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resoconto 99 posse sul viaggio in Iraq



AL MUKAWAMA IN IRAQ

Di Luca "Zulù" Persico e Giampiero "Papa J" Da Dalto

Quando siamo partiti per l'Iraq non pensavamo certo di
recarci in un pericoloso paese nemico dell'Occidente,
ma quello che abbiamo visto è andato al di là della
nostra più fervida immaginazione. Lo scopo del nostro
viaggio, organizzato membri dell'associazione
culturale napoletana "Libera Informazione" - è stato
quello di realizzare un dcumentario - basato
sull'incontro tra culture diverse - e verificare la
situazione della popolazione irakena, vittima
dell'embargo.

Siamo partiti la mattina del 3 gennaio dall'aeroporto
di Roma dove avevamo appuntamento col nostro gruppo,
composto da politici e tecnici del Consiglio Regionale
della Campania - responsabili dell'ONG "Un Ponte
Per·" -, dallo staff tecnico di ripresa video, da un
profugo palestinese e un'immigrata marocchina (i
nostri interpreti). Il viaggio di andata è
stato tranquillo: il volo per Damasco in leggero
ritardo, cena abbondante e subito la partenza in bus
alla volta dell'Iraq. Alla frontiera di Al Walud
i controlli non sono stati troppo puntigliosi: in Iraq
la delegazione è attesa per cui riusciamo a sbrigare
le pratiche d'ammissione in meno di due
ore, dopo aver dichiarato le nostre generalità e i
dettagli sul materiale tecnico in nostro possesso (e
fedeltà a Saddam Hussein·).

Sono circa le 12.30 del 4 gennaio quando arriviamo a
Baghdad dopo un trasferimento durato circa 14 ore
attraverso lo splendido scenario del deserto irakeno.
Entriamo all'Hotel "Al-Rasheed", dopo esserci puliti
le scarpe - come da usanza locale - su un magnifico
mosaico posto sul pavimento all'entrata dell'albergo,
raffigurante la faccia di George Bush Senior, e
iniziamo una riunione per definire gli impegni della
nostra delegazione nei giorni a nostra disposizione.
Il nostro soggiorno è trascorso tra visite "ufficiali"
con le organizzazioni coinvolte nella cooperazione
italo-irakena e momenti decisamente più drammatici e
coinvolgenti. Tra questi ultimi decisamente ci teniamo
a ricordare la visita a due ospedali specializzati
nella terapia contro il cancro dei bambini dove
abbiamo potuto toccare con mano il dramma dell'embargo

causato dalle politiche criminali delle Nazioni Unite
che avvallano la follia del governo Usa: la mancanza
di medicinali, l'impossibilità di accedere a
cure più avanzate nonostante la presenta di patologie
gravissime - in stato terminale - in bambini di solo
tre o quattro anni di età. Uno di questi bambini, con
solo poche settimane rimaste da vivere, ci ha
raccontato, nel corso di un'intervista, di come gli
sarebbe piaciuto poter diventare un grande dottore per
poter curare tutti i bambini irakeni.

Sguinzagliati a piede libero tra i mercati della
downtown cittadina - simili ai suk popolari di una via
di Palermo o di Napoli - e per locali più o meno
malfamati, la sera, tra venditori di ogni genere di
beni e folle variopinte che ci seguivano semplicemente
incuriosite dal nostro aspetto e dalla presenza delle
telecamere, abbiamo avuto modo di conoscere la
cortesia e l'affabilità di un grande popolo, un popolo
al quale 12 anni di embargo criminale non ha tolto il
sorriso, la dignità, la voglia di confrontarsi e di
capire.

L'ultimo giorno del viaggio l'abbiamo trascorso
all'università di Mosul, di fronte ad una folla di
docenti e studenti, smaniosi di ascoltare il nostro
seminario sul movimento "No Global". Nel corso
dell'incontro abbiamo avuto modo di mostrare alcuni
filmati su Praga, Messico, Genova e Palestina,
spiegando a tutti i presenti che in Occidente esistono
milioni di persone pronte a combattere il modello di
sviluppo che, tra gli altri, opprime anche l'Iraq.

Ora che la situazione della crisi sembra precipitare
verso l'intervento armato, ci sembra doveroso prendere
una posizione contro questa follia. Ora che portiamo
dentro di noi il profumo della shawuarma appena
tagliata, i suoni del suk di Al Walabi, i sorrisi dei
bambini dell'ospedale che ci salutavano con la mano,
il calore di un bicchiere di chai offertoci da
un ragazzo al mercato, l'affetto degli abbracci degli
studenti dell'università che scoprono in noi
insospettati fratelli, ora più che mai sappiamo da
che parte stare.