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PACIFISTI SCOMODI



La storia di Giovanni Ardizzone, ucciso dalla polizia nel '62 al termine di
un corteo I pacifisti sempre scomodi. Ieri come oggi Luigi Pestalozza E'
stato importante ricordare nei giorni scorsi la "crisi dei missili" di
quarant'anni fa fra Stati Uniti e Unione Sovietica, ovvero le minacce di
aggressione a Cuba da parte degli Stati Uniti.

Ed è contestualmente importante continuare a ricordare Giovanni Ardizzone
ucciso a Milano il 27 ottobre 1962 da una camionetta del Battaglione Padova
della Polizia, mentre in solidarietà con Cuba manifestava pacificamente:
dunque non rimasto ucciso, come poi la versione ufficiale ha sostenuto,
negli ultimi, violenti scontri di quella giornata, fra manifestanti e
polizia.

No, quella morte di un giovane manifestante contro la guerra e per un altro
mondo, continua dopo quarant'anni a contare se su di essa si è precisi.
Alla vigilia del Social forum fiorentino, tra l'altro, un indubbio successo
dell'opposizione democratica è che proprio sulla questione dell'ordine
pubblico a Firenze nei giorni prossimi, ma non a caso dopo Genova,
l'autorità governativa preposta a esso, ha dovuto riconoscere la pacifica
ragione antineoliberista dell'incontro europeo di Firenze e ha quindi
rinunciato a portare a Firenze forze di polizia armate. Salvo che
tutt'attorno, nella comunicazione giornalistica, televisiva, radiofonica -
a pensiero unico neoliberista berlusconiano - si è in crescendo continuato
a mettere al conto delle giornate fiorentine di Social forum, la questione
del suo presunto potenziale di violenza.

Ricordare con precisione l'uccisione di Giovanni Ardizzone - che non
avvenne in Piazza Mercanti durante gli ultimi scontri fra polizia e
manifestanti, bensì da quel finale di manifestazione, in via Mengoni - non
è revocare un fatto terribile, tristissimo: è riproporne il valore
simbolico, il significato che mantiene. Non smette infatti, riportato al
vero, di dirci che non bisogna mai dimenticare che sulle lotte democratiche
incombe sempre la minaccia della falsificazione, per cui sempre, oggi come
allora, all'antagonismo democratico, sociale, umanistico, infine
fondamentalmente antifascista, tocca il compito della verità. Più che mai
rivoluzionaria in questo stato di globalizzazione capitalista dei rapporti.

Io c'ero (ed è semplicemente una testimonianza). Giovanni Ardizzone,
giovane che non conoscevo, come me manifestante, è stato ucciso al mio
fianco. Appunto nella grande manifestazione contro la guerra del 27 ottobre
1962 a Milano, alle 18.30, in via Mengoni verso via Tommaso Grossi. Ero
allora critico musicale di "Stasera", e sulla sua uccisione scrissi il 29
ottobre, su quel giornale, un articolo in cui riferivo i fatti. «Al mio
fianco, sul marciapiede - così scrissi dopo aver precisato che la
manifestazione era ormai alla fine e in via Mengoni pochi gruppi di
manifestanti continuavano pacificamente a gridare "Cuba sì, Yankee no" - si
trovavano alcuni giovani. Ho visto una camionetta dirigersi velocissima
verso il gruppetto di giovani che si trovavano a pochi metri da me. Li ho
visti precipitarsi verso i negozi che erano alle loro spalle. Ho visto un
giovane, certamente l'Ardizzone, appiattirsi contro il muro e la camionetta
scagliarsi contro di lui, compiere un'evoluzione a pochi centimetri dal
muro e schiacciarlo contro di esso». Salvo aggiungere che dopo l'uscita
dell'articolo, io stesso fui coinvolto in una storia di nascondimento della
verità, che portò, anche in mancanza, nella procedura di indagine
giudiziaria ovviamente apertasi, della parte civile, all'archiviazione del
caso e all'attribuzione della morte di Giovanni Ardizzone ai manifestanti
in fuga, appunto durante gli ultimi scontri con la polizia, che l'avrebbero
travolto e calpestato fino a ucciderlo.

Ciò nella sentenza dell'aprile 1964. Alla quale peraltro subito si reagì,
per parte mia ribadendo su "l'Unità" la mia testimonianza, ma soprattutto
con la Direzione del Pci che incaricava Davide Lajolo, parlamentare, di
interrogare il Ministro dell'Interno sul falso che si voleva imporre,
ottenendo la risposta del resto obbligata, che in effetti, a indagine
compiuta, non risultava che la morte di Giovanni Ardizzone fosse avvenuta
come il giudice istruttore aveva sostenuto, in realtà senza prove a
sostegno della sua tesi.

Andava ricostruita nella sua verità la morte di Giovanni Ardizzone, perché
proprio con quello che le è seguito, è oggi più che mai importante la forza
di demistificazione dell'anticapitalismo, nella lotta sempre presente, anzi
crescente, che va conducendo per un altro mondo di giustizia, di
uguaglianza, senza la guerra. Appunto contro il falso, disumano, mondo
presente. Ma non a caso, a Cuba, a Giovanni Ardizzone, di certo a
simboleggiare tutti quelli morti come lui, è stata intitolata una scuola.
Un luogo, là, di formazione di vera coscienza

(tratto da Liberazione di oggi)