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I: O IL PAPA O BUSH
O papa o Bush
FILIPPO GENTILONI (da il manifesto del 2 febb. 2003)
«Stai con il papa o con Bush?»: lo chiede Famiglia cristiana ai suoi
lettori. C'è ancora qualche giorno per rispondere, ma la domanda stessa
dice dove stia il Bene e dove il Male. E dice anche quanto il quadro
politico e morale sia cambiato, stravolto. Ancora pochi anni fa per i
Palazzi Vaticani il Male non era certamente la Casa Bianca, ma, forse, il
comunismo o l'Islam. E la Casa Bianca era schierata certamente dalla parte
del Bene. Eppure non sono lontani i tempi nei quali il papa di Roma
appariva addirittura come cappellano della Casa Bianca. Roma e Washington
schierati insieme a difesa del Bene contro il Male. «In God we trust»: la
bandiera a stelle e strisce, il dollaro e la mano sul petto a difesa di un
ordine che ha Dio come garante supremo. E il Dio è quello insieme cristiano
e americano.
Oggi non più. Che cosa è accaduto? Come mai il Dio di Roma si è allontanato
da quello della Casa Bianca e si è avvicinato - sembra - a quello di
Baghdad? Quali le prospettive future?
La prima risposta non può non riguardare i movimenti per la pace. Sono
cresciuti nel corso dell'ultimo decennio e soprattutto si sono riempiti di
credenti, cristiani e cattolici. Erano già forti al tempo della guerra del
Golfo, e anche allora la voce vaticana si fece sentire contro la guerra.
Questa volta, a distanza di una decina di anni, molto di più.
Quantitativamente e qualitativamente. La pace ha acquisito una preminenza
che prima non aveva: parrocchie, diocesi, associazioni, movimenti. Non più
soltanto alcuni, più politicizzati e forse estremisti. La pace in primo
piano per tutti i credenti. Al di qua e al di là dell'Atlantico. Il
Vaticano non può non tenerne conto. Se non accetta di guidare tutto questo
arcipelago di cattolici per la pace - anche se non li si vuol dire
«pacifisti» - il Vaticano rischia di perderlo. Si tratta soprattutto di
giovani, per i quali l'etica cattolica non ha una gran fascino se non si
coniuga all'insegna della pace. Un'altra risposta, complementare alla
prima, riguarda la geopolitica mon
diale. Il Vaticano non può non considerare con preoccupazione la diffusione
mondiale dell'islam che sarebbe certamente rafforzata da un eventuale
abbraccio fra il papa e Bush. In Africa e in Asia le «conversioni» dal
cristianesimo all'islam sono numerose e Roma giustamente se ne lamenta. Un
deciso distacco da Washington potrebbe restituire a Roma una parte della
credibilità perduta. O il papa o Bush, quindi. Non è vero, sembra dire Roma
anche per bocca di Famiglia cristiana che il cattolicesimo rappresenti la
bandiera di un occidente ricco, schierato contro i popoli più poveri - e
più giovani - della terra.
Così si può spiegare il nuovo orientamento di Roma. Spiegare e
giustificare. Nonostante i suoi rischi e le sue difficoltà. Rischio di un
certo trasformismo prima di tutto. Le radici filo occidentali e anche
filoamericane del cattolicesimo sono forti e affondano profondamente nella
storia degli ultimi secoli: una buona parte del nostro cattolicesimo, e non
soltanto alcune sue componenti più reazionarie, non sarà d'accordo. Non
pochi preferiranno non scegliere ma accostare: e il papa e Bush. La
difficoltà nella accettazione dello spostamento si può già constatare anche
nel nostro paese, e non soltanto in regioni ultracattoliche come il Veneto.
Fra Roma e Washington, poi, esiste la cultura dell'occidente: un abbraccio
affettuoso ma anche ingombrante. Non è il caso di stringerlo ma neppure di
abbandonarlo. Comunque, non si può non tenerne contro. Perciò
all'alternativa posta da Famiglia cristiana la risposta non è semplice: sì
al Papa e no a Bush, ma tenendo presente la necessità non soltanto di
combattere la guerra ma anche di rivedere tutte quelle posizioni culturali
che per secoli hanno permesso e favorito le guerre, anche ai cristiani. Che
il no alla guerra all'Iraq e a Bush si trasformi in una profonda revisione
culturale: no a tutte le forme di prepotenza e di sopraffazione dei ricchi
contro i poveri. Anche dei ricchi cristiani e cattolici.
FILIPPO GENTILONI (da il manifesto del 2 febb. 2003)