[Pace] "Ci siamo finalmente stancati di questo fervore militare". Lo sguardo disincantato di uno scrittore sulla guerra in Ucraina



La stanchezza della guerra nello scrittore e soldato ucraino Artem Chekh

"Ci siamo finalmente stancati di questo fervore militare, proprio come ci siamo stancati di questa guerra senza fine. Ci siamo stancati persino di noi stessi. E questa non è una cosa negativa. Le persone non possono vivere in uno stato di continuo sconvolgimento. Siamo diventati pragmatici e razionali. Siamo gli unici simboli che abbiamo".

Queste parole sono state scritte da Artem Chekh, scrittore e soldato ucraino, autore di numerosi romanzi e saggi che riflettono sulle trasformazioni della società e sull'impatto devastante della guerra. Nato nel 1985, Chekh ha vissuto in prima persona il conflitto iniziato nel 2014 con l'annessione della Crimea e intensificatosi nel 2022 con l'invasione su larga scala della Russia. Arruolatosi volontario nelle forze armate ucraine, ha raccontato la realtà del fronte con uno sguardo lucido e disincantato, mettendo in discussione le narrazioni eroiche e il fervore patriottico.

La sua esperienza di soldato emerge con forza nel libro Absolute Zero, un resoconto sulla guerra nel Donbass che rompe con la retorica bellicista e mostra il lato più umano e fragile dei combattenti. Non eroi, ma uomini che resistono alla disumanizzazione, che convivono con la paura e la fatica, e che alla fine si scoprono stanchi.

La stanchezza della guerra

La stanchezza evocata da Chekh non è solo fisica, ma esistenziale. Non è la semplice fatica del combattente, ma il logoramento di un'intera società trascinata in un conflitto senza fine, in cui la guerra diventa la norma, la mobilitazione permanente sostituisce la vita civile e il patriottismo si trasforma in un dogma da cui è impossibile dissentire senza essere accusati di tradimento.

La guerra, quando dura troppo a lungo, divora anche i suoi stessi simboli. All'inizio, l’entusiasmo patriottico può fungere da collante sociale, ma col tempo si trasforma in un peso. Ci si stanca di slogan, di appelli all’unità, di sacrifici senza prospettiva di un vero cambiamento. Il patriottismo, che in tempo di pace può essere un sentimento identitario positivo, in guerra rischia di diventare un’arma di controllo, un meccanismo per reprimere il dissenso e nascondere le contraddizioni di una società militarizzata.

Essere gli unici simboli di sé stessi

Chekh conclude con un'affermazione significativa: "Siamo gli unici simboli che abbiamo". Forse è una presa di distanza da una narrazione collettiva che impone ai soldati di essere icone di un sacrificio necessario. Forse è un invito a ritrovare la propria umanità oltre i simboli della guerra.

Il pacifismo ha sempre guardato con sospetto alla retorica che esalta la guerra come destino inevitabile. E le parole di Chekh sono la conferma che, anche dentro il conflitto bellico, esiste una resistenza interiore alla militarizzazione totale della vita. Quando i soldati si stancano della guerra, forse è il momento per le società di fermarsi e ripensare le proprie priorità.

PeaceLink continuerà a dare voce a chi, come Artem Chekh, testimonia la realtà della guerra al di là della propaganda. E a ricordare che la pace non è solo un’aspirazione, ma una necessità per la sopravvivenza dell’umanità.

Alessandro Marescotti a.marescotti at peacelink.org