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-----------ANTEPRIMA GIANO 42-------------
Il Settimo Sigillo
Editoriale. Luigi Cortesi, Imperialismo americano e crisi di civiltà
Massimo Pivetti, Vanno oltre il petrolio le ragioni della guerra
Fabio Marcelli, Gli Usa contro il diritto internazionale: illiceità della
guerra preventiva
Salvatore Minolfi, La Superpotenza "hobbesiana" e la disarticolazione
dell'Occidente
Angelo Michele Imbriani, "Minaccia universale" e "guerra permanente" nella
National Security Strategy 2002
Enzo Modugno, Nota sul keynesismo in versione neoliberistica
Gregorio Piccin, Il Pentagono contro tutti, verso lo spazio e la supremazia
Michele Paolini, L'"asse del male" come concetto etico-geostrategico
Sa-adi Yusuf, Due componimenti poetici: Fucili e America America
a cura di Francesca Corrao
Giancarlo Lannutti, La guerra parallela di Sharon
Lessico. Antonietta Vurchio: Sionismo
Enrico Maria Massucci, L'Europa del liberismo e della guerra e l'Europa dei
movimenti alternativi
Claudio Del Bello, Fuori dall'Europa: il capitalismo italiano va alla guerra
Michelangelo Guida, La Turchia tra integralismo islamico e pragmatismo politico
Luigi Biondi, Esigenze di cambiamento e fragili equilibri in Brasile
Note critiche
Vittorio Sartogo, Ecologia e "coscienza" nell'opera di Giorgio Nebbia
Libri
Recensioni
Dominique Lorentz, Affaires nucléaires (Angelo Baracca)
Gaetano Arfè, Storia dell'"Avanti"; Gianni Bosio, I conti con i fatti
(Luigi Cortesi)
Segnalazioni a cura di Daniele Archibugi, Luigi Cortesi, Guido Cosenza,
Sergio Dalmasso, Diego Giachetti, Sergio Licuti, Enrico Maria Massucci,
Maria Grazia Meriggi, Michele Nani, Mario Ronchi, Valeria Russo, Silvio
Silvestri, Ireneo Vladimiri.
La segreteria di redazione
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GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
Rivista quadrimestrale interdisciplinare
via Fregene, 10 - 00183 Roma - Tel-fax 06/70491513
redazionegiano@libero.it - http://www.odradek.it/giano
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Giacomo Cortesi, Claudio Del Bello, Pier Giovanni Donini, Alexander Höbel,
Sergio Licuti, Enzo Modugno, Sarah Nicholson, Vincenzo Pugliano,
Silvio Silvestri, Ireneo Vladimiri.
SOMMARI DEL N. 42 DI "GIANO", settembre-dicembre 2002
IL SETTIMO SIGILLO
Una partita storicamente decisiva si compie nella preparazione dell'attacco
all'Iraq da parte di Bush e Blair (due
"aspiranti criminali" cui si affianca il "cinico mercante" di provincia S.
Berlusconi). Da un lato c'è la logica
dell'imperialismo e della sua crisi, che determina l'esigenza della guerra
e il controllo delle fonti petrolifere;
dall'altro si schierano i movimenti pacifisti e "no-global", che si
sviluppano per prevenire (alla loro volta) la
"guerra preventiva". Essi minacciano i poteri statuali di espropriazione
del loro diritto di guerra, e tendono a
fondare una nuova politica, la cui essenza è da porre in relazione con
l'incombente "crisi di civiltà" e col rischio di
una catastrofe planetaria. L'autore segnala l'insufficienza
dell'opposizione franco-tedesca e di quella della Russia
e della Cina, in quanto esse si svolge all'interno della medesima logica di
sistema. L'unico dato positivo su questo
piano è l'obsolescenza e forse la fine della Nato, e l'incoraggiamento che
dovrebbe trarne l'Unione europea.
Luigi Cortesi, Imperialismo americano e crisi di civiltà
L'a. definisce la guerra contro l'Iraq come "inevitabile" in quanto
"fortemente voluta" dall'Amministrazione Bush
e non decisamente avversata dalle Potenze europee. Quanto alle ragioni
reali dell'intervento Usa e della crisi nel
suo complesso, Pivetti non nega l'importanza del petrolio e del suo
controllo, ma sposta l'accento sulla crisi
economica in atto e sui "fallimenti del mercato" e delle politiche
monetaristiche.
La guerra appare così chiaramente da intendersi come rimedio alla crisi
economica, acuta specialmente negli
Usa, e al disagio sociale da essa provocata. L'integrazione dei sindacati e
dei partiti della sinistra è infatti "il
maggior successo del capitalismo dai tempi di Adam Smith"; e ad essa il
capitalismo non può rinunciare.
Massimo Pivetti, Vanno oltre il petrolio le ragioni della guerra
La strategia statunitense della guerra preventiva - quale è esposta nei
recenti documenti ufficiali e negli
interventi dello stesso presidente Bush - appare in flagrante e grave
contrasto con il diritto internazionale in
tutte le sue varianti, comprese quelle che, nel passato, avevano ritenuto
la legittimità della difesa preventiva. La
dottrina giuridica indipendente è, in questo giudizio, praticamente unanime.
Si tratta in effetti del tentativo di instaurare un ordine mondiale basato
non più, come quello previsto dalla
Carta delle Nazioni Unite, sulla composizione pacifica delle controversie e
l'eccezionalità del ricorso alla forza
armata, ma viceversa sulla legittimazione piena di quest'ultima e quindi
del dominio imperiale degli Stati Uniti.
Contro questo tentativoe i rischi che esso comporta per il mondo occorre
volgere ogni forza possibile, dalla
elaborazione teorico-giuridica democratica alla più ampia mobilitazione civile.
Fabio Marcelli, Gli Usa contro il diritto internazionale: illiceità della
guerra preventiva
La vicenda della guerra all'Irak ha sollevato profondi dissensi nella
comunità internazionale e tra alcuni
importanti alleati europei degli Stati Uniti. Ma le critiche ai recenti
indirizzi dell'Amministrazione Bush
sottovalutano la sostanziale continuità della politica estera americana,
che appare guidata da una ricerca della
preponderanza e che mira sia a riorganizzare un controllo neo-imperiale
sulla periferia, sia a ristabilire una
chiara gerarchia di potenza nel rapporto con gli altri centri del potere
politico ed economico internazionale.
L'intera vicenda internazionale successiva alla fine della guerra fredda
mostra che, a dispetto della retorica
liberale, questo progetto può essere tenuto in vita solo esaltando le
caratteristiche "hobbesiane" della statualità
e ristabilendo un primato della "ragione strategica" nella gestione del
potere economico e delle relazioni
Salvatore Minolfi, La Superpotenza "hobbesiana" e la disarticolazione
dell'Occidente
internazionali.
Le ragioni profonde della guerra e del progetto neo-imperiale erodono il
tessuto connettivo dell'Occidente e
costringono le sue diverse componenti - in primo luogo quella europea - a
fare i conti con una crisi che
minaccia di riscrivere la struttura e le regole dell'ordine internazionale.
La National Security Strategy 2002, principale documento programmatico
dell'Amministrazione Bush, segnala
una svolta storica nella politica estera americana e compromette la
possibilità stessa di un diritto internazionale.
L'analisi del documento e del dibattito che ne è scaturito conferma come
l'11 settembre non segni una cesura,
ma abbia aperto una "finestra di opportunità" per la realizzazione di
progetti maturati subito dopo il 1989 negli
ambienti della destra americana.
Nelle palesi contraddizioni della nuova strategia e dietro lo schermo del
"terrorismo internazionale", degli
"stati-canaglia", dell'"asse del male", della dottrina dell'"attacco
preventivo", si legge infatti il proposito di
codificare un nuovo sistema internazionale "della minaccia universale e
della guerra permanente" e di
sperimentare il relativo progetto.. Un tale sistema è funzionale alla
supremazia americana, ma è sintomo, nel
contempo, di una drammatica crisi di egemonia e del fallimento, economico,
sociale ed ecologico, del modello di
globalizzazione neoliberista.
Angelo Michele Imbriani, National Security Strategy 2002
"Minaccia universale" e "guerra permanente" nella
Nell'interpretazione dell'a., dal 1941 (Pearl Harbour) gli Usa sono sempre
in guerra. Anche la lunga "guerra
fredda" non ostacolò, ed anzi alimentò poderosamente, la corsa agli
armamenti, i quali del resto furono usati in
molte guerre e\o repressioni periferiche. La scomparsa dell'Unione
Sovietica sarebbe stata per il sistema
americano un "disastro sociale" (G. Hallgarten) se i governi Usa non
avessero inventato nuove minacce e nuovi
nemici.
La proposta interpretativa di Modugno - che è debitrice dell'analisi
fondamentale di P.A. Baran e P.M. Sweezy -
si aggancia all'insegnamento principale che il capitalismo trasse dalla
crisi del 1929: per superare la quale non
bastarono gli investimenti nella spesa civile, per cui furono necessari
appunto la seconda guerra mondiale e il
diretto intervento in essa della Potenza americana.
Enzo Modugno, Nota sul keynesismo in versione neoliberistica
Per l'anno fiscale 2003, il nuovo segretario della difesa Donald Rumsfeld
ha già presentato un conto di 379,3
miliardi di dollari. Soltanto nei primi dieci giorni del 2003 gli Stati
Uniti bruceranno quello che oggi l'Italia spende
per la difesa in un anno. Gli Usa devono sostenere annualmente la loro
guerra mondiale in ogni angolo del
pianeta, essendo tutto il mondo, secondo la loro stessa teorizzazione, una
enorme area di interesse.
Il sig. Rumsfeld, e in generale l'Amministrazione Bush, non hanno
introdotto particolari novità in campo
geostrategico e bellico. Hanno raccolto il lavoro della precedente
Amministrazione e lo hanno sviluppato. Quando
l'ex-ministro Cohen parlava di un generico "programma" che avrebbe
garantito la supremazia militare agli Usa
nel XXI secolo probabilmente si riferiva al corposo "Joint Vision 2010".
Secondo gli strateghi militari l'obiettivo
del programma JV 2010 é quello di "stimolare le varie forze armate a
ragionare in termini di dominio globale
dallo spazio agli abissi del mare". E' così che nel quadro del JV 2010
Esercito, Marina ed Aviazione stanno
approntando o già realizzando i loro rispettivi sotto-programmi con piani
massicci di ricerca e riarmo spinti sino al
2025, nonchè la creazione di una quarta forza armata spaziale.
Gregorio Piccin, Il Pentagono contro tutti verso lo spazio e la supremazia
L'a. prende in esame l'evoluzione della politica estera statunitense dalla
fase di contrapposizione ai rogue states
a quella di attacco all'axis of evil. Il passaggio segna, anche sul piano
semantico, una radicalizzazione dei
rapporti, ma anche una riduzione degli Stati percepiti come avversari da un
gruppo di cinque ad uno di tre (Iran,
Iraq, Corea del Nord). Mancava fin dall'inizio l'Afghanistan, per ragioni
che fanno emergere con chiarezza sia lo
schema generale sia le contraddizioni della politica asiatica perseguita
dalla Casa Bianca.
Vengono ora estrapolati dal gruppo degli avversari la Siria e la Libia, che
potrebbero rientrare in una strategia di
decongestione politica ed economica del Golfo, di rilancio del negoziato
sulla questione palestinese e costruzione
di una struttura economico-strategica allargata dal Golfo a un polo
mediterraneo più a Ovest e a un polo
centrasiatico più a Est. Conditio sine qua non, la "liberazione" dell'Iraq.
Michele Paolini, L'"axis of evil" come concetto etico-geostrategico
"Per la Palestina e il suo popolo - scrive l'autore - si delinea un futuro
immediato ancor più carico di difficoltà e
di tragedie". L'equazione "Arafat = Bin Laden", già annunciata e duramente
applicata da Israele nelle sue
offensive repressive, ci preavvisa delle gravi ripercussioni che avrà nella
regione la guerra americana contro
l'Iraq. Ciò avverrà non tanto per la minaccia rappresentata da
quest'ultimo, ma per la possibilità - che Sharon
non si lascerà sfuggire - di liquidare definitivamente la partita con i
palestinesi. Il parallelismo con Bush è
dunque ideologico, ma anche strategico e pratico; e le sue conseguenze sono
destinate ad incidere sul piano
internazionale, anche al di là del teatro mediorientale.
Giancarlo Lannutti, La guerra parallela di Sharon
Il sionismo, movimento di rinascita nazionale ebraica, si sviluppa alla
fine del XIX secolo in risposta al crescente
antisemitismo nell'Europa centro-orientale, dove viveva il maggior numero
di ebrei, ma anche in Occidente. Fu
dapprima osteggiato anche dai settori ebraici ortodossi; ma dopo le guerre
mondiali l'emigrazione in Palestina -
dove dal 1917 la Gran Bretagna si era impegnata a riconoscere un "focolare
nazionale ebraico" (dichiarazione
Balfour) - divenne una via di scampo alla crisi europea e poi al genocidio
tedesco-nazista. Alla fine della guerra,
nonostante che la rivendicazione di uno Stato ebraico si opponesse ad un
pari diritto della popolazione
arabo-palestinese, alle Potenze occidentali (na anche all'Urss) sembrò
opportuno accedere alla creazione dello
Stato ebraico teorizzato da Herzl 50 anni prima.
Il sionismo divenne allora l'ideologia del nuovo Stato; un'ideologia
fortemente nazionalista e alla sua volta
razzista nei confronti dei palestinesi, scacciati nel 1948 dalla loro
stessa terra, oppure confinati in ristretti
territori. Fino al 1977 la maggioranza sionista al potere è stata
essenzialmente di sinistra, socialdemocratica e
laburista; ma fu poi sostituita dalla più agguerrita destra di Begin, che
ha portato Israele alla politica di
occupazione e repressione antiaraba ancor oggi perseguita dai governi
israeliani di entrambi gli schieramenti.
Antonietta Vurchio, Sionismo
L'a. rileva le inadempienze e le inadeguatezze dei gruppi dirigenti
europei, allineati alla politica statunitense al di
là degli elementi oggettivi di contrasto. Le manchevolezze dell'Unione
europea frustrano le aspettative circa un
automatico ruolo planetario progressivo del vecchio continente nel panorama
mondiale.
Ma la storia e la cultura del continente europeo contengono in sé
significati e potenzialità profondamente
alternativi rispetto sia al modello americano, sia al capitalismo: in primo
luogo le tradizioni del movimento
operaio e socialista. Ed esse contribuiscono a caricare il "movimento dei
movimenti" e le sinistre radicali di nuovi
compiti di proposta e di lotta contro liberismo e guerra, in nome della
tradizione democratica dell'Europa.
Enrico Maria Massucci, Europa del liberismo e della guerra e Europa dei
movimenti alternativi
Nel contesto della guerra infinita dichiarata dagli USA contro un nemico da
definire in corso d'opera, si va
delineando l'assetto istituzionale e costituzionale del "Superstato"
europeo, che di fatto - per il suo solo
delinearsi - si contrappone alla potenza d'oltreoceano.
Nell'Occidente nel suo complesso la natura dello Stato è oggetto di una
grave ridefinizione che ne va mettendo
in discussione le caratteristiche fondamentali assulte dalla Rivoluzione
Francese in poi. L'Europa in costruzione è
in ritardo e divisa nella definizione del nuovo quadro "costituzionale" su
cui costruire l'identità europea. C'è lotta
aperta, ma le varie "sinistre" quasi non vi partecipano, disponendosi su un
arco di comportamenti che vanno
dall'accettazione passiva alla denuncia "esterna". Né il "movimento dei
movimenti" ha ancora fatto suo
quest'ordine di problemi, che costituisce però lo scenario entro cui si
svolge la sua azione politica e sociale e in
cui si gioca la sua sopravvivenza-espansione.
Peggio di tutti sta l'Italia, con un capitalismo familiare in agonia da cui
non è sorto - al contrario che in altri
paesi continentali - un sistema di imprese fondato almeno sul
riconoscimento della "legalità capitalistica":
società per azioni e trasparenza dei bilanci.
Claudio del Bello, Fuori dall'Europa: il capitalismo italiano va alla guerra
La vittoria alle elezioni turche del 3 novembre 2002 del partito
d'ispirazione musulmana Adalet ve Kalkðnma
Partisi è stato seguito con grande attenzione e stupore dai media italiani
ed europei. La vittoria non è stata
invece una sorpresa per gli osservatori, anche perché il partito si è
presentato all'elettorato con una formula
sempre vincente della destra conservatrice, quella della: conciliazione tra
liberismo e solidarietà sociale, laicismo
e Islam. Il nuovo governo, però, si trova davanti a difficili decisioni sul
piano internazionale: da un lato il governo
Gül riconosce enorme importanza all'alleanza con gli Stati Uniti e capisce
che una guerra contro l'Iraq potrebbe
essere un buon trampolino di lancio per una nuova politica internazionale,
dall'altro la guerra presenta seri rischi
e altissimi costi, che potrebbero ricadere pesantemente sulla situazione
interna.
Michelangelo Guida, La Turchia tra islamismo e pragmatismo politico
Dal contributo del nostro corrispondente, che scrive a commento della
vittoria elettorale di Lula da Silva, si
evince la lacerante contraddizione fra il "turbinio di bandiere rosse" che
ha portato "la speranza al potere" e la
realtà geopolitica del paese.Il Brasile è infatti inevitabilmente
condizionato dagli Usa e dal loro vecchio "diritto"
imperialistico sul subcontinente. L'incontro postelettorale Lula - Bush si
è svolto in piena diplomatica cordialità;
Lula ha fatto dichiarazioni di estraneità alla questione irachena e ha
formato un governo di coalizione
comprendente esponenti moderati. Le sue alleanze interclassiste interne
sembrano solide. Ma
contemporaneamente egli ha dirottato finanziamenti dal militare al civile e
ha concretamente appoggiato il
presidente venezuelano Chavez. Sembra difficile che, proprio per i nuovi
fermenti che percorrono l'America
latina, gli Usa di Bush tollerino una egemonia regionale del nuovo governo
brasiliano e del suo leader "rosso".
Luigi Biondi, Esigenze di cambiamento e fragili equilibri in Brasile
Alla figura e all'opera di Nebbiam sono stati dedicati due volumi che
testimoniano la sua intensa attività di studio
e i risultati cui egli giunge nell'analisi del nostro sistema produttivo di
merci, di disuguaglianze sociali, di degrado
irreversibile delle risorse naturali.
Nebbia, che pure fu tra i partecipanti dell'Assemblea delle Nazioni Unite
di Stoccolma, critica severamente il
concetto di sviluppo sostenibile. Egli sostiene infatti che non è
fisicamente possibile produrre beni utilizzando
risorse naturali, senza comprometterne la disponibilità per le generazioni
future, come invece vorrebbe
l'ideologia corrente della compatibilità. Si tratta di scegliere tra
crescita e sviluppo e di lavorare per un nuovo
sistema di rapporti sociali e politici; il che comporta inevitabilmente la
contrazione dei consumi dei paesi ricchi.
Vittorio Sartogo, Ecologia e "coscienza" nell'opera di Giorgio Nebbia
Nebbia auspica la nascita di un movimento di liberazione contro le
ingiustizie fra gli esseri umani e nel loro
rapporto con la natura; e indica alcuni passi concreti e possibili in
questa direzione. Nel giudizio di Sartogo,
l'opera di Nebbia è indispensabile per orientarsi sul problema del rapporto
uomo-natura e per affrontare il
cambiamento necessario a fermare i processi catastrofici in corso.