[Pace] Contractor, ecco l’armata nell’ombra che combatte in Ucraina



(di Gianluca Di Feo – repubblica.it) – “Viva la muerte!”, l’americano e il colombiano brindano dopo avere confrontato i tatuaggi sulle braccia, vestigia di battaglie contro i talebani e di blitz contro i narcos. Guai a chiamarli “mercenari”: loro si definiscono “contractor”, nome più asettico per indicare i guerrieri a pagamento. Di notte quando a Kiev e nelle altre città ucraine scatta il coprifuoco, si rifugiano negli alberghi dove si può bere e cenare fino alle due ignorando le sirene dell’allarme aereo: una legione straniera di combattenti, tecnici informatici e oscuri mediatori che monopolizza hall e ristoranti degli hotel, osservata con distacco dagli ufficiali ucraini che trascorrono una breve licenza assieme a mogli o fidanzate prima di tornare in trincea.

Finora i “soldati privati” arrivati dagli Usa erano sospesi in uno status legale indefinito: formalmente vietati dal governo di Washington; di fatto tollerati da oltre due anni. I più precisano di essere “mentor”, una parola magica utilizzata pure dalla Nato per nascondere il volto reale degli interventi all’estero: sono addestratori, che poi però accompagnano i loro allievi in battaglia. Sostengono che nei loro confronti veniva adottata la politica del “don’t ask, don’t tell” – non chiedere, non dire – che gli permetteva di andare e venire indisturbati dall’Ucraina.

Le paghe dipendono dall’esperienza e dal rischio che si accetta: dai tremila dollari in su al mese, con un media di cinquemila, con ogni spesa coperta. Una coppia di messicani muscolosi sfoggia il simbolo dei Marines tatuato sul collo: raccontano di essere reduci della fanteria di marina, di essere stati formati dagli americani e di avere fatto parte dei corpi di elite che danno la caccia ai trafficanti, “gli stessi che hanno catturato il Chapo”.

Mentre giocano al biliardo, dicono di avere “esagerato in efficienza” durante un raid e di dover cambiare aria: “Sono stati i nostri istruttori a contattarci. Messico o Ucraina, il pericolo è uguale ma qui si guadagna di più”. Ogni tanto ai tavoli scoppiano liti su ingaggi, premi e stipendi: le voci si alzano, le mani corrono verso le pistole che gonfiano le tasche e i contendenti si spostano nel giardinetto dei fumatori per regolare i conti lontano dagli occhi truci dei bodyguard dell’albergo. Un clima da Far West, che ora l’amministrazione Biden sembra voler affrontare.

Ha infatti deciso di mandare i primi contractor “autorizzati” in Ucraina, per occuparsi della manutenzione di alcuni sistemi bellici fondamentali per la difesa del Paese. Il Pentagono sostiene che si tratterà di un “numero limitato” di specialisti che non parteciperanno ai combattimenti: principalmente dovrebbero gestire le riparazioni dei caccia F16, dei cingolati Bradley e delle batterie missilistiche contraeree ossia la triade determinante per le operazioni al fronte.

Preparare tecnici con queste competenze richiede anni e l’invio di personale statunitense è l’unico modo per garantire il funzionamento di questi armamenti in tempi rapidi: oggi gran parte dei materiali viene spedita in Polonia per gli interventi più seri – che così restano inutilizzabile per mesi – mentre in alcuni casi c'è la “tele-assistenza” alle officine ucraine fornita da militari Usa di stanza in Germania. Difficilmente il personale della Lockheed, della Raytheon o della General Dynamics accetta di andare sotto le bombe senza una copertura piena del governo: non sono vecchi “mastini della guerra” – titolo del film più celebre sui mercenari – ma professionisti aeronautici qualificati che non amano il rischio.

Il presidente Zelensky aveva chiesto sin dall’estate 2022 l’invio di figure simili: finora la Casa Bianca non aveva mai voluto correre rischi nel timore che i cittadini statunitensi diventassero un bersaglio preferenziale per i russi. L’elezione di Donald Trump ha fatto cadere il veto: nei due mesi che mancano all’insediamento del nuovo presidente, Biden sembra intenzionato a concedere il massimo sostegno a Kiev, anche per evitare che l’offensiva lanciata nelle scorse ore da Mosca a Kursk e nel Donbass travolga le difese.

Questa scelta pare la premessa a un invio record di armamenti, sfruttando in due mesi almeno cinque miliardi di dollari già stanziati: strumenti hi-tech che gli ucraini non sarebbero in grado di far funzionare da soli. Non è escluso che Washington possa rispondere all’ingresso in battaglia dei nordcoreani proprio con uno stimolo all’arruolamento di contractor: un’armata privata cresciuta a dismisura negli scorsi venti anni con le campagne in Iraq e in Afghanistan, ma rimasta disoccupata dopo la fuga occidentale da Kabul.

Dopo gli americani, i più numerosi e i più discreti in Ucraina sono i britannici. Prima dell’invasione, il governo di Kiev si era rivolto a loro per riorganizzare l’esercito e superare il retaggio sovietico: un’attività portata avanti non dai reggimenti di Sua Maestà ma da tante compagnie private spesso con sede tra Antille e Barbados. C’erano inglesi a guidare le forze speciali nel contrattacco che ha respinto i parà russi sbarcati nell’aeroporto di Hostomel, l’impresa condotta nelle prime ore di guerra che ha permesso alla capitale di preparare la resistenza. Ci sono ancora inglesi, ex ufficiali in abiti borghesi di ottimo taglio, a consigliare il quartiere generale ucraino sulle iniziative strategiche.

Ci sono invece molti asiatici – indiani e di Singapore, ad esempio – e qualche europeo dell’Est – sloveni e cechi – assunti per migliorare la protezione informatica delle reti civili e militari: nerd sotto i quarant’anni, che bevono poco e restano nella hall a giocare sui computer solo perchè le sirene dell’allarme non li fanno dormire sereni. “Non vediamo l’ora di andarcene, qui è tutto assurdo”, confidano due musulmani con passaporto canadese mentre sorseggiano coca cola: “Ma l’esperienza che abbiamo fatto è straordinaria. Per chi si occupa di cyber qui si vive una lezione incredibile, in Occidente non si vede niente del genere”.

Altra storia sono i volontari. Nelle prime settimane dopo l’invasione erano soprattutto americani: ex militari, ex contractor o giovani idealisti accorsi a difendere un Paese invaso. Gli europei – soprattutto francesi, scandinavi, baltici – sono politicamente orientati: ultras e militanti di estrema destra, che esibiscono con orgoglio l’aquila del Terzo Reich che tiene negli artigli l’ancora ucraina al posto della svastica. Negli ultimi mesi sono calati i polacchi, così numerosi a inizio 2023 da avere fatto sospettare un ruolo del governo, forse per effetto delle tensioni nei rapporti tra Varsavia e Kiev.

Oggi tanti partono dall’America Latina: si incontrano peruviani, brasiliani, cileni, salvadoreni, tutti giovanissimi. Nella stazione di Leopoli un gruppo di ventenni messicani cerca di trovare il treno per la capitale. Sono appena arrivati dalla Polonia e sembrano ragazzi in gita con l’aria smarrita: “Vogliamo arruolarci, è una causa giusta. E poi impareremo un mestiere che ci tornerà utile. Paura di morire? Non è che a casa nostra si stia tranquilli”.