[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

articolo sulla pace



Caro Furio Colombo,
ho appena sentito a Primapagina il tuo articolo odierno sulla pace. Se ho
capito bene e tutto, ti ringrazio molto.
In effetti, la pace è preventiva, nel senso che è cultura politica
costruttiva della capacità e delle forme per risolvere i conflitti scartando
la violenza, cioè l'uso della morte come mezzo di azione. La guerra non è
altro che questo uso infernale, con una micidiale semplificazione dei
conflitti.
La democrazia come la conosciamo è certo un buon passo sulla via della pace,
ma non basta. Bisogna arrivare a concepire e volere la politica (arte del
con-vivere nella polis) come alternativa alla guerra (arte e strumenti
dell'uccidere), e smascherare la guerra come rottura della politica, cioè
tirannia. Oggi invece ci sono anche democrazie bellicose, come Galtung e
altri studiosi hanno mostrato in cifre, che dunque sono false democrazie. La
polis oggi è l'intero mondo umano.
In questo senso io ho creduto di potere scrivere "La politica è pace" (ed.
Cittadella, Assisi 1998)
Il seminario di domani a Parigi è sperabile che diffonda e rafforzi questa
idea fondativa.
Invece, se ho inteso bene, devo in parte discordare da una seconda parte
dell'articolo. Sono convinto che anche Hitler poteva essere fermato a tempo
con una politica internazionale di vera resistenza, di opposizione
nonviolenta, di sostegno alle alternative democratiche interne alla
Germania, che c'erano. Come disse Gandhi, non si poteva veramente battere il
nazismo imitando i metodi di Hitler, cioè la guerra. Infatti, la guerra ha
abbattuto Hitler, ma non ha vinto il nazismo profondo, ereditato dal
nuclearismo che ricatta l'umanità e dall'apartheid mondiale attuale che
seleziona privilegiati e condannati, salvati e sommersi.
Ora ci sentiamo di nuovo predicare dal maggiore prepotente del momento che i
prepotenti minori possono essere domati solo con la guerra. E' l'antico
tragico crimine e stolto errore, che genera catene di errori e dolori, che
al massimo cambia faccia e nome della violenza, ma non la riduce, semmai la
accresce.
L'opposizione democratica alla guerra, anche alla guerra contro il
terrorismo, dunque, deve essere radicale e totale. I mezzi armati che la
Carta delle Nazioni Unite prevede contro le minacce alla pace, (soltanto
dopo tutti quelli non armati) non possono essere la guerra, incompatibile
con la ragion d'essere e la lettera della Carta, ma la coercizione non
distruttiva, mediante azioni di polizia. Infatti, polizia e guerra sono
sostanzialmente diverse: la polizia, se è corretta, riduce la violenza, pur
minacciando o usando la forza legale; la guerra accresce necessariamente la
violenza, perché premia solo il più violento e spregiudicato. "La guerra è
l'antitesi del diritto" ha ripetuto Bobbio. La guerra "è folle (alienum a
ratione) pensare che nell'era atomica possa essere usata come strumento di
giustizia" (Giovanni XXIII, nel 1963).
Anche forza e violenza sono ben distinte, nonostante la voluta confusione
verbale: anche la nonviolenza attiva è forza, anzi è la "vera forza"
(satyagraha gandhiano).
Così, violenza e potere politico sono incompatibili: Hannah Arendt ha
dimostrato che c'è violenza dove non c'è potere, arte di governare, di
decidere insieme. Violenza è impotenza reale.
Grazie dell'attenzione e vivi auguri
Enrico Peyretti, Torino
(redattore e primo direttore de "il foglio", mensile di cultura dal 1971)

"Disperati, noi speriamo"
http://www.arpnet.it/regis; www.ilfoglio.org