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VoiceOfPalestina - Israele, terrorismo di stato
La distruzione della radio palestinese ennesimo atto del
terrorismo di stato di Israele
Giancarlo Lannutti - Lib 20/1/2002
Le drammatiche immagini, trasmesse ieri da tutte le reti
televisive, dei soldati israeliani che a Ramallah minano
sistematicamente, piano per piano, il palazzo della
stazione radio "Voce della Palestina" e poi lo fanno
saltare in aria risultano più eloquenti di mille discorsi o
di mille articoli; agli occhi della mente ritornano le
analoghe immagini di quasi tre anni fa, della Televisione
serba bombardata dagli aerei della Nato. La logica
dell'aggressione è sempre la stessa e si esprime nella
volontà di tappare la bocca della vittima, di toglierle
ogni possibilità di far sentire la sua voce e di denunciare
l'ingiustizia e la violenza subite. Il governo israeliano
sostiene che azioni come quella di ieri mattina rientrano
nella legittima difesa contro il terrorismo, ma l'infamia
commessa a Ramallah non ha nulla a che vedere con la lotta
al terrorismo; al contrario, è proprio essa a configurare
un vero e proprio terrorismo di Stato. Con l'aggravante
della recidiva, poiché bisogna ricordare che già alla metà
del dicembre scorso gli "eroi" di Sharon si erano accaniti
con missili, dinamite e bulldozer contro la grande antenna
di quella stessa stazione radio. Accanto allo sdegno non si
può non sentire anche una profonda tristezza. Quando si
prendono così brutalmente di mira i mezzi di informazione,
la loro gente, le loro strutture si attenta alle radici
stesse della democrazia e del vivere civile. Naturalmente
non c'è da sorprendersi, Sharon ci ha abituati a ben altro.
Ma in questo caso gli va riconosciuto un merito, certamente
involontario: quello di aver fatto piazza pulita, con un
sol colpo, della stucchevole favola di Israele unica
democrazia del Medio Oriente. Se mai lo è stata, ormai da
tempo - e certamente oggi, imperante Sharon - quella di
Israele è una democrazia a senso unico, per soli ebrei (e
neanche per tutti, perché anche all'interno della società
israeliana ci sono cittadini di prima e di seconda
categoria); agli altri, inclusi i cittadini arabi dello
Stato ebraico, sono riservate arroganza razzista,
sopraffazione e violenza. Valga per tutti l'esempio del
deputato arabo Azmi Bishara al quale è stata revocata
l'immunità parlamentare per il suo appoggio all'Intifada e
la sua denuncia della violenza anti-palestinese. Si delinea
così con evidenza un lucido disegno di annientamento non
solo e non tanto dell'Autonomia palestinese scaturita dagli
accordi di Oslo (che Sharon, non dimentichiamolo, ha sempre
definiti una tremenda sciagura) ma della stessa identità
nazionale del popolo palestinese, con la logica conseguenza
di mettere una pietra tombale su qualsiasi prospettiva di
uno Stato palestinese indipendente e sovrano. Le fasi di
questa strategia sono sotto gli occhi di tutti: la
distruzione delle infrastrutture e delle istituzioni
dell'Anp, a cominciare dalle forze di sicurezza e dalle
loro sedi; la devastazione dell'aeroporto e del porto di
Gaza; il blocco assoluto e la parziale rioccupazione delle
città autonome in modo da rendere insopportabile la vita
quotidiana della gente; la sistematica distruzione di
centinaia di case di abitazione, di migliaia di alberi, di
estese aree coltivate; infine, l'attacco diretto a Yasser
Arafat, al suo ruolo, alla sua stessa persona, fino al
punto di minacciare apertamente la sua incolumità fisica.
Tutto ciò, ripetiamo, non ha nulla a che vedere con la
lotta al terrorismo, come del resto hanno riconosciuto
anche l'Europa e l'Onu e perfino (sia pure a mezza bocca e
in modo ambiguo) qualche esponente dell'Amministrazione
Bush. La distruzione della stazione radio di Ramallah è un
po' come il suggello finale, la firma del reo in calce
all'atto di confessione. Ed è certamente confortante ed
altamente simbolico il fatto che la "Voce della Palestina"
abbia ripreso ieri stesso a trasmettere da una sede di
fortuna. Sul palcoscenico della storia e di fronte al
tribunale della civiltà gli aggressori sono sempre
sconfitti, anche quando la loro violenza sembra prevalere.
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