leader di questo partito, in attività
di mafia, tra le quali il traffico di eroina. Quindi il 28 marzo prossimo
inizierà un nuovo processo a Leyla Zana e agli altri parlamentari curdi in
carcere, che avrà giudici civili e che sarà pubblico, avendo appunto la
Corte di Strasburgo del Consiglio d'Europa sentenziato non solo essere
stati violati nel precedente processo i diritti degli imputati ma essere
stato basato questo processo su accuse non dimostrate.
Vorrei anche ricordare,a proposito del profilo di Leyla Zana, come le sia
stato offerto a più riprese negli anni scorsi di uscire dal carcere per
motivi di salute (è affetta da una grave forma di osteoporosi) e come essa
abbia sempre rifiutato, in solidarietà con gli altri parlamentari, che
sarebbero rimasti in carcere.
La situazione politica attuale della Turchia, infine, presenta dei tratti
importanti di novità, anche se non sono sempre facilmente interpretabili.
Il nuovo governo islamista manifesta una propensione superiore rispetto ai
precedenti governi laici, di matrice kemalista e perciò autoritaria e
sciovinista, all'ottemperanza delle richieste di democratizzazione che
vengono dall'Unione Europea. Alle modificazioni giuridiche in questo senso,
che non sono di poco conto, tra le quali la legalizzazione dell'uso del
curdo, non corrisponde tuttavia granché. Gli abusi e le violenze contro i
curdi continuano. Le provincie del sudest curdo, in vista della guerra
degli Stati Uniti all'Iraq, sono tornate sotto lo stato d'emergenza, cioè
sotto giurisdizione militare. Öcalan è da quasi tre mesi in isolamento
totale, non riescono cioè a vederlo neppure gli avvocati. L'impressione è
di un'oscillazione sotto traccia nel rapporto tra governo e potere militare
che va dal braccio di ferro alla ricerca di punti di compromesso, quindi di
un'instabilità di fondo della situazione turca e della possibilità che essa
abbia più sviluppi.
L'atteggiamento del governo dinanzi alla guerra degli Stati Uniti all'Iraq,
cioè la vicenda che più abbiamo avuto modo di seguire in questi giorni sui
mass-media, segnala esso pure un notevole cambiamento di posizione della
Turchia e al tempo stesso un'instabilità di fondo nella gestione di questa
posizione. Gli islamisti hanno per propensione culturale e per ragioni
politiche una contrarietà di fondo rispetto a questa guerra e vedono i
militari come il fumo negli occhi - centinaia di loro militanti sono stati
condannati negli anni scorsi da tribunali militari, molti sono tuttora in
carcere - inoltre hanno la necessità di tenere conto dell'ostilità alla
guerra da parte della quasi totalità della popolazione e dei mass-media. La
guerra all'Iraq inoltre rilancerebbe alla grande la presa dei militari
sulla popolazione e il loro potere sullo stato, infine rischierebbe di
aprire un conflitto di grandi proporzioni tra Turchia e curdi del nord
dell'Iraq, tra le cui conseguenze potrebbe esserci la ripresa della guerra
nel sudest della Turchia. Non solo. Il leader islamista Erdogan, che non è
parlamentare né capo del governo, in ragione di una condanna a suo tempo di
un tribunale militare che ne ha cancellò i diritti politici, e che è ora
candidato al Parlamento in un collegio del sudest in un'elezione parziale
che gli è stata appositamente ritagliata, dopo che il Parlamento ha
cancellato i reati (d'opinione) per i quali era stato condannato, ha il
problema che la partecipazione della Turchia alla guerra potrebbe fargli
perdere il seggio. Tuttavia gli islamisti sono pure dentro alla tenaglia
tra potere militare (storica succursale degli Stati Uniti, sciovinista e
che aspira a portare i confini della Turchia oltre Kirkuk, annettendo cioè
il nord petrolifero dell'Iraq), rapporti tradizionali di sudditanza della
Turchia agli Stati Uniti e dipendenza della Turchia dal finanziamento
internazionale (che fondamentalmente è in mano agli Stati Uniti). Insomma
da tutto ciò il quadro di un governo che si dichiara favorevole alla
guerra, ne tratta però a lungo e accanitamente le condizioni con gli Stati
Uniti, economiche e politiche, sino quasi alla rottura, alla fine ce la fa,
però poi è battuto in ParlamentoŠ Quanto c'è in questa sconfitta
parlamentare di non voluto dalla leadership islamista e quanto di più o
meno voluto, dunque, è difficile capirlo. Quanto quelle trattative
puntassero a farcela o al fallimento, è pure difficile capirlo.
L'Unione Europea, in ultimo, ha manifestato in tutte queste vicende, a
partire dagli stessi punti fondamentali di ostilità alla guerra, quali i
governi di Francia e Germania e la presidenza della Commissione Europea,
una straordinaria incapacità di capire la nuova situazione della Turchia e
di offrirle una sponda, rafforzando così obiettivamente il condizionamento
dei militari e degli Stati Uniti.
Anche per questo, in conclusione, la decisione sulla guerra verrà
probabilmente presa, scavalcando di fatto il Parlamento, dal Consiglio per
la Sicurezza Nazionale, organismo nel quale hanno ruolo preponderante i
militari.
Amichevolmente, Silvana Barbieri.
Milano, 5 marzo 2003
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