[Pace] "Il governo ci tappa la bocca". Scendono in piazza a Kiev per protesta: "Salvate i soldati"



Azov, i parenti dei soldati chiusi nell'acciaieria: "Il governo ci tappa la bocca"


I familiari alzano la voce, accusando Zelensky di non fare abbastanza per risolvere l’assedio che minaccia di ucciderli tutti: "Stanno cercando di chiudere l'argomento Mariupol in modo che la gente non parli e si dimentichi del battaglione"

KIEV – “Basta chiacchiere, è ora di fare qualcosa per salvarli”. Le mogli e le fidanzate, le madri e i fratelli dei soldati del battaglione Azov chiusi nell’acciaieria dell’Azovstal a Mariupol alzano la voce contro il governo Zelensky, accusandolo di non fare abbastanza per risolvere l’assedio che minaccia di ucciderli tutti.

“Siamo disperate, forse il nostro governo non vuole parlare di Azov e Mariupol… Stanno cercando di tapparci la bocca e di chiudere l'argomento Mariupol in modo che la gente non parli e si dimentichi della guarnigione militare. Non ci supportano”, dice a Repubblica la sorella di un soldato del battaglione Azov chiuso nell’acciaieria.


Giovedì pomeriggio, per il secondo giorno consecutivo, un gruppo di parenti e amici dei soldati del battaglione Azov ha attraversato le vie del centro di Kiev diretto a piazza Majdan, per protestare e chiedere di salvare i soldati intrappolati nell’acciaieria. Ma se mercoledì la manifestazione si era conclusa pacificamente a Majdan, giovedì le cose sono andate molto peggio. I manifestanti si sono trovati davanti la polizia che li ha dispersi, “prendendo i documenti degli uomini” e fermando alcuni degli organizzatori. La manifestazione non era stata autorizzata, e gli organizzatori si sono difesi dicendo che alcuni non erano stati avvertiti ed erano scesi in piazza comunque.

La motivazione ufficiale per la negata autorizzazione e la successiva repressione è l’esistenza della legge marziale, che rende automaticamente impossibile organizzare qualsiasi protesta. Ma la mossa resta singolare, perché il battaglione Azov in questo momento in Ucraina è al massimo della sua popolarità: la strenua resistenza per la difesa di Mariupol ha trasformato tutti i soldati del più discusso tra i reggimenti della guardia nazionale ucraina in un manipolo di eroi. E allora cosa sta succedendo?

Gli organizzatori della manifestazione vanno oltre: dicono che le loro pagine social e i post in cui parlano di Azov e in sostegno dei soldati del reggimento sono stati cancellati, sono letteralmente “spariti” dalla rete. E la disperazione per non vedere alcuna plausibile soluzione che possa portarli in salvo - al contrario dei civili per i quali almeno un’ipotesi tramite i corridoi verdi è tuttora in piedi - monta in rabbia.

I rapporti difficili tra il governo e il reggimento - figlio del battaglione che ci conquistò pessima fama di crudeltà nella guerra del Donbass, venendo formalmente accusato di crimini contro l’umanità da diverse istituzioni internazionali - sono ben noti. Nei precedenti governi Azov aveva potuto contare su una forte spalla nel governo, e in particolare nel ministero degli Interni. Ma i tempi sono cambiati. Lo stesso presidente Zelensky, che nel 2019 aveva conferito un onore militare al comandante del reggimento Denys Prokopenko, si era visto negare il saluto militare in un segno di spregio che non ha certo dimenticato; neppure quando di fronte alla pressione popolare gli ha conferito, il 19 marzo, il titolo ufficiale di “Eroe ucraino” con l’Ordine della Croce d’Oro.

Un mese fa - mentre andavano avanti complesse trattative sui massimi sistemi con i negoziatori russi fino all’appuntamento decisivo di Istanbul, e intanto Mariupol si sgretolava tra migliaia di civili morti - il vicecomandante del reggimento Sviatoslav Palamar aveva rotto il silenzio con un messaggio video fortemente polemico: “I politici dicono costantemente che ‘li sosteniamo, siamo in costante contatto con loro’, ma per più di due settimane nessuno risponde al telefono e nessuno comunica con noi”.

C’era volta molta diplomazia per rientrare nei ranghi. La protesta sollevava dubbi sulle reali intenzioni del governo di Kiev sulla difesa a oltranza di Mariupol, praticamente impossibile e molto costosa per il numero di vittime che avrebbe comportato. Davvero, ci si domandava, il governo pensava di fare qualcosa per smorzare il dramma che si stava profilando nell’acciaieria? Un contrattacco, come chiedevano i soldati asserragliati? Una trattativa efficace?

La difesa di Mariupol serviva a Kiev per tenere occupati contingenti importanti di soldati russi che si sarebbero riversati altrove, ma era anche un grosso problema negoziale perché non poteva essere militarmente difesa. E una tragedia di proporzioni epocali avrebbe reso impossibile qualsiasi ipotesi di trattativa. Come avrebbe potuto, il governo, accettare qualsiasi minimo compromesso di fronte all’eccidio di una comunità e al sacrificio dei “patrioti” del reggimento Azov e degli altri reduci superstiti, come il 36esimo di marina?

Il giorno successivo la risposta non era venuta dal governo né direttamente dal presidente Zelensky. Era arrivata dal generale Valeriy Zaluzhnyi, il capo delle forze armate che gode di grande fiducia tra i militari e di una notevole autonomia rispetto alla politica: in una dichiarazione su Facebook aveva sostenuto che "le comunicazioni con le unità delle forze di difesa che eroicamente resistono nella città sono mantenute stabili, facciamo il possibile e l'impossibile per la vittoria e la protezione delle vite dei militari e dei civili. Abbiate fede nelle forze armate dell'Ucraina". Ora, però, la fede dei familiari è decisamente svanita.

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