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Palestina - Action for Peace: 29/12 - MISSIONE A NABLUS



Care amiche ed amici,
sono appena tornata dalla Palestina e ho ritrovato la calma necessaria per
riordinare i miei appunti. Vi mando una serie di allegati con i resoconti
dei diversi giorni, scusandomi se ci sono delle ripetizioni rispetto a
quello già mandato da Nadia Cervoni. Spero che circolino presto anche altri
resoconti: eravamo più di duecento e spesso ci sono state attività
parallele. Credo che dall'incrocio dei diversi racconti possano emergere
una o più linee di azione comune per il prossimo futuro.
Un saluto Silvia



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ACTION FOR PEACE  27 dicembre 2001-3 gennaio 2002
da Silvia Macchi
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Gerusalemme, 29 dicembre 2001
MISSIONE A NABLUS

Nella giornata del 29 dicembre, la delegazione italiana, composta di oltre
200 persone, si è divisa in tre gruppi con mete e programmi differenti. Una
cinquantina di persone sono andate a manifestare al check point tra
Ramallah e l'università di Birzeit, insieme agli studenti palestinesi e a
pacifisti nordamericani e francesi. Una trentina si è unita alla
delegazione belga e si è recata a visitare i luoghi di origine dei
rifugiati palestinesi (Haifa ed altri villaggi in territorio israeliano).
Il resto della delegazione, con una consistente componente sindacale, si è
recata a Nablus insieme ad una cinquantina di francesi e belgi.
Il viaggio di andata, iniziato alle 8 e 30, è durato molto più del previsto
perché i pullman sono rimasti fermi più di un'ora al check point di Nablus.
Motivo del contendere è stata la presenza di tre ragazzi palestinesi,
volontari del PNGO incaricati di accompagnarci. I soldati israeliani, dopo
aver controllato il passaporto ad ognuno di noi, proponevano di farci
continuare a piedi sulla strada principale mentre i pullman con i tre
palestinesi ci avrebbero raggiunto più tardi, attraverso una strada
secondaria aperta ai palestinesi. La proposta è sembrata inaccettabile e
soprattutto poco credibile. Chi ci assicurava che i palestinesi avrebbero
potuto effettivamente raggiungerci, una volta che non erano più tutelati
dalla nostra presenza? Davanti al nostro rifiuto e dopo una mezz'ora di
ulteriori discussioni, i soldati ci fanno passare tutti, palestinesi
compresi.
Arriviamo a Nablus a mezzogiorno e troviamo moltissime persone ad
aspettarci: autorità, sindacalisti, famiglie dei martiri, attivisti ed
attiviste vecchi e giovani, studenti, ecc. Ci accolgono nella grande sala
della sede del sindacato, un edificio recente e ben attrezzato realizzato
grazie ai finanziamenti di diverse organizzazioni sindacali europee. Sul
palco si succedono velocemente alcuni rappresentati delle società civile
palestinese e il governatore di Nablus. Quindi ci viene chiesto di
raggiungere l'università per unirci ad una manifestazione degli studenti
contro alcune postazioni militari israeliane vicinissime alle case
palestinesi. Una volta sul posto, ci rendiamo conto dell'incredibile
situazione di vessazione cui sono sottoposti gli abitanti di Nablus.
La cosiddetta "strada secondaria", unico accesso alla città aperto ai
palestinesi, è un viottolo sterrato che scende piuttosto ripidamente dalla
cima di una delle montagne che circondano la vallata in cui sorge Nablus.
Chi vuole uscire, quindi, deve salire in auto in cima alla montagna, poi
discendere il viottolo a piedi per circa 500 metri, fino a raggiungere
un'altra auto o un autobus. Alcuni asini vengono utilizzati per i bagagli
più pesanti, ma in genere pacchi e bambini vengono portati a forza di
braccia. Ma questo ancora è quasi normale per chi vive nei territori. La
cosa veramente spaventosa sono i carrarmati che sostano su un pianoro che
sovrasta il viottolo. Di là i soldati si "divertono" a terrorizzare
chiunque passa, sparacchiando di tanto in tanto ed obbligando i malcapitati
ad abbandonare il loro carico sulla strada per ripararsi nel vicino dirupo.
E questo tutti i minuti di tutti i giorni. Naturalmente esiste una
"motivazione ufficiale": i carrarmati proteggono l'insediamento di coloni
sorto poco lontano.
Insieme agli studenti e ad un buon numero di donne e uomini palestinesi, le
delegazioni straniere percorrono il viottolo e risalgono verso i
carrarmati. Davanti un cordone di stranieri, dietro i ragazzi palestinesi,
dietro ancora un misto di stranieri e palestinesi. A cinquanta metri dai
carrarmati, il corteo viene fermato da raffiche di mitra sparate a terra.
Si indietreggia, qualcuno scappa, i ragazzi palestinesi passano in testa.
Poi ci si ricompatta e si torna ad avanzare. Ogni sparo o rombo di motore è
accolto da fischi e slogans, ma tutti si abbassano per paura dei
proiettili. Il mio vicino, palestinese, mi dice che ad ogni manifestazione
ci sono dei feriti e spesso anche qualche morto. Questo spiega la presenza
di ben tre ambulanze alle nostre spalle  e di  alcuni giovanissimi
barellieri (e tra loro molte ragazze) che accompagnano il corteo, pronti ad
intervenire.
Tra spari e grida, il mio vicino ed io iniziamo a discutere. Gli dico che
noi non vogliamo assolutamente altri "martiri", che davanti ci sono troppi
ragazzi giovani e che dobbiamo fare qualcosa. Lui mi risponde che i
palestinesi devono combattere e che i "martiri" sono il prezzo necessario
di questa lotta. Io ribatto che dobbiamo trovare altre forme di lotta
perché non trovo accettabile la morte di tante giovani persone. Nonostante
la distanza delle nostre posizioni, i toni sono molto pacati. Intanto che
parliamo, lui si preoccupa di farmi abbassare ogni volta che si sente uno
sparo. Io gli chiedo se mi può far capire un po' meglio dove ci troviamo e
che cosa sta succedendo..
La manifestazione dura circa un'ora. Ci ritiriamo senza problemi,
chiacchierando tra noi, scherzando anche, mentre l'ennesimo carrarmato
prende posizione accanto gli altri. Per un'ora una interminabile colonna di
persone, di tutte le età e carica di ogni sorta di bagaglio (pacchetti e
pacconi, lattine, sacchetti di plastica, bottiglie, sacchi di iuta,
valigie, ecc.), ha percorso il viottolo in tutta fretta, senza mai
fermarsi, approfittano della nostra presenza davanti ai carrarmati. Per
un'ora abbiamo garantito loro di poter percorrere poche centinaia di metri
senza rischi. Ce ne andiamo soddisfatti ma io non posso fare a meno di
chiedermi se non faremmo meglio a restare.