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invito a visitare il kurdistan turco



QUESTO MESSAGGIO E' STATO INVIATO DA PAOLA GHINI del centro per la pace di
Cesena

PAROLE CHIAVE: VIAGGI STUPENDI-KURDISTAN TURCO-DIRITTI UMANI-ACQUA

E' NATO UN SITO SU VIAGGI IN KURDISTAN TURCO, UNA ZONA CHE VIENE SCONSIGLIATA
DAL GOVERNO TURCO PER AUMENTARE L'ISOLAMENTO DEI CURDI, MA CHE, AMPIA COME
2/3 DELL'iTALIA, E' RICCA DI BELLEZZE NATURALI, ARCHEOLOGICHE E STORICHE.

uN ALTRO VIAGGIO PARTIRA' A FINE GIUGNO PER VISITARE LA PIANA DELL'EUFRATE
E UN'ALTRO IN LUGLIO PER IL FESTIVAL SUL FIUME MUNZUR, IN AGOSTO VEDREMO
IL MONTE ARARAT E I MONASTERI VERSO L'IRAN.

CHI VUOLE SAPERE DI PIU' DI QUESTE ZONE, PUO' VISITARE IL SITO NATO DALLA
COLLABORAZIONE TRA CESENA E DYIARBAKIR la capitale culturale del kurdistan:
http://www.ranchdeiviandanti.it/KurdishTravel/home.html

e ancora
http://www.ranchdeiviandanti/kurds/home.html
http://www.tunceli.org
http://www.munzur.com

Intanto alleghiamo la petizione sulla richiesta di invio di osservatori
nel Kurdistan turco, che ha già raccolto 500 firme in meno di 2 mesi a Cesena
e Alessandria.

Tanti auguri di buon anno,
Paola


_________________________________
Cesena, mercoledì 30 ottobre 2002

Da cittadini italiani
a tutti i Capigruppo del Parlamento italiano

Oggetto:
petizione cittadina ai gruppi parlamentari

In occasione della Conferenza "Acque, foreste e popolazioni senza diritti.
Perché parlare di Kurdistan adesso", tenutasi in data odierna al Centro per
la Pace di Cesena (FC), la cittadinanza dà vita all'iniziativa di raccolta
di firme dell'omonima petizione cittadina, in accordo con le norme vigenti
(Principi base del Trattato U.E. e Art.51 Cost. It.). La petizione è
rivolta a tutti i Capigruppo parlamentari, ai quali si chiede formalmente
una risposta pubblica relativamente ai punti esposti, risposta che trovi
giustificazione nella normativa vigente.
I cittadini firmatari ritengono che la politica estera, la politica del
lavoro e l'azione diplomatica attuate dalle ultime due legislature
contravvengano gravemente alla normativa vigente sia europea che italiana.
Le norme violate sono: i principi base del Trattato dell'Unione Europea
relativi alla politica estera, in cui i firmatari si prefiggono in politica
estera l'obiettivo base del rafforzamento della democrazia nelle società e
il rispetto dei diritti umani, e l'art.41 della Costituzione Italiana, che,
relativamente alla politica del lavoro e del libero commercio, recita,
"L'iniziativa economica è libera. Non può svolgersi in contrasto con
l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà,
alla dignità umana".
Obiettivi generali.
I firmatari intendono agire negli ambiti:
- gestione sostenibile delle risorse ambientali, nell'area Mediterraneo,
Egeo, Mesopotamia;
- salvaguardia dei diritti umani in zone strategiche (Turchia, Kurdistan,
Iraq, Siria, Palestina);
- controllo delle politiche industriali interne, funzionale al benessere
reale della popolazione residente in Italia.

Obiettivi specifici.
I firmatari intendono ostacolare legalmente ma decisamente:
- l'attuale gestione criminale delle risorse idriche da parte della
Turchia, ai danni delle popolazioni e dell'ambiente del Kurdistan turco e
di tutta la Mesopotamia;
- la trasformazione del Kurdistan turco in un cantiere gestito, anche
giuridicamente, da cartelli internazionali;
- la repressione silenziosa del popolo curdo, ancora una volta minacciato
in sede di voto (3 nov. 2002).

Motivazioni della petizione.
La Turchia è una delle nazioni che, per la loro posizione geografica e a
causa delle scelte politiche del governo, stanno determinando
drammaticamente gli assetti del Medio Oriente, in relazione a Iraq,
Kurdistan, Israele e Palestina, anche grazie ad una collaborazione del
tutto discutibile con i governi italiani, con le forze diplomatiche
italiane e con i partenariati con l'Italia. I governi italiani delle ultime
2 legislature stanno applicando prassi e costruendo relazioni che
rafforzano regimi repressivi, fuga di capitali verso i paradisi fiscali e
sfruttano la debolezza sindacale di quei paesi già martoriati per
stabilirvi attività produttive a basso costo, anziché avviare soluzioni ai
problemi del lavoro in Italia.
La Turchia è al centro delle questioni:
- "malagestione delle acque in Medio Oriente";
- "negazione dei diritti umani dei civili curdi e dei turchi;
- "oleodotti e gasdotti dal Mar Caspio".
Il progetto del governo turco è semplice: svuotare la regione dai curdi
anche con eliminazione fisica, spianare i terreni, costruire gli oleodotti
in arrivo da oriente, sbarrare i fiumi e deviare le acque verso Israele
(accordi del 1997) desertificando il Kurdistan turco, siriano e iracheno.
Il progetto è già in atto. Dal 1987, i curdi tornano ad essere massacrati,
deportati, espropriati, torturati, incarcerati, i loro capi politici rapiti
e fatti sparire, le  donne stuprate, ma spesso anche gli uomini. I boschi
curdi tornano ad essere bruciati, il bestiame ucciso, gli ospedali e le
scuole rase al suolo e ricostruite con materiale fatiscente, il personale
qualificato rimosso, i profughi interni derubati dalla "Jandarma", che in
quelle zone è potere assoluto e offende in ogni modo il valore umano di
queste vite. I diritti civili, in Kurdistan turco, erano stati
ufficialmente "sospesi" nel 1987, ciò significa che i cittadini curdi non
hanno più una legge a cui fare appello, non hanno più difensori, non hanno
più alcun diritto. Oggi, una recente legge ha riconosciuto alcuni scarsi
segmenti di quei diritto, ma la realtà è sotto gli occhi del visitatore più
distratto.  Le fonti ufficiali, da Amnesty, ai rapporti del CIR, ACNUR, per
non parlare dei nostri stessi occhi di visitatori solidali, sono
innumerevoli.
Dagli anni '90, la politica turca di gestione delle acque si è fatta
drammaticamente invasiva. La Turchia ha in progetto di trasformare la zona
curda in un cantiere, lasciato letteralmente e giuridicamente nelle mani di
cartelli internazionali (Italia compresa). La Turchia ha già allagato circa
30 Kmq ad Elazig, E' in attesa che sia sbloccato il colossale progetto
della Ilisu Dam, che allegherebbe circa 30 Kmq intorno alla millenaria
città di Hasankeyf, sul confine con l'Iraq, ha in progetto un'altra ventina
di complessi di dighe e centrali idroelettriche lungo i fiumi Munzur,
Tigri, Eufrate, e al Nord, nel Parco Nazionale di Yusufeli. Per i lavori, i
terreni circostanti dovranno essere spianati. I residenti vengono ora
sfollati e le terre requisite. Inoltre le centrali elettriche succhieranno
acqua restituendola solo in parte, e quella sarà  acidificata e riscaldata,
con grave danno a fauna e flora. Le dighe lasceranno all'asciutto non solo
i campi dei curdi locali, ma anche di quelli oltre confine, per non parlare
della vallata della Mesopotamia. Iraq e Siria verranno private dei loro due
fiumi principali. Le zone delle dighe diventano acquisizioni dei cartelli
internazionali le quali ottengono anche lo sfruttamento delle miniere.
Chi ne trae vantaggio saranno: la dirigenza turca, le società straniere
costruttrici (tra cui Impregilo, società italiana), chi otterrà l'appalto
delle miniere locali in zona dighe (cartelli USA ed europei), chi otterrà
l'acqua deviata (Israele, accordi del 1997).
A implementare gli interventi invasivi, il governo ha firmato accordi con
cartelli finanziari per la costruzione, dopo l'espropriazione delle terre
dei civili e la dispersione dei residenti, degli oleodotti e dei gasdotti
(Progetto Blue Stream). Si tratta dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan Export
Oil Pipeline (BTC)  e del gasdotto Baku-Tbilisi-Erzrum  che dovrebbero
creare un corridoio di connessione tra la costa del Mar Caspio e le Coste
Mediterranee della Turchia, un complesso di dotti lunghi più di 1.700 Km. I
finanziatori e costruttori sono: BP (UK), Unocal (US) Statoil (Norvegia),
Turkiye Petroleum (Turchia), ENI (Italia), TotalFinaElf (Francia), Itochu
Oil (Giappone), Delta Hess (US/Arabia Saudita) and the State Oil Company of
Azerbaijan.
Come denunciano anche molte associazioni di protezione dei Diritti Umani in
casi di malagestione delle risorse ambientali (Friends of the Earth
International, CRBM, Cornerhouse,  KHRP, PLATFORM,  CEE Bankwatch Network,
Ilisu Dam Campaign, negli articoli del 30 agosto 2002) per tutta la durata
del Progetto (ovvero 40 anni), i territori attraversati da oleodotti e
gasdotti saranno sottratti alla giurisdizione turca per passare
direttamente alla giurisdizione del cartello finanziario che gestisce il
progetto. L'area curda, ma anche turca, risulta quindi venduta a tempo
determinato ad interessi commerciali internazionali. Non basta, secondo gli
accordi firmati, tutta la zona, come già la zona dighe, diventa zona
controllata ufficialmente dai militari. Di più: il consorzio industriale
internazionale può richiedere alle forze di Sicurezza Turca protezione
illimitata, senza linee direttive a protezione degli abusi contro i civili.
Negli accordi si parla invece di "prevenire o rispondere a disturbo da
parte dei civili o ad attività terroristiche". La difesa delle proprie
terre e la salvaguardia delle risorse ambientali e della serenità delle
proprie famiglie diventa un "disturbo" per le attività delle
multinazionali, che possono già legalmente definirli "atti terroristici".
Accettando appalti per dighe,  centrali idroelettriche, gasdotti e
oleodotti, la azienda nazionale ENI e la Impreligo contribuiscono e alla
deportazione dei civili kurdi e  turchi e allo sfruttamento lavorativo.
La mancata sindacalizzazione, in zona curda, la negazione della libertà di
libertà di parola, opinione, espressione linguistica, associazionismo,
circolazione, rendono le popolazioni prone allo sfruttamento lavorativo da
parte di industrie straniere, che ne traggono profitti enormi. I partiti
che si oppongono a questi insani provvedimenti sono perseguiti dalla legge
turca con pene carcerarie, fermi e torture. Le organizzazioni sindacali
sono impedite con pene carcerarie e reclusione nei carceri di tipo F.
Numerosi i casi di sparizione. L'Ufficio di Informazione del Kurdistan  di
Roma, in questi giorni sta emanando bollettini che dovrebbero allarmare
qualsiasi politico in buona fede. In occasione delle elezioni in Turchia,
il 3 novembre 2002, i militari hanno proceduto a incarcerazioni
ingiustificate dei candidati kurdi, dei democratici turchi e delle
popolazioni curde a scopo "preventivo".
Mentre l'Europa rifiuta l'ingresso della Turchia nell'UE, nel luglio 2002,
Berlusconi, alla Conferenza degli Ambasciatori di Italia, annuncia,
parlando  della questione curda, che proprio la repressione diventa motivo
in più a favore dell'annessione: "Quanto alla Turchia, la delicata
situazione interna del paese rende quanto mai opportuno uno sforzo, da
parte dell'Unione Europea per dare tempi certi circa l'avvicinamento della
Turchia all'Europa".
Nonostante questa realtà, l'Italia insieme a Israele, USA e Russia, sta
concorrendo per l'assegnazione di appalti miliardari per la dotazione della
Turchia di armi ed elicotteri. Già in passato (1998-2000) le commesse
turche in armamenti a cui facevano fronte le ditte italiane erano ingenti.
Ma ricordiamo anche l'episodio della collaborazione della base militare di
Novara e della ditta privata Agusta nel trasporto di elicotteri, razzi e
proiettili da cannone. La collaborazione di un Ministero (Interni) nella
fornitura di armamenti a una dittatura "de facto" è cosa  gravissima. Dove
sono finiti i principi base del Trattato della UE?
Oggi le relazioni di commercio in armi con la Turchia si fanno sempre più
strette, senza che soluzioni alternative e vincoli siano posti dalle
autorità onde evitare collusioni con la Turchia. Le società Bernardelli e
Piaggio Aeroindustrie sono già passate a suo tempo al 51% ad azionisti
turchi. In perfetto stile coloniale, le società furono poi rivendute. Con
siffatte relazioni commerciali, l'industria delle armi italiana avrà sempre
più interesse a fomentare l'uso della forza da parte della Turchia.
Infine citiamo le 19 zone franche (paradisi fiscali interni al territorio
turco). Si concentrano a corona lungo le coste e al confine con Siria,
Iraq, Armenia e sono: Smirne, Istambul, Antalya, Gaziemir, Trabzon,
Erzurum, Mardin, Rize, Menemen, Samsun, Adana, Gazientiep, Kayseri, Bursa e
Denizli. Gli investitori italiani sono già Fiat International, Pirelli,
Eni, Enichem, Bernardelli, Piaggio Aeroindustrie, Merloni. Mentre i
cittadini italiani comuni pagano le tasse, le società italiane lasciano
allo sbando le industrie locali per investire là dove le zone franche e la
manodopera desindacalizzata permette lauti guadagni, calpestando l'Art.41
della Costituzione italiana. Quindi, risulta chiaro che è necessario porre
paletti all'azione di industrie che operano in settori delicati come quello
degli armamenti.
Le ultime due legislature italiane hanno calpestato la normativa già
citata, per non parlare del "ripudio della guerra" (Art.11 Cost. It.), ma
anche delle nuove leggi per il rientro dei capitali da conti esteri
illegali, dei tentativi di revisione della legge che regolamenta il
commercio d'armi e della legge Cirami.
I cittadini firmatari, con questa iniziativa e con quelle che seguiranno,
intendono richiamare i concittadini all'azione, non violenta ma risoluta.
Preveniamo fin d'ora una risposta banale alla nostra interpellanza. Non
sarà sufficiente rispondere che gli sforzi della sinistra hanno raggiunto
lo scopo di fare abolire la pena di morte in Turchia. Sì, sulla carta la
pena di morte è stata abolita, ma nella realtà, adesso, i curdi non
giungono vivi al carcere dei detenuti politici. La corsa della sinistra,
qualora sia stata perseguita, è stata  una corsa fuori bersaglio e dimostra
quanto poco si sia fatto per capire come funzionino veramente le cose in
Turchia. E inoltre, dov'è lo sforzo dell'opposizione per un'equa
informazione? Dov'è la difesa della nostra Costituzione? La stampa non
conosce gli articoli sui quali si basa la nostra Repubblica?
Le richieste.
I cittadini firmatari chiedono che i capigruppo parlamentari indirizzino i
lavori del Parlamento affinché:
a. il governo italiano ritiri le aziende nazionali italiane dagli appalti
di dighe, gasdotti e oleodotti commissionati dal governo turco in zona
curda, e che gli accordi vengano ristipulati alla presenza delle
rappresentanze curde delle popolazioni civili;
b.  l'Italia richieda al governo turco l'accettazione di osservatori
internazionali nella zona curda, non solo nelle città principali ma anche
nei villaggi;
c.  il governo italiano incentivi l'avvio di progetti di ricostruzione e
rientro delle popolazioni curde deportate, progetti da monitorare in loco
da parte di osservatori internazionali (questo punto si rende necessario
poiché le città curde che hanno accettato i rari progetti di cooperazione
hanno visto destituire o incarcerare alcuni amministratori locali);
d. I firmatari esigono che il Parlamento Italiano ottemperi e si conformi
ai Principi base del Trattato dell'Unione Europea in relazione a criteri
base in politica estera (diritti umani e democratizzazione), e all'Art.41
della Costituzione Italiana, che preveda uno sviluppo economico compatibile
con l'utilità sociale e la dignità umana.

Cordialmente,
il promotore della petizione,
Ghini Paola (e-mail: ndlrbgh@tin.it)


Foglio firme relativo alla petizione del 30/10/2002 "Acque, foreste e
popolazioni senza diritti. Perché parlare del Kurdistan turco adesso" di
cittadini italiani  a tutti i Capigruppo parlamentari italiani.

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