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modifiche al codice militare di guerra



MODIFICHE AL CODICE MILITARE DI GUERRA

On. Elettra Deiana (Capogruppo PRC Commissione Difesa della Camera)


La guerra genera mostri e, nell'epoca delle "Libertà infinite" e delle
giustizie senza confini di tempo e di luogo, rischia di produrre guasti
inenarrabili, di non conoscere limiti di sorta. Siamo alla fase della più
completa destrutturazione della Costituzione attraverso l'attivazione di un
processo di banalizzazione della Carta del '48. La Costituzione c'è ma è un
optional, una norma tra le tante che non costituisce nessun vincolo.
La partecipazione di un corpo di spedizione italiano alla cosiddetta guerra
contro il terrorismo, in realtà in tutto e per tutto guerra contro
l'Afghanistan e contro la popolazione civile di quel Paese, è stata così
accompagnata da una rilevante e negativa novità, sotto il profilo normativo.
Per la prima volta, dal 1945, nell'ordinamento giuridico italiano è entrato
di nuovo in vigore il Codice penale militare di guerra. Mentre per tutte le
precedenti missioni all'estero compiute dalle forze armate italiane, dalla
guerra del Golfo, all'intervento in Somalia, a quello in Bosnia e a quello
nel Kossovo, è stata sempre emanata una norma speciale che, in deroga a
quanto previsto dall'art. 9 del Codice penale militare di guerra, prevedeva
che alla missione militare italiana all'estero dovessero applicarsi le norme
del codice penale militare di pace. Molti giorni dopo il voto del Parlamento
sulla partecipazione italiana, è stato emanato un decreto legge (1° dicembre
2001 n. 421), recante norme urgenti per la partecipazione di personale
militare all'operazione multinazionale denominata "Enduring Freedom". Che
prevede che al "Corpo di spedizione italiano" si applica il codice penale
militare di guerra, con esclusione delle disposizioni di natura processuale.
Nello stesso giorno il Governo ha presentato al Senato un disegno di legge
(S 915) avente ad oggetto modifiche al codice penale militare di guerra.
Tali modifiche si riducono a ben poca cosa e lasciano interamente in piedi
l'impianto normativo e ideologico del codice penale militare di guerra, ivi
compresa la giurisdizione dei Tribunali speciali militari, che invece il
decreto legge ha disapplicato, considerandola incostituzionale, e tuttavia
introducono due peggioramenti significativi. Il primo è che viene ampliata
la portata dell'art. 9, prevedendo che in caso di missioni all'estero (anche
in tempo di pace), le disposizioni del codice penale militare di guerra si
applicano non solo al Corpo di spedizione, ma anche al personale militare
che svolge compiti di supporto nel territorio nazionale. Il secondo è che
viene reintrodotto il cosiddetto "reato militarizzato", vale a dire una
disposizione che sottopone alla competenza dei Tribunali militari i reati
comuni commessi dai militari, che nell'ordinamento italiano era stato
cancellato nel lontano 1956. Peraltro il "reato militarizzato" viene
introdotto con una ampiezza molto più estesa di quella vigente durante la
seconda guerra mondiale.
Non è un caso che il disegno di legge per la conversione del decreto legge
Enduring Freedom ed il disegno di legge per le modifiche al codice penale
militare di guerra siano stati presentati contestualmente, in quanto sono
funzionali l'uno all'altro ed esprimono un unico indirizzo che punta al
recupero ed alla riutilizzabilità ordinaria delle leggi di guerra di cui la
storia si era vergognata per il loro carico di tragiche assurdità.
La cultura e la logica della guerra sono infatti inesorabili, invadono il
cuore e le menti non solo degli addetti ai lavori ma, a lungo andare, della
stessa società civile, che rischia di rimanere inerte di fronte
all'accumularsi una sull'altra di tutte le possibili violazioni della
legalità costituzionale. Il Codice penale militare di guerra risale al 1941,
in piena guerra fascista e ben prima della Costituzione. E' rimasto là per
decenni perché l'Italia si era sottratta costituzionalmente al ricorso alla
guerra mettendone in Costituzione il ripudio. Oggi, ripudiato l'articolo 11
e violate tutte le regole del diritto internazionale. Rispunta non a caso un
codice solo all'apparenza di altri tempi. I tempi sono quelli della guerra,
quindi attualissimi. Ben lo sanno i ministri Martino e Castelli,
presentatori del disegno di legge 914.
Sono entrambi consapevoli che il loro Disegno di legge è in contrasto con la
Costituzione. Lo ammettono nella loro relazione ma vanno avanti. La
Costituzione? Carta straccia.
Quello che appare assolutamente inaccettabile è il fatto che, seppure
introducendo delle limitatissime modifiche migliorative, il disegno di legge
di riforma del codice penale militare di guerra, ne lascia sostanzialmente
immutato l'impianto ideologico e culturale e l'ispirazione di fondo,
malgrado la palese incostituzionalità e inciviltà di tale ordinamento. Per
di più il disegno di legge, riconfermando ed ampliando la portata
dell'articolo 9 fa si che l'applicazione dell'ordinamento militare di guerra
diventi un fatto usuale, se non di routine, ove si consideri che le Forze
armate del nostro paese sono impegnate in numerose missioni militari
all'estero. In questo modo viene rilegittimato l'intero impianto del Codice,
e viene dato di nuovo vigore a norme estremamente pericolose per la vita
democratica ed inammissibili dal punto di vista costituzionale, come l'art.
5, che dà al Governo la facoltà di dichiarare applicabile le legge penale
militare di guerra anche in tempo di pace, o l'art. 10, che prevede
l'applicazione della legge penale militare di guerra ad operazioni militari
per motivi di ordine pubblico. Per non parlare delle norme che cancellano il
diritto al dissenso e ad una informazione non addomesticata, come l'art. 76
che punisce la divulgazione di notizie diverse da quelle ufficiali, o l'art.
80 che punisce la pubblicazione di critiche o scritti polemici sulla guerra
o l'art. 87 che punisce la denigrazione della guerra. Viene inoltre
riconfermata la validità di una giurisdizione speciale, i cui giudici sono
privi di ogni elementare requisito di indipendenza ed imparzialità e le cui
sentenze non sono ricorribili in Cassazione.






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