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la Esso va alla guerra



Con piacere inoltriamo con preghiera di leggere con attenzione.

FRATERNITY
INSIEME EDIFICHIAMO IL TEMPIO
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La ESSO va alla guerra
Mentre il Mondo intero è in trepidante attesa di vedere come finirà il
braccio di ferro tra USA e resto del mondo sul minacciato
intervento militare in Iraq, c'è chi inizia a prepararsi. E' della fine
di settembre, infatti, la stipula di accordo tra Exxon Mobil, la più
grande multinazionale petrolifera ed il Dipartimento di Stato della
Difesa statunitense di Donald Rumsfeld . Ad un prezzo fissato a poco
meno di 48 milioni di euro, la Exxon, che in Europa è proprietaria del
marchio Esso, fornirà carburanti e oli lubrificanti per la marina,
l'esercito, il corpo dei marines, l'aviazione, le basi NATO e tutte le
agenzie afferenti al Dipartimento. La Esso rifornirà anche le basi
militari americane e della NATO presenti sia sul territorio italiano. Il
contratto non è vincolato all'attuale anno finanziario e si esaurirà
solo alla fine di settembre del 2005, data entro la quale,
evidentemente, Bush pensa di aver finito il suo lavoro in Medio Oriente.
La commessa e rappresenta un'ulteriore prova di quanto stretto sia il
legame tra G.W Bush e la multinazionale del petrolio che, per i suoi
impegno a sostegno del candidato repubblicano alla ultime presidenziali,
aveva già incassato il diniego da parte statunitense di
aderire al trattato di Kyoto sul taglio delle emissioni di gas serra e
l'emanazione di un piano energetico nazionale che punta al rilancio
delle attività estrattive e ad un aumento nell'uso di combustibili
fossili che porterà gli USA ad incrementare le emissioni di gas serra
di circa il 26% rispetto agli scorsi anni. Di fronte a tanta ostentata
arroganza c'è chi ha deciso da fare guerra alla Esso usando il
terreno di scontro più consono alla multinazionale: il mercato. Da oltre
un anno, infatti, è in piedi una campagna di boicottaggio dei
prodotti petroliferi a marchio Esso, lanciata in Gran Bretagna e presto
estesasi, tra l'altro, in USA, Francia, Austria, Germania, e
Australia. Che la strategia di azione diretta sul mercato iniziasse ad
affaticare le politiche irresponsabili della compagnia
statunitense, lo si era capito già nel corso dell'ultima riunione degli
azionisti, allorquando, su suggerimento di accreditate agenzia di
consulenza finanziaria, circa il 20% dei proprietari di azioni della
Exxon aveva richiesto formalmente che l'azienda fosse più presente
sul mercato delle energie alternative e la smettesse di spendere soldi
in pubbliche relazioni dirette a convincere la pubblica opinione
dell'inesistenza dell'effetto serra e del suo legame con i combustibili
fossili. Secondo un recente sondaggio dell'agenzia MORI,
nell'arco di una anno, il numero degli inglesi che dichiarano di
rifornirsi periodicamente nelle stazioni Esso è sceso di un quarto e
circa un milione di guidatori hanno dichiarato di boicottare la
compagnia per la sua politica in merito ai cambiamenti climatici. Dalla
ricerca emerge che, alla domanda su dove si riforniscono regolarmente di
carburanti, nel 2001 il 26% aveva risposto Esso contro il
19% dell'ultimo sondaggio. Che una politica più attenta alle esigenze di
tutela ambientale siano orami una strategia anche per il
mercato, è dimostrato dal dato, rilevato dalla stessa agenzia, che la
BP, che al contrario ha deciso di non disconoscere le proprie
responsabilità sui cambiamenti climatici e sta investendo molte risorse
nella ricerca su fonti rinnovabili, è passata da 18% al 21%
nelle preferenze dei guidatori. E i risultati di questa campagna si
stanno facendo vedere anche altrove. Dopo poco che fossero stati
pubblicati i risultati della ricerca di mercato della MORI, la Deutsche
Bank ha prodotto un rapporto sulla Exxon destinato agli
specialisti in investimenti in cui si dipingeva la compagnia
statunitense come un investimento rischioso a seguito della campagna di
boicottaggio inglese. Secondo gli analisti del settore, infatti, essere
considerati nemici dell'ambiente N°1 da Greenpeace ed altre
organizzazione mette il marchio Esso a forte rischio, rinforzato anche
dall'assenza di una politica aziendale sullo sviluppo di altri
settori energetici che non riguardino i combustibili fossili .