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A che cosa serve la diplomazia americana?



A che cosa serve la diplomazia americana?
di Farshid Nourai
Mentre i carri armati, gli Apaches e gli F-16 israeliani seminano morte e
distruzione, nei Territori Occupati, fallisce mestamente anche il tentativo
diplomatico dell'inviato americano. Il monito americano agli israeliani di
abbandonare i Territori Occupati trova solo una pernacchia da parte
israeliana.
Il presidente USA sorprendentemente vede il fallimento come una mezza
vittoria e lancia un severo avvertimento agli Europei: "solo gli americani
hanno la potenza e la possibilità di intervenire: gli altri contano poco".
Un rozzo ragionamento, lapidario, che affossa i principi della libertà e
della democrazia su cui lo stesso ordinamento americano è basato.

Mentre tutte le organizzazioni internazionali occidentali denunciano le
atroci violazioni dei diritti umani nei T.O., mentre il Segretario Generale
dell'ONU e la Comunità Europea riconoscono la necessità vitale dell'invio
di una forza internazionale per proteggere i civili, mentre il mondo intero
vede scorrere le immagini atroci dell'ecatombe che è diventato il Campo
profughi di Jenin, mentre la preoccupazione di ampliamento della guerra
opprime gli animi, gli americani vantano la loro politica e la loro
autorevolezza di mediazione. Un atteggiamento profondamente vile e
superficiale. Se la diplomazia non riesce a salvare le vite degli
innocenti, se non ha la capacità di imporre la ragione, se non trova
elementi per ostacolare i conflitti, se non può costruire la conciliazione,
se non difende i deboli, allora a che cosa serve?

Vedendo i risultati della politica americana nel Medio Oriente non è
difficile riconoscere, per l'osservatore imparziale, la loro totale
incapacità e il loro fallimento.

Che cosa facciamo con una politica di supremazia e prepotente? A cosa serve
una diplomazia che difende unilateralmente i suoi interessi in primis e gli
interessi dei suoi alleati a costo di infliggere grandi ingiustizie? E ciò
sacrificando le vite dei bambini, donne, uomini innocenti con l'unica colpa
di essere nati nella parte sbagliata del globo.

La verità è che nessuno può placare l'ira del Primo Ministro israeliano,
neanche il suo alleato più potente. La verità è che gli israeliani hanno
bisogno di tempo per liquidare i "terroristi" palestinesi. L'esercito
israeliano avrà a disposizione il tempo necessario, non importa quale sia
il costo delle vite umane. Questo è l'unico risultato del viaggio
dell'inviato americano: Non importa che alla base di questa necessità giace
un giudizio arbitrario in cui l'accusatore, il giudicante e il giustiziere
sono sempre la stessa identità.

Quale è il ragionamento perverso che si allinea con i principi della
democrazia cosi giustamente vantata? La diplomazia americana sempre più
assomiglia ad "un cane i cui movimenti sono stati comandati dalla sua coda
israeliana".

Nel frattempo l'esercito israeliano mantiene Arafat nel suo carcere e vanta
l'arresto di Marvan Barghuti, segretario generale di Al-Fatah in
Cisgiordania. Non c'è nulla di nuovo nell'atteggiamento israeliano ma, ciò
che stupisce, è come il mondo occidentale accetti incondizionatamente la
legge del più forte e legittimi le sue ragioni senza un minimo dubbio e
accusi quelli che resistono davanti a questa logica: parziale e unilaterale.

Se i palestinesi avessero avuto il potere di chiudere Sharon nel suo
palazzo e magari arrestare il Generale Mufaz, il Capo di Stato Maggiore
israeliano, per i crimini commessi nel campo profughi di Jenin, quale
sarebbe stata la reazione occidentale? Avrebbero accettato senza condizioni
o avrebbero avuto qualche dubbio?

Noi, che siamo stati in Palestina, ancora dopo giorni sentiamo la voce del
bambino, che invoca disperatamente aiuto al telefono, chiuso in una casa di
Bethlehem, con i cadaveri della madre e del fratello maggiore. Un grido
d'aiuto dirompente che ha dilagato nell'inettitudine nelle nostre anime.

Abbiamo bene presente la sensazione di impotenza che abbiamo provato
dinanzi ad una guerra feroce contro civili, l'ingiustizia che abbiamo
vissuto e l'aria di disperazione che abbiamo respirato.

Siamo stati sommersi dalle centinaia di voci che chiedevano aiuto. Non
avevamo né forza né un mandato per un vero intervento. E' frustrante
ricevere la richiesta di aiuto ed essere incapaci di intervenire. Fa molto
male rappresentare una speranza negli occhi degli oppressi e non poter
superare gli ostacoli. Aggrappati al telefono abbiamo urlato, minacciato,
pregato, implorato e supplicato le organizzazioni internazionali presenti
nel luogo, di intervenire. Ma, la potente ira dell'esercito israeliano
ostacolava anche loro, malgrado essi siano protetti dalle convenzioni
internazionali. Non ci è stato possibile portare i feriti all'ospedale,
liberare i bambini dalle macerie, fornire medicinali, distribuire cibo e
acqua ai diseredati civili, rimasti sotto un coprifuoco permanente per
giorni. Portare una medicina, per salvare la vita di un bambino dal campo
profughi di Aida all'ospedale della Caritas, ad una distanza di 1 km, è
stato oggetto di 5 ore di trattative. Alla fine, solo il coraggio degli
attivisti internazionali, a rischio della loro vita, è riuscito a compiere
la missione.

Ciò che ci ha sconvolto in questa aggressione, oltre alle numerose vittime,
è l'inaudita violenza, applicata indiscriminatamente ai civili, di fronte
alla quale, la quarta Convenzione di Ginevra è solo un ricordo misero e
calpestato dai carri armati, che, per scovare chi cercano, non esitano a
distruggere interi palazzi sulla testa di abitanti inermi. Tra le macerie,
i feriti muoiono lentamente, attendendo invano le ambulanze che, però, non
arriveranno mai. I bambini si spengono nel loro silenzio, terrorizzati dal
rombo dei carri armati e dal frastuono degli elicotteri Apaches.

Malgrado tutto ciò non abbiamo mai pensato di avere la chiave della verità.
Comprendiamo anche lo stato d'anima dei civili israeliani. Una società
ferita martoriata che fatica a raccogliere le idee, schiava di una
propaganda seviziante coltiva l'odio senza una vera ragione. Le orrende
bombe suicide, i corpi dilaniati affossano la ragione nell'oblio. Il
pensiero dominante presenta nemici da per tutto e estremizza la questione
tra la morte e la vita. Utilizza la storia come l'arma del ricatto e brucia
il dialogo prima dell'inizio. In questo scenario, l'intelligenza umana
perde la sua raffinatezza nel distinguere i colori, come se fosse tutto
nero o bianco. Solo pochi riescono ad attraversare il muro dell'odio e a
giungere alla verità della causa. Essi rappresentano la vera speranza.

 Se la diplomazia mondiale non riesce a creare i punti di contatto, a
mediare, a plasmare una clima di conciliazione, a difendere i diritti
universali dell'uomo e la legalità internazionale, allora siamo all'inizio
del declino dell'intera civiltà.