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Il diritto di ritorno è vivo
Roma 21.01.2002
Il diritto di ritorno dei rifugiati palestinesi rimane uno dei nodi
cruciali della questione israelo - palestinese. Una pace giusta e duratura
è sicuramente vincolata alla soluzione di tale questione.
La terribile situazione attuale molto spesso offusca l'ancor più tragica
situazione in cui vivono i rifugiati palestinesi nei campi profughi di
Cisgiordania, Gaza, Libano, Giordania e Siria.
Il nostro dovere è quello di ricordare, sempre ed in ogni luogo, il diritto
inalienabile dei rifugiati.
Per questo motivo posticipiamo l'invio della seconda parte delle nostre
riflessioni di ritorno dalla Palestina e inviamo un articolo del Dr. Salman
Abu Sitta che, con molta chiarezza, analizza la questione dei rifugiati
palestinesi nell'ambito della legalità internazionale.
IL Dr. Salman Abu Sitta, già membro del Consiglio Legislativo Palestinese,
è uno dei maggiori ricercatori sul problema dei profughi, il fondatore del
"Palestine Land Society" e il direttore del "International Development and
Construction Projects" http://www.palestineremembered.com.
Ringraziamo Susanne Scheidt per la traduzione.
Farshid Nourai
Gruppo Palestina - Associazione per la Pace
Il diritto di ritorno è vivo e sta in piedi
di Dr. Salman Abu Sitta
ole complementari sono diventate parte integrante della narrativa
palestinese durante gli ultimi 53 anni: Al Nakba ed il Diritto di Ritorno.
Queste parole costituiscono i due lati di un'unica moneta, l'uno
rappresenta il peccato originale, l'altro ne rappresenta l'espiazione.
Al Nakba è la più grande, la meglio preparata e la più lunga operazione di
pulizia etnica nella storia moderna. La popolazione di ben 530 comuni e
villaggi è stata espulsa nel 1948, svuotando il paese che diventerà Israele
del 85% dei suoi abitanti palestinesi. Coloro che non subivano questo
destino, cioè gli abitanti del resto della Palestina, si trovano
attualmente sottoposti alla più brutale, più lunga occupazione nel mondo,
unica del suo genere.
La determinazione dei palestinesi di insistere sul loro diritto di ritorno
durante tanti anni di ineguagliabile ostilità mossa nei loro confronti, è
unica nella storia. Perciò gli sforzi infaticabili da parte di Israele di
corrodere questa determinazione. Gli argomenti per arrivarci sono rimasti
invariati da quando il Governo Provvisorio di Israele, incalzato dalla
conquista di vasti territori, decise nel giugno 1948 di dichiarare
pubblicamente la sua intenzione di usare ogni mezzo per impedire il ritorno
dei profughi. La prima vittima di questa politica fu - a parte i profughi
stessi - il Conte Volke Bernadotte, che fu assassinato; il suo "lascito"
politico sarà la famosa Risoluzione n° 194 (III), paragrafo 11 del
11.12.1948, emanata all'indomani della promulgazione della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo (UDHR).
Sul suolo palestinese, Israele aveva espulso i profughi, commesso massacri,
sparato a chi cercasse di tornare ("infiltratori"), distrutto villaggi,
bruciato le coltivazioni, importato immigrati e confiscato le proprietà dei
profughi (il 92% di Israele).
Sul piano della propaganda, Israele creò nuovi miti (la "Palestina è un
paese senza popolazione"), quali: il ritorno dei profughi non sarebbe
possibile, i confini si sarebbero persi, il paese sarebbe colmo ed il
ritorno dei palestinesi "inquinerebbe il carattere ebraico" dello stato.
Nessuno di questi miti regge ad un esame serio o potrebbe essere accettato
per giustificare la violazione di diritti umani.
Nell'interpretazione legale della Risoluzione n° 194, si è cercato
sotterfugi definendo tale Risoluzione una "raccomandazione" oppure mettendo
in dubbio il significato di "paese" e di "dimora". Senza un esame serio di
queste rivendicazioni, e sotto il pretesto di volere "essere pragmatici",
alcuni ufficiali ed accademici palestinesi hanno adottato questi pareri
israeliani. Uno scambio libero di idee è assolutamente salutare. Non lo è
però il tentativo di scardinare diritti inalienabili.
Le idee tanto pubblicizzate di Sari Nusseibeh, presentate inizialmente, 10
anni fa in società con il suo co-autore del Likud israeliano, Mark Heller,
possono essere riassunte in poche parole: il diritto "riconosciuto" di
ritornare potrà essere realizzato con un ritorno dei profughi nel nuovo
stato della Palestina (ad incerta definizione) sicché i palestinesi
dovrebbero essere cittadini del loro proprio stato (etnico) così, come gli
israeliano del loro (ebreo).
Proposte del genere stravolgono sia il concetto di sovranità su un
territorio - un concetto politico e negoziabile - che il diritto di ritorno
che è un diritto inalienabile e non ha nulla da vedere con il territorio in
questione. Diritto di ritorno e sovranità sul territorio non sono in alcun
modo legati. Inoltre, non esiste nella normativa internazionale un concetto
di uno stato "ebraico" o di un popolo ebraico. Il Piano di Spartizione del
1947 (Risoluzione 181), sulla base del quale fu dichiarato lo stato di
Israele ripudia chiaramente ogni concetto del genere dichiarando, agli
articoli 2 e 3, la protezione di tutti i diritti politici e civili della
"minoranza" araba nello stato degli ebrei e viceversa. Lo stato sarebbe
dovuto proteggere tutti i suoi cittadini, chiunque fossero. Ma Israele si
dichiara di essere lo stato di coloro che non sono i suoi cittadini (gli
ebrei sparsi nel mondo) e non invece, lo stato dei suoi cittadini (i
palestinesi in Israele). Questo concetto razzista è in contrasto con la
legalità internazionale e non può essere accettato.
I tentativi di mettere in discussione la validità della Risoluzione n° 194
sono solo una perdita di tempo, visto che è sostenuta dall'opinione
prevalente degli esperti di diritto. La Risoluzione n° 194 dell'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite non è un'invenzione, bensì l'applicazione
della legalità internazionale. Perciò essa è stata riconfermata ben 135
volte dall'ONU, un caso unico nella storia dell'ONU e fa capo, inoltre,
alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo nonché ad analoghe
convenzioni europee, americane ed africane. Infine, essa deriva
dall'inviolabilità della proprietà privata che non si estingue ne col
passare del tempo, ne con l'occupazione e non di certo con cambiamenti
della sovranità.
Contrariamente a certe interpretazioni errate, la Risoluzione n° 194, in
linea con la Legge sulla compensazione, richiede il ritorno e (non
"oppure") la compensazione, quest'ultima in considerazione delle perdite e
dei danni subiti in presenza del ritorno, o in sua assenza.
La Risoluzione n° 242 non ha mai cancellato la Risoluzione n° 194, il che
risulta chiaramente e senza equivoco dai continui riferimenti alla n° 194
fatti perfino all'ultima Assemblea Generale del novembre-dicembre 2001. I
punti della Risoluzione n° 242, che si riferisce solamente agli esiti della
guerra del 1967 che chiedono "una giusta soluzione della questione dei
profughi della guerra", semplicemente rimandano per la delibera in materia
a Risoluzioni preesistenti ed alla legalità internazionale.
L'autore di un articolo apparso sul Jordan Times il 30.12.2001 espone un
argomento che viene presentato spesso dagli israeliani, cioè, che a suo
tempo gli arabi avrebbero votato contro la Risoluzione n° 194. Occorre
sapere perché e come.
Gli stati arabi (Egitto, Iraq, Libano, Arabia Saudita, Siria, Yemen - la
Giordania non viene menzionata) e l'Unione Sovietica votarono contro la
Risoluzione intera (non contro il suo paragrafo 11 - il diritto di ritorno)
perché il pacchetto contiene numerosi punti ambigui ed inaccettabili. La
Risoluzione n° 194 contiene 15 paragrafi, dei quali il paragrafo 11 si
occupa del ritorno dei profughi nell'ambito di un piano comprensivo di tre
elementi: 1) permettere loro di ritornare ed essere compensati, 2) portare
assistenza ai profughi, in seguito adempiuto da parte dell'UNRWA e 3)
facilitare il rimpatrio e la riabilitazione dei profughi.
Altre clausole si riferiscono alla questione dell'internazionalizzazione di
Gerusalemme, lo "sviluppo economico dell'area" in termini piuttosto vaghi,
mentre nessun riferimento fu fatto alle allora recenti (parliamo
dell'ottobre-novembre 1948) nuove conquiste di Israele che incrementarono
l'area occupata dal 25% al 60% dell'area di Israele. Il contesto generale
della Risoluzione sembra appoggiare la risoluzione della spartizione (già
ripudiata dagli arabi perché attribuiva il 54% del paese alla minoranza
ebrea che controllava soltanto il 6% della Palestina), ma, ciò che era
peggio, senza definire in alcun modo i confini certi di Israele ed
implicando così, il condono preventivo per un'espansione illimitata dalla
parte di Israele.
Gli arabi non hanno mai rifiutato il paragrafo 11, come risulta chiaramente
dagli atti della conferenza di Lausanne nel 1949. In effetti, gli arabi
all'epoca accettarono Israele come stato, facendo una concessione notevole,
mai sottolineata a dovere, ma lo fecero a condizione che ai profughi fosse
concesso di ritornare a casa loro. Il Protocollo di Lausanne, firmato il 12
maggio 1949 constata questo chiaramente e contiene un allegato con il Piano
di Spartizione del 1947 come base per le discussioni. Dalla corrispondenza
diplomatica americana e dal Protocollo della Conferenza del 12 maggio 1949
risulta che per gli arabi il prerequisito per il riconoscimento di Israele
è il ritorno dei profughi. L'unica eccezione, secondo queste corrispondenze
diplomatiche (vedi Burdett, 12 febbraio 1949, FRUS 1949, pp. 744-746) era
la Giordania che accettò di risistemare i profughi sul suo territorio, ma
chiedendo Israele di ritirarsi da una maggiore fetta del territorio
palestinese in modo da potervi insediare più rifugiati.
Intanto, tutta la questione del voto arabo sulla Risoluzione n° 194 è
piuttosto sterile. Ci si potrebbe domandare: che differenza fa ? il diritto
di ritorno è un diritto individuale al quale soltanto gli individui
interessati possono rinunciare personalmente. Per via dell'estensione
all'autodeterminazione, tale diritto è un diritto collettivo.
Per quanto riguarda la legge internazionale umanitaria circa il trattamento
di civili in periodo di guerra, tale legge è applicabile ai fatti di Al
Nakba ed ai fatti dell'odierna occupazione della West Bank e di Gaza. La
minaccia di applicare lo Statuto di Roma del 1998 che attribuisce ai coloni
ebrei, agli ufficiali dell'esercito israeliano ed ai funzionari del governo
israeliano la fattispecie di criminali di guerra, dovrebbe, qualora
espressa, costituire un deterrente serio alle atrocità di Israele.
A prima vista, il Diritto di Ritorno rimane l'orientamento di fondo per i
profughi palestinesi,con o senza le risoluzioni dell'ONU.
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Associazione per la Pace
Gruppo Palestina
Via Salaria, 89 00198 Roma
Tel. +39 - 068841958
La pace non è solo l'assenza della guerra, è una virtù, uno stato della mente,
una disposizione alla benevolenza, confidenza, giustizia.
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