[Pace] Sale la tensione in Kosovo: la minoranza serba viene privata delle sue strutture amministrative parallele
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- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.org>
- Date: Thu, 30 Jan 2025 17:02:45 +0100
Perché non si parla più del Kosovo?
Proprio così: non si parla più di Kosovo. Dopo aver sganciato le bombe Nato sui cattivi, l'Europa e gli Stati Uniti hanno raccontato al mondo che i buoni avevano vinto e che il conflitto era finito: tutto era sostanzialmente tornato a posto. E vissero felici e contenti, verrebbe da dire. E invece forse così non è. Quindi meglio non parlarne.
Anche perché i "buoni" dell'UCK - che la Nato ha appoggiato - non sono certo andati in paradiso. Infatti alcuni leader dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), tra cui l'ex presidente Hashim Thaçi, sono stati accusati di crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Le accuse comprendono uccisioni, torture, rapimenti e trattamenti disumani durante e dopo il conflitto del Kosovo tra il 1998 e il 1999. Un rapporto del 2010 del senatore Dick Marty ha sollevato gravi accuse contro i leader dell'UCK, inclusi presunti omicidi e traffico di organi umani a fini di lucro, che hanno suscitato notevole indignazione internazionale.
Per chi volesse approfondire c'è molto da leggere. Ad esempio:
Kosovo: al via processo a ex presidente Thaci per crimini guerra e contro l'umanità | Euronews https://search.app/FPtSLo2HWFqaYwpTA
Insomma, a suon di bombe la Nato ha fatto vincere proprio delle brave persone. E così sia. La storia che è stata raccontata è più o meno questa. Manzoni scriverebbe:
"Ma m'è parso che, essendo cose intralciate, cose vecchie e senza rimedio, fosse inutile di rimestare..."
Veniamo dunque a quello che sta succedendo in queste settimane.
Sale la tensione in Kosovo
A metà gennaio 2025, il governo del Kosovo ha intrapreso un'azione decisiva contro le cosiddette "istituzioni parallele" serbe operanti nel paese.
Queste strutture, finanziate e gestite dalla Serbia, includevano uffici postali, agenzie fiscali e amministrazioni locali situate in dieci municipalità del Kosovo a maggioranza serba.
Le autorità kosovare hanno chiuso tali istituzioni, dichiarando che operavano illegalmente all'interno del territorio nazionale.
Il ministro dell'Interno del Kosovo, Xhelal Sveçla, ha affermato che "l'era delle istituzioni parallele serbe" è giunta al termine, sottolineando l'intenzione del governo di esercitare pienamente la propria sovranità su tutto il territorio nazionale.
Questa mossa ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale.
La Francia ha espresso rammarico per la chiusura unilaterale di numerose istituzioni parallele serbe, sottolineando che tale decisione avrà un impatto negativo sulla vita quotidiana della popolazione serba del Kosovo e potrebbe compromettere gli sforzi in corso per normalizzare le relazioni tra Kosovo e Serbia attraverso il dialogo mediato dall'UE.
La chiusura di queste istituzioni ha alimentato ulteriormente le tensioni tra la comunità serba e il governo di Pristina.
La minoranza serba, che rappresenta una parte significativa della popolazione in alcune aree del Kosovo, si trova ora privata di servizi amministrativi che erano stati istituiti per rispondere alle loro esigenze specifiche. Questa situazione potrebbe esacerbare il senso di discriminazione percepito da molti serbi kosovari.
La dichiarazione di indipendenza del 2008
Le relazioni tra Kosovo e Serbia rimangono tese sin dalla dichiarazione di indipendenza del Kosovo nel 2008, non riconosciuta da Belgrado.
Il governo italiano ha ufficialmente riconosciuto il Kosovo come Stato sovrano il 21 febbraio 2008, pochi giorni dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte di Pristina il 17 febbraio 2008.
Invece cinque Stati membri dell'UE —Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia e Cipro — non riconoscono il Kosovo come Stato indipendente.
Le tensioni del 2023
I serbi in Kosovo hanno boicottato le elezioni comunali tenutesi nell'aprile 2023 nel nord del paese, dove costituiscono la maggioranza della popolazione. Il boicottaggio è avvenuto per protesta contro la decisione del governo kosovaro di obbligare tutti i residenti a utilizzare targhe e documenti kosovari, eliminando progressivamente quelli emessi dalla Serbia.
A causa dell'astensione di massa, la partecipazione è stata estremamente bassa (meno del 4%), ma le elezioni sono state comunque considerate valide dalle autorità kosovare. Questo ha portato all'elezione di sindaci di etnia albanese in quattro municipalità a maggioranza serba (Mitrovica Nord, Leposavić, Zubin Potok e Zvečan), aumentando ulteriormente le tensioni.
La situazione è poi degenerata a maggio 2023, quando la polizia kosovara ha scortato i nuovi sindaci nei municipi, scatenando proteste violente da parte della comunità serba. Gli scontri hanno coinvolto anche i soldati della KFOR (la missione NATO in Kosovo), causando decine di feriti tra manifestanti e militari.
La difficile convivenza pacifica
Nonostante gli sforzi internazionali per facilitare il dialogo e promuovere la normalizzazione, le recenti azioni del governo kosovaro e le reazioni serbe indicano che la strada verso una convivenza pacifica e una cooperazione reciproca è ancora lunga e complessa.
La decisione del governo kosovaro di chiudere le istituzioni parallele serbe, formalmente inquadrata come un passo verso la piena sovranità statale, rischia di avere conseguenze molto gravi per la già fragile convivenza interetnica.
I bombardamenti Nato del 1999
In un contesto segnato dai ricordi della guerra (i bombardamenti Nato del 1999), da profonde divisioni storiche e da una persistente sfiducia reciproca, l’abolizione unilaterale di servizi significativi per la minoranza serba può essere letta come un atto di esclusione piuttosto che di integrazione.
Se l'obiettivo di Pristina è rafforzare la propria autorità su tutto il territorio, lo avrebbe potuto fare attraverso un processo più inclusivo, costruendo meccanismi di transizione che garantissero la continuità dei servizi e coinvolgessero direttamente i rappresentanti della comunità serba. Invece, questa mossa sembra una dimostrazione di forza.
Il Kosovo e gli accordi del 2013
Il governo kosovaro, guidato da Albin Kurti, è stato accusato di attuare azioni unilaterali che violano gli accordi internazionali, come quello del 2013 che prevedeva l'autonomia per la minoranza serba.
Gli accordi del 2013, noti come Accordi di Bruxelles, prevedevano la normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia.
Era prevista la creazione di un'Associazione dei Comuni a Maggioranza Serba, che avrebbe dovuto godere di ampia autonomia, comprendendo poteri in ambiti come la polizia e l'amministrazione della giustizia, pur rimanendo all'interno delle strutture nazionali del Kosovo.
La questione dei diritti umani
Il Kosovo è stato più volte accusato di violazioni dei diritti umani nei confronti della minoranza serba, sia da organizzazioni internazionali che dal governo serbo. Le principali accuse riguardano sono riassunte qui di seguito.
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Discriminazione amministrativa: la chiusura delle istituzioni parallele serbe, l’obbligo di adottare documenti kosovari e la limitazione dell’uso della lingua serba nelle istituzioni pubbliche sono considerati da molti osservatori misure che penalizzano la comunità serba.
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Uso eccessivo della forza: diversi rapporti, tra cui quelli dell'OSCE e di organizzazioni per i diritti umani, hanno denunciato episodi di violenza della polizia kosovara durante le proteste serbe, come nel maggio 2023, quando gli agenti hanno usato gas lacrimogeni e manganelli per disperdere manifestanti serbi che protestavano contro l’insediamento forzato dei sindaci albanesi nei comuni serbi.
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Attacchi e discriminazioni: Amnesty International e Human Rights Watch hanno segnalato episodi di aggressioni contro serbi kosovari, attacchi a chiese ortodosse e difficoltà di accesso a servizi pubblici essenziali, come la sanità e l’istruzione.
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Mancata protezione del patrimonio culturale serbo: il governo kosovaro è stato criticato per non aver garantito adeguata protezione ai siti religiosi ortodossi, alcuni dei quali sono stati oggetto di vandalismo o espropri da parte delle autorità locali.
Un conflitto esacerbato
La Serbia e la Russia denunciano queste situazioni a livello internazionale, mentre l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno chiesto al Kosovo maggiore impegno per il rispetto dei diritti della minoranza serba, sottolineando che la protezione delle comunità etniche è un requisito fondamentale per il percorso di integrazione europea del paese.
Il rischio è che il Kosovo, invece di avvicinarsi alla stabilità, finisca per veder crescere le già forti tensioni.
Le recenti azioni di forza del governo kosovaro scrivono in queste settimane una brutta pagina di esclusione della minoranza serba che esacerba il conflitto anziché risolverlo.
Alessandro Marescotti
Il 15 gennaio in varie località del paese il governo del Kosovo ha chiuso le istituzioni serbe, tra cui alcune “amministrazioni parallele”, aggravando le tensioni con Belgrado a poche settimane dalle elezioni legislative, previste a febbraio.
“Il tempo delle amministrazioni e delle istituzioni parallele della Serbia nella Repubblica del Kosovo è finito”, ha affermato il ministro dell’interno kosovaro Xhelal Sveçla, elencando le dieci località in cui sono avvenute le chiusure.
“Non permetteremo alla Serbia di violare la nostra costituzione e lo stato di diritto”, ha dichiarato.
Sveçla ha aggiunto che la polizia ha chiuso anche alcuni uffici postali e fiscali serbi nel corso dell’operazione, condotta nel centro e nel sud del paese.
Secondo l’emittente privata serba B92, che ha intervistato sul tema il presidente serbo Aleksandar Vučić, in totale sono state chiuse “trentacinque istituzioni, che impiegavano circa 1.100 persone”.
“Queste persone non resteranno senza lavoro”, ha affermato Vučić. “Continueranno a ricevere i loro stipendi e potranno mantenere le loro famiglie”.
Negli ultimi mesi le autorità kosovare avevano condotto altre operazioni per smantellare quelle che considerano amministrazioni e istituzioni parallele che operano illegalmente nelle aree a maggioranza serba.
Pristina ha chiuso municipi, uffici postali, banche, uffici fiscali ed enti per il rilascio delle targhe automobilistiche serbe, oltre a vietare l’uso del dinaro serbo.
Le operazioni precedenti erano state condotte nelle aree del nord del Kosovo a maggioranza serba. Quest’ultima ha invece preso di mira le istituzioni di Belgrado nelle enclave serbe nel resto del paese.
Solo gli istituti scolastici e sanitari finanziati da Belgrado potranno continuare a operare.
“Pericolosa escalation”
La Serbia, che non ha mai riconosciuto l’indipendenza proclamata nel 2008 dalla sua ex provincia a maggioranza albanese, ha denunciato una “pericolosa escalation”.
“È evidente che il primo ministro kosovaro Albin Kurti sta usando queste provocazioni per la sua campagna elettorale”, ha affermato sul social network X il ministro degli esteri serbo Marko Đurić, aggiungendo che “questa strategia minaccia la stabilità della regione”.
L’operazione arriva a poco più di tre settimane dalle elezioni legislative del 9 febbraio, che saranno un banco di prova per le politiche perseguite dal capo del governo kosovaro.
Kurti punta a riaffermare la sovranità di Pristina sull’intero territorio, nonostante i rischi legati a un aumento delle tensioni con Belgrado.
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