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CAMPAGNA DI INTERPOSIZIONE CIVILE IN PALESTINA
UNO. CAMPAGNA DI INTERPOSIZIONE CIVILE IN PALESTINA
DUE. Il diritto allo studio in Palestina
TRE. DONNE di JENIN - Progetto
QUATTRO. WebAggiornamenti
CINQUE. Progetti di solidarieta' per la Palestina
SEI. Gerusalemme sotto la neve
SETTE. PALESTINA: UN NUOVO APARTHEID (Intervista a Jeff Halper )
OTTO. Viaggio di solidarieta' in Israele (!!!)
Chi fosse interessato a ricevere la seguente foto puo' richiederla a palestina_libera@libero.it:
* Foto (Loay Aby Haykel/Reuters) di un palestinese ferito ad un occhio (Hebron, 11 maggio):
e' pratica dei militari israeliani utilizzare proiettili di gomma per non uccidere ma rendere invalidi i palestinesi. In questo caso i militari hanno reso cieco il palestinese.
UNO. CAMPAGNA DI INTERPOSIZIONE CIVILE IN PALESTINA
"LE TENDE DI RAFAH", Striscia di Gaza
13 - 27 aprile 2003
Il Servizio Civile Internazionale sostiene da quasi un anno le campagne di
interposizione civile dell' International Solidarity Movement e continua ad
organizzare campi di lavoro nei territori occupati facilitando la formazione
e l'invio di gruppi di attivisti e volontari.
Dopo l'esperienza di alcuni attivisti italiani, lo SCI ha scelto di
focalizzare la prossima missione su Rafah, nella striscia di Gaza.
Rafah si trova al confine con l'Egitto, proprio dove l'esercito israeliano
sta costruendo un muro di separazione distruggendo tutto
nel raggio di 100-150 metri comprese case e campi coltivati che si trovano
lungo questa "striscia di sicurezza".
Inoltre la zona e' circondata da chek points che impediscono il movimento ai
civili palestinesi aumentando ogni giorno la poverta' e l'oppressione.
L'idea di piantare delle Tende di pace e' nata dalla volonta' dei palestinesi
e degli attivisti italiani che hanno partecipato alla missione di dicembre
di dare visibilita' e tangibilita' alla loro presenza in quell'area, adottando
uno strumento concreto di interposizione per proteggere la popolazione, le
abitazioni, la terra e le infrastrutture.
Gli attivisti affiancheranno i pale
ola, i dottori e le ambulanze affinche' svolgano
il loro lavoro, collaboreranno ai lavori di ricostruzione e riparazione,
organizzeranno sit-in e manifestazioni di protesta.
La presenza internazionale, se coordinata e numerosa, puo' ridurre
l'aggressivita' e puo' evitare le demolizioni delle infrastrutture. Inoltre e'
importantissima per rompere l'isolamento al quale i Palestinesi sono
costretti e per costruire un'informazione alternativa.
Le partenze per la campagna sono le seguenti:
- 13 aprile per il training I.S.M. in Palestina del 15-16 aprile;
- 20 aprile per il training I.S.M. in Palestina del 22-23 aprile.
Per i volontari in partenza, il Servizio Civile Internazionale organizza un
incontro di formazione il 29 e 30 marzo a Roma (scadenza iscrizioni il 23
marzo).
Si consiglia una permanenza minima in Palestina di 10 giorni.
Per maggiori informazioni contattare Caterina o Raffaella presso:
Servizio Civile Internazionale
Tel.: 06.5580661/44
Fax.: 06.5585268
E-mail: info@sci-italia.it
www.sci-italia.it
Per chi volesse partire in altri periodi, anche gia' a marzo o dopo il
periodo di Pasqua, o per chi non potesse raggiungere Roma, abbiamo
organizzato 3 ulteriori incontri di formazione pre-Palestina :
- dalla sera del 7 al 9 marzo 2003 a Zonca (Domodossola), adesioni entro la
sera del 5 marzo. Nicola:340.6774683 - wakancrist@libero.it. Stefano:
349.7115462(Venezia) - mustafa2912@yahoo.it - stefano.orlando29@libero.it
- dalla sera del 14 al 16 marzo 2003 presso villaggio di Avalon (Pistoia),
adesioni entro 10 marzo a Mario: 339.1260175.
- dal 15 al 16 marzo 2003 a Bari, per adesioni contattare Andrea:
333.7033589 o 080.629789 - andreaerdna@libero.it
DUE. Il diritto allo studio in Palestina
[il 28 marzo 2003 si terra' una giornata di studio all'Universita' "La Sapienza" su
"Stato della ricerca e del diritto allo studio nelle universita'
palestinesi"]
Un appello per il "diritto allo studio" in Palestina
Ci siamo recati in Palestina nella prima settimana di ottobre
it, Al-Quds, Betlemme, Al-Azhar in risposta allŽappello, che,
di fronte alla crescente gravita' del conflitto israelo-palestinese, alcuni
docenti della Facolta' di Scienze Umanistiche dellŽUniversita' di Roma "La Sapienza"
hanno promosso e che e' stato sottoscritto da piu' di 150 colleghi di diverse discipline
e universita' italiane. La comunita' universitaria, con questo appello, ha inteso unire
la sua voce a quella di quanti si esprimono per la fine dellŽoccupazione e delle azioni
militari israeliane in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est, per lŽavvio del processo
di decolonizzazione, per la ripresa dei negoziati e la realizzazione di una pace fondata
sulla giustizia e il rispetto dei diritti di tutti (profughi palestinesi inclusi),
per la formazione di uno Stato Palestinese indipendente e sovrano accanto allo Stato
dŽIsraele, ritenendo che compito delle autorita' accademiche e delle forze politiche
sia contribuire e sostenere iniziative culturali volte al dialogo, alla conoscenza
della questione israelo-palestinese, alla promozione di una cultura di pace.
Siamo convinti che il nostro contributo di docenti alla realizzazione di questo
processo possa costruirsi sulla partecipazione e collaborazione con universitari
palestinesi e israeliani. Partire, con una prima delegazione, poteva essere un
inizio, un modo di testimoniare solidarieta' a studenti e a docenti, ai quali e'
impedito il diritto allo studio e alla ricerca. L'Universita' di Birzeit,
vicino Ramallah, e', con 5000 iscritti, una delle piu' prestigiose istituzioni
universitarie palestinesi. Tra le offerte dellŽUniversita': un corso di studi
arabo-palestinese, rivolto agli studenti stranieri e un Istituto di Salute
Pubblica che intreccia elaborazione scientifica e intervento politico.
LŽubicazione particolare dellŽUniversita', vicino alla sede dellŽAutorita'
Palestinese, la vede oggetto di continui controlli e restrizioni,
che contribuiscono a renderne difficile lŽaccesso al punto di rischiare
di trasform
cale o fruibile solo da chi puo'
permettersi un alloggio in citta'. Il problema della mobilita' negata coinvolge
studenti e docenti: check-points, coprifuoco, occupazione militare non
permettono il normale svolgimento della vita universitaria.
Lo scorso semestre e' stato concentrato in sole 5 settimane. A causa della
crisi economica determinata dall'occupazione israeliana, le famiglie spesso
non sono in grado di pagare le tasse dŽiscrizione. DŽaltra parte, un budget
universitario non puo' reggersi solo sulle entrate delle tasse, e i finanziamenti
dati alle universita' dallŽAutorita' Palestinese con il contributo della Comunita' Europea,
di singole nazioni e della Lega Araba sono oggi fortemente ridotti a causa delle
emergenze del conflitto. Malgrado questi gravi problemi, i docenti palestinesi
si impegnano per preservare la qualita' dellŽistruzione e della ricerca, e per
arginare il fenomeno della dispersione degli studenti, che si e' verificato durante
la prima Intifada. La situazione non e' diversa in altre universita', come emerge
dall'incontro con i docenti dell'Universita' di Betlemme e dell'Universita' di Al-Quds.
QuestŽultima, nel villaggio di Abu Dis, vicino a Gerusalemme,
dove sorge un tratto del "muro" che il governo israeliano sta edificando con
un progetto che porta il nome surreale di "Avvolgere Gerusalemme", ha avuto
una grande espansione negli ultimi dieci anni, ma adesso, con l'inasprirsi
della stretta politica e militare, si trova a fronteggiare analoghe difficolta'.
L'Universita' Al-Azhar nella Striscia di Gaza, e' la piu' grande della Palestina.
(14.000 studenti, il 40% studentesse). Anche a Gaza, blocchi stradali, check-points
e continue incursioni militari colpiscono duramente studenti e docenti che provengono
da diverse citta' e villaggi. e' quanto denunciano le studentesse che incontriamo,
raccontando di spostamenti anche per brevi tragitti che durano fino a sette o
otto ore, di notti passate ai check-points, di giornate perdute perche' si
miliazioni, minacce e violenze psicologiche di ogni tipo.
Come salvaguardare la qualita' dell'esperienza formativa in questa situazione
e' la questione centrale per gli universitari palestinesi. Le soluzioni di emergenza
che le universita' stanno fornendo - corsi a distanza, ripetizione delle lezioni,
slittamento dei semestri, affitto di locali - non possono che essere temporanee
e inadeguate. Il controllo sulla mobilita' e sulla vita dei palestinesi e' lo strumento
di cui Israele si serve nella sua strategia di occupazione e di espansione.
La negazione del diritto allo studio, dalle elementari allŽuniversita'
costituisce una grave violazione della dignita' e dei diritti fondamentali
dellŽessere umano. Per questo la priorita' e' fare tornare gli studenti nei
campus e in questa direzione va il progetto "Right to Education" di Birzeit
che chiede il sostegno della comunita' accademica internazionale.
Maria dŽErme (Univ. "La Sapienza", Roma), Armando Gnisci (Univ. "La Sapienza", Roma),
Giulia Fanara (Univ. "La Sapienza", Roma), Federico Lastaria (Politecnico, Univ. di Milano),
Donata Meneghelli (Univ. di Bologna), Gabriella Rossetti (Univ. di Ferrara),
Patrizia Violi (Univ. di Bologna).
Si ringrazia lŽon.le Luisa Morgantini - Assopace, le Donne in Nero per
lŽorganizzazione del viaggio.
(EŽ possibile richiedere a Palestina_libera@libero.it la versione completa dellŽarticolo)
TRE. DONNE di JENIN
le DONNE IN NERO con
PALESTINIAN WOMEN'S UNIONPALESTINIAN MEDICAL RELIEF COMMITTEESWOMEN'S STUDIES CENTER
chiedono il tuo sostegno
DONNE di JENIN
Campagna di raccolta fondi per le donne dei campo profughi
le studentesse universitarie e lŽimprenditoria femminile
"A Jenin (Palestina) non ci sono i resti delle case, ma polvere, tutto e' stato distrutto dopo
essere stato abbattuto, camminiamo su vestiti ammucchiati, resti di pavimenti, frammenti
di tazzine, giocattoli: calpestiamo i ricordi e la vita stessa. Donne si aggirano lente tra
le macerie, riconoscono i loro oggetti
n vanno via. Costruiscono tende con coperte lacere, stendono a terra un materasso
e li' dormono."
Da Elvira, Teresa, Maria Teresa
Campo profughi di Jenin, maggio 2002
"Grazie per il vostro aiuto, e' vero non ho piu' niente, ma non e' solo lŽacqua di cui ho bisogno,
puoi fare qualcosa per restituirmi mio padre? Puoi darmi un poŽ di giustizia? Giustizia,
ne abbiamo tanto bisogno e diritto"
Najwa, 13 anni a Luisa,
Campo profughi di Jenin, aprile 2002
Il 3 aprile 2002 lŽesercito israeliano e' entrato nel campo profughi di Jenin per compiere la
sua missione di rastrellamento dei sospetti terroristi isolando cosi' lŽintera area con carri
armati, bulldozer e aerei da guerra. LŽHuman Rights Watch denuncia le seguenti violazioni
dei diritti umani: 140 case di-strutte e altre 200 rese inabitabili; 52 morti di cui 22 civili;
civili usati come scudi umani, 8 giorni di totale chiusura del campo allŽaccesso di medici,
ambulanze e della Croce Rossa Internazionale. Moltissime donne del campo sono rimaste senza
casa e senza fonte di reddito e devono far fronte ai bisogni immediati delle loro famiglie.
Tutto questo quando gia' da due anni la citta' e' sotto occupazione militare e di conseguenza
vive una situazione di gravissima crisi economica che impedisce alle ragazze di continuare
i loro studi e toglie alle donne qualsiasi risorsa da investire in progetti per il futuro.
Le Donne in Nero sono una rete internazionale di donne che ripudiano ogni forma di guerra,
di terrorismo, di fondamentalismi e di violazione dei diritti umani e civili, ricercano
pratiche non violente per la risoluzione dei conflitti, promuovono la diplomazia dal basso
e la partecipazione attiva della donne ai tavoli delle trattative tra le parti, dove la
loro presenza ed esperienza e' necessaria e preziosa. A muoverle e' la relazione diretta con
le donne dei luoghi difficili, Palestinesi, Israeliane, dei Balcani, Afghane, Kurde,Turche,
Algerine, con tutte coloro che lavorano per l'affermazione di una politica i
le donne libere da guerre, violenze e poverta' per tutte e tutti.
Questa campagna nasce dalla rete di relazioni gia' esistente tra le Donne in Nero italiane
e le donne palestinesi. Le radici di questo progetto risalgono al 1988 quando con un gruppo
di donne ci recammo a Gerusalemme per costruire relazioni con donne palestinesi e israeliane,
per superare il conflitto e lŽoccupazione militare israeliana, nel riconoscimento reciproco
del diritto alla sovranita', alla liberta', per due popoli e due stati.
In questi anni molti sono stati i progetti e le iniziative che abbiamo fatto in comune.
in questŽultima Intifadah a partire dal dicembre 2000, con "Io donna vado in Palestina"
molte donne, in Nero e non solo, sono state testimoni delle violazioni dei diritti,
cercando con la loro presenza di essere un argine alla violenza e alle umiliazioni subite
dai palestinesi e intessere relazioni con le forze pacifiste israeliane e il movimento
sociale palestinese.
Il Women's Studies Center e' una ong palestinese di donne fondata nel 1989 per garantire
uguali diritti e pari opportunita' in campo economico, sociale e politico alle donne.
Il Women's Studies Center coordina un comitato di donne per il sostegno a studentesse
universitarie palestinesi costrette ad abbandonare l `universita' a causa dellŽ'occupazione
militare israeliana che ha fatto crescere i costi degli studi superiori.
La Women's Union e' unŽorganizzazione politica di donne palestinesi. Nate alla fine degli
anni '70, il loro obiettivo e' la cre-scita politica delle donne per il loro pieno
coinvolgimento nella vita pubblica e nella lotta di resistenza nazionale.
Sviluppano programmi specifici per favorire l'ingresso delle donne nel mondo
del lavoro e per far loro conoscere i loro diritti. Nel campo profughi di
Jenin si sono mobilitate in aiuto delle donne che hanno perso assolutamente
tutto sul piano materiale ma soprattutto sono state private di qualsiasi sogno
per il loro futuro e per quello delle loro famiglie.
lief Committees (PMRC) sono dei comitati locali di assistenza
socio-sanitaria che organizzano piu' di 3000 volontari in tutti i territori palestinesi.
Operano accanto alle strutture istituzionali dell'ANP per far fronte all'attuale
situazione di emergenza. La loro filosofia si incentra sul-l'idea di societa' civile,
quale soggetto ricco di valori ed energie da mobilitare e valorizzare per garantire
la crescita democratica del paese. Nell'area di Jenin, malgrado le difficolta'
economiche e di movimento indotte dallŽoccupazione militare, esistono 13 gruppi
di donne gia' attivi, dotati di una propria progettualita' e di un minimo di capacita' finanziaria.
DAI UNA MANO ANCHE TU
alle donne palestinesi che non vogliono essere unŽaltra volta profughe,
che vogliono giustizia e ricostruire cio' che e' stato distrutto dallŽesercito israeliano
che continua a occupare illegalmente la loro terra: aiutiamole a progettare un futuro
di convivenza e di pace per se' e per i loro figli.
NON AVERE TIMORI, SERVIRa'
o con 100 euro si garantisce ad un nucleo familiare del campo profughi di Jenin (5 persone) il cibo necessario per un mese
o con 250 euro si garantisce ad una studentessa di Jenin un semestre di iscrizione in una universita' palestinese
o con 750 euro si garantisce alle donne di un villaggio di Jenin un anno di affitto dei locali necessari per attuare i loro progetti
PUOI VERSARE:
o bonifico bancario su c/c n. 106500
intestato a Donne in Nero,
ABI 5018, CAB 12100,
presso Banca Popolare Etica Padova
o versamento sul c/c postale n. 12182317,
intestato a Donne in Nero - Banca Etica,
indicando nella causale "c/c n. 106500"
Puoi scegliere a chi dare il tuo aiuto
specificando una causale tra le seguenti:
o "Donne di Jenin/Donne del Campo"
o "Donne di Jenin/Studentesse"
o "Donne di Jenin/Donne dei Villaggi"
Campagna Donne di Jenin - Palestina
Donne in Nero
Via IV Novembre, 149 - 00197 ROMA
tel. (+39) 06 69950217
06 69200975
fax (+39) 06 69950200
e-mail: dinperjenin@yahoo.i
ime da Indymedia Israel
http://www.indymedia.org.il/imc/israel/webcast/front.php3
IL sito di Gush-Shalom e' sempre ricco di informazioni, foto, aggiornamenti ed approfondimenti
http://www.gush-shalom.org/english/index.html
CINQUE. Progetti di solidarieta' per la Palestina
http://www.tmcrew.org/int/palestina/progetti.htm
SEI. Gerusalemme sotto la neve
http://electronicintifada.net/v2/article1205.shtml
SETTE. PALESTINA: UN NUOVO APARTHEID
Intervista a Jeff Halper
a cura di ALESSANDRA GARUSI
Jeff Halper, urbanista israeliano e docente di antropologia all'Universita'
Ben Gurion del Negev, coordina il Comitato israeliano contro la demolizione
delle case palestinesi (Icahd).
MO lo ha intervistato.
"Che diavolo sta succedendo qui?" Chi urla queste parole in mezzo al
rumore assordante delle ruspe e ai calcinacci che cadono tutt'intorno, e'
Jeff Halper. Ogni volta che un bulldozer israeliano comincia a radere al
suolo un gruppo di case, un villaggio palestinese, il suo telefonino
(+972-50-651425) immancabilmente squilla. Qualsiasi sia l'ora del giorno o
della notte, lui si precipita. Barba corta, 56 anni ben portati, occhiali e
una valigia strapiena di case. Si direbbe il classico professore. Di fatto,
lo e': insegna antropologia all'Universita' "Ben Gurion" del Negev. Ma e' anche
il coordinatore del Comitato israeliano contro la demolizione delle case
palestinesi (Icahd).
Cresciuto negli anni 60, in un'America molto politicizzata, da 30 vive in
Israele, dove lavora come "antropologo impegnato". Quand'e' sulle barricate,
pensa ai libri che vorrebbe scrivere; quando sale in cattedra, lo fa con
l'esperienza dell'uomo della strada. La professione, la vita privata,
l'impegno sociale s'intersecano. Sono tutt'uno. Ecco, dunque, l'analisi di
un israeliano che ama il suo paese e, proprio per questo, lo critica senza
riserve.
Una vita di sicuro non bastera' a raggiungere la fine dell'occupazione, lo
smantellamento delle colonie e la creazione di uno stato palestinese
indipendente e sov
e'
fermamente convinto di lavorare in un solco. E di poter poi passare il
testimone alle generazioni future. Lo abbiamo incontrato alla "Casa della
Cultura" di Milano, a margine di una conferenza organizzata dal mensile Una
Citta'.
Attentati palestinesi da una parte, rappresaglie israeliane dall'altra. Il
sangue continua a scorrere in Medio Oriente. Ma qualcosa sta cambiando?
Siamo in una situazione completamente diversa, rispetto ad un anno fa. Dopo
la rioccupazione di parte della Cisgiordania, il massacro di Jenin e la
rappresaglia su Nablus, il premier Sharon ritiene di essere ad una svolta:
alla fine della guerra, alla sconfitta finale dei palestinesi. Adesso tutto
e' piu' difficile. E l'ipotesi stessa che possa esserci un giorno uno stato
palestinese indipendente, appare piu' remota.
Da marzo 2002 ad oggi, che cos'e' successo nella West Bank e a Gaza?
La West Bank e' stata totalmente distrutta: dalle infrastrutture (le banche,
le anagrafi, ecc.) ai campi coltivati, alle case. Mentre Gaza resta intatta.
Il governo israeliano vorrebbe spostare qui il "cuore" della Palestina;
Sharon l'ha chiamata "il cestino dell'Amministrazione palestinese". Di
fatto, sara' la prigione dell'Olp. Nel frattempo, Gaza e' stata suddivisa in
tre cantoni; e la West Bank in otto, che possono essere pero' raggruppati fra
loro in tre: il cantone nord sara' attorno a Nablus, circondato da un muro
lungo 300 km, cioe' tre volte quello di Berlino, il cui costo si aggira
attorno ai 500 milioni di Euro; al centro ci sara' il cantone di Ramallah; il
terzo, a sud, e' quello Hebron (pure isolato). Oltretutto, dato che il Muro e'
stato costruito al di la' della "linea verde" (ex linea armistiziale pre-67),
100mila palestinesi saranno condannati a vivere nella terra di nessuno, fra
il Muro e la linea verde.
Ripeto: sia il Likud che il partito laburista ritengono che il conflitto
sia finito, e che a Jenin sia stato piegato lo spirito di resistenza
palestinese. Grazie all'appoggio incondizionato del Congresso ameri
grazie alla neutralizzazione delle Nazioni Unite e alla passivita'
dell'Unione Europea - Israele e' quindi riuscita nel suo intento: chiudere in
isole i palestinesi.
Si tratta di un processo del tutto irreversibile?
Tre fattori possono fare la differenza: la "strada palestinese" che e' stanca
e non sa quanto ancora potra' resistere, eppure non ha rinunciato alla lotta;
il movimento pacifista israeliano, che e' piccolo, ma determinato e lavora
gomito a gomito con la controparte palestinese; ci siete voi, la societa'
civile internazionale. Se la lotta dei palestinesi, diventa la vostra
lotta - come la lotta dei neri sudafricani contro il regime bianco del
presidente Botha smise, ad un certo punto, di essere una "questione
locale" - allora un'inversione di tendenza diventera' possibile.
Veniamo al suo impegno nell'Icahd. Perche' la demolizione delle case e' sempre
stata (ed e' tuttora) al centro del conflitto israelo-palestinese?
La demolizione delle case e' una questione politica di fondamentale
importanza. Come Icahd, stiamo lavorando su questo tema da almeno 6-7 anni;
ma ogni volta che tentiamo di spostare la nostra attenzione altrove, ecco
che - boom - un'altra demolizione ci fa tornare sui nostri passi. L'attacco
al campo rifugiati di Jenin, con 9-10 bulldozer del tipo "D-9" (enormi,
disegnati in modo che quando abbattono una casa, il conducente resta
illeso), e' stato esemplare: l'"eroe", premiato con una medaglia
dall'esercito israeliano, e' appunto uno degli autisti, che per 75 ore ha
guidato attraverso una zona densamente abitata, abbattendo tutto cio' che gli
si presentava di fronte. Intervistato, ha detto di "non aver mai provato una
felicita' di quel genere"...
Ora la politica e' poi quella di demolire le case di persone accusate di
terrorismo, o dei loro famigliari, quando non si tratta di lontani parenti.
E ci si chiede appunto perche'. Allora si comprende che tutto non inizio' nel
'67 con l'abbattimento di 9mila case, ma nel '48, quando Israele demoli' 418
villaggi pales
ta non puo' essere soltanto politica,
cioe' finalizzata a confinare i palestinesi in alcune aree. Non puo' essere
solo una punizione, o un deterrente nei confronti di attentati terroristici.
Penso che la ragione profonda - ed e' per questo che e' cosi' ricorrente - sta
qui: Israele e' impegnata in un processo di spostamento generale. Vuole
dislocare tutti la popolazione palestinese e assicurarsi l'intero
territorio, cosa che del resto ha gia' fatto. Vuole una situazione che sia
irreversibile.
Qual e' il messaggio del bulldozer?
Il messaggio e': non c'e' posto per te nell'intero paese. Se sei un rifugiato
(e la maggior parte dei palestinesi nei Territori lo e') e se non puoi
tornartene a casa perche' la tua casa non esiste piu', non ti consentiremo di
trovare un altro luogo. Ecco perche' la demolizione delle case continua ad
essere al centro del conflitto: e' il simbolo e, insieme, lo strumento della
dislocazione dei palestinesi.
Lei ha scritto che il bulldozer e il carro armato esprimono perfettamente la
relazione di Israele con i palestinesi. Ci puo' spiegare meglio?
Sono complementari. Il carro armato e' il simbolo della conquista: mira a
sconfiggere i palestinesi in senso militare. Il bulldozer e' cio' che viene
dopo. Mentre il carro armato crea una situazione in cui l'altro e' sconfitto,
ma resta presente: puo' rialzarsi ancora; ci possono essere negoziazioni
politiche... Nel caso del bulldozer, l'altro viene eliminato. La casa, il
villaggio scompare. La possibilita' di un ritorno scompare. Alla sconfitta
rappresentata dal carro armato, dunque, segue sempre la dislocazione
rappresentata dal bulldozer.
David Grossman ci ha recentemente dichiarato: "Cerco di decodificare i segni
di autodistruzione. Perche' e' questo che stiamo facendo: il nostro e' un
suicidio collettivo". A suo giudizio, c'e' qualcosa di irrisolto nella psiche
collettiva israeliana?
e' una domanda difficile. Ci sono centinaia di risposte possibili.
Innanzitutto va ricordato che il sionismo inizio' nel XIX se
l'insorgere del nazionalismo. Esso adotto' un tipo di nazionalismo tribale
dell'Europa dell'Est che, a differenza di quello occidentale, era esclusivo.
Aveva un orientamento maggiormente statalista. Cio' che ha intrappolato
Israele nella condizione odierna, e' il fatto stesso di aver avanzato una
richiesta esclusiva. Hanno detto: il paese e' nostro. Nessun altro popolo ha
il diritto di rivendicarlo. Gran parte di questa dinamica era dunque
iniziata ben prima che gli ebrei mettessero piede in Israele.
Secondariamente, gli israeliani non vedono se stessi come prigionieri di
un meccanismo che li portera' all'autodistruzione. Se si guarda agli ultimi
cent'anni di storia, sono andati di successo in successo. Da un'economia di
villaggio e un territorio in mano agli arabi, si e' passati ad uno stato
ebraico, dove gli ebrei controllano il 94% delle terre, mentre gli arabi
sono stati spinti nell'angolo. E in questo Israele non e' solo: ha l'appoggio
delle superpotenze, in primo luogo dell'Amministrazione americana. Non c'e'
niente che lo possa toccare: l'Europa di sicuro non avviera' azioni proprie,
discordanti dalla linea statunitense. L'economia israeliana e' tuttora
fortissima: e' tre volte quella dell'Egitto, Siria, Giordania, Palestina e
Libano messe insieme.
Certo, mi e' difficile credere che l'occupazione possa avere la meglio. Che
un popolo possa mantenerne un altro sottomesso per sempre. Non si puo' avere
una societa' normale, sana, etica e, contemporaneamente, un'occupazione.
Israele, in parte, crede di essere vittima; e, in parte, utilizza
cinicamente questo concetto.
In che senso?
Nel momento in cui gli ebrei si sentono "le vittime" per eccellenza, si
pongono al di fuori di qualsiasi responsabilita'. Il lato positivo
dell'essere vittima, e' infatti che uno puo' agire come gli pare. Perche' "si
sta solo difendendo". Quando il campo rifugiati di Jenin e' stato invaso, la
lotta era impari fra uno degli eserciti piu' forti del mondo e dei poveracci.
Eppure Israele ha visto se' stessa
terrorismo
palestinese. Una delle logiche conseguenze di questo e' che la gente non
riflette. E non puo' riflettere. Perche' se lo facesse, vedrebbe tutta una
serie di cose che non vuole vedere: il torto e la ragione non stanno al 100%
da una parte sola. Se si apre una crepa ammettendo, ad esempio, che nel '48
gli israeliani ebbero un ruolo nel sorgere della "questione rifugiati",
l'intero castello di sabbia crollerebbe.
Come prevede che andranno le elezioni previste per il 28 gennaio?
Sharon succedera' molto probabilmente a se stesso. Hanno voluto rompere il
governo di unita' nazionale per andare ad elezioni anticipate. Ma entrambi,
il Likud come il partito laburista, hanno promesso di ritornare ad un
governo di unita' nazionale dopo le elezioni. Quindi, vedremo un governo
molto simile a quello appena caduto. Anche se due terzi degli israeliani
vogliono il Muro, la separazione, vogliono disfarsi dell'occupazione - la
sentono come un Albatros attorno al proprio collo - nessuno glielo dara'. E
nell'assenza totale di leadership, di una soluzione politica ("perche' i
palestinesi non vogliono la pace"), la sola via e' resistere, finche'
qualcosa, qualcuno irrompera' sulla scena. Chiunque sia.
C'e' molto poco spazio anche solo per il dibattito in Israele. Non
vogliono parlare di elezioni. Vogliono solo poter salire sul pullman la
mattina, scendere la sera, andare al supermercato, comprarsi la cena e
tornare a casa sani e salvi. Questo e' tutto. Da una nazione che nel '48
aspirava ad essere "una luce per gli altri", ci siamo ridotti in questo
stato. Che e' molto triste, ma e' qui che ci ha condotti l'occupazione: al
minimo delle nostre aspettative.
E il nuovo leader dei laburisti, Amram Mizna?
e' esattamente quello che vogliono gli israeliani. Quando ha annunciato la
sua candidatura, c'e' stato un grande entusiasmo. E lui si e' assunto
l'incarico dicendo: "Usciremo da questa dannata occupazione. Vi portero' alla
pace. Ci sbarazzeremo degli insediamenti...". La gente lo avrebbe seguito
oi si e' rivelato un politico laburista grigio. Non ha un
carisma, un programma. Certo, almeno e' una faccia nuova. Ma non c'e' alcuna
possibilita' che possa diventare premier.
Ha mai pensato di lasciare Israele?
Venni in questo paese come parte di una ricerca identitaria. Ho lasciato per
sempre gli Stati Uniti: davvero, non sento alcun senso di attaccamento. Vivo
in Israele da trent'anni, ho una moglie, dei figli, ho un'intera vita qui.
Anche se politicamente non sono contento, e' comunque l'esistenza che ho
costruito. E poi sarebbe il colmo che, proprio quando la lotta si fa piu'
dura, decidessi di andarmene. L'impegno della mia vita perderebbe senso. Nel
movimento dei diritti civili, uno e' perfettamente consapevole che
un'esistenza non basta: si lotta contro potentissime forze culturali,
economiche e politiche. Si continua a lavorare, facendo il possibile. E poi
si passa il testimone alla generazione futura. e' questa la prospettiva che
ho.
A cura di ALESSANDRA GARUSI
Fonte: Missione Oggi
OTTO. Viaggio di solidarieta' in Israele
Oltre ai viaggi Assopace, DIN, Action For Peace, etc esistono anche quelli a sostegno
della sola Israele; puo' essere interessante un confronto. Eccone un esempio:
EL AL E MIN VIAGGI
PRESENTANO
viaggio di solidarieta' in Israele
02-09 MARZO 2003
In collaborazione con il KKL di Roma
la Federazione Associazione Italia Israele
Domenica 2: Arrivo e trasferimento a Gerusalemme
Partenza da Roma Fiumicino, con volo EL AL, h 11:00
arrivo a Tel Aviv h15:15.
Partenza da Malpensa, con volo EL AL h 12:30
arrivo a Tel Aviv h 17:20
Possibilita' di partenza da altri aeroporti italiani
Lunedi' 3: Incontro al Ministero degli Esteri con Ilan Shtulman
Visita alla Corte Suprema
Giro panoramico di Gerusalemme
Monte Herzl e Yad V
chia, attraverso i quartieri che la
caratterizzano, arabo, cristiano
ed ebraico con il Tunnel
Possibilita' di tempo libero al mercato arabo
Cena e pernottamento in albergo ( Park Plaza Hotel)
dopo la cena, incontro in albergo con alcune vittime del
terrorismo.
Martedi' 4: Tempio Italiano e Visita del Museo. Incontro con
rappresentanti della Comunita' ebraica italiane
incontro e dibattito con la giornalista Fiamma Nirenstein
Visita alla Torre di David
Tempo libero
Trasferimento ad Arad
Mercoledi' 5: Visita di Tel Arad
Visita al museo dell'Aviazione israeliana
Beer Sheva e pranzo libero al centro commerciale della
citta'.
Visita al Kibbutz di Revivim per conoscere la storia del