[Pace] Gilberto Squizzato: "Il rifiuto della violenza non significa il rifiuto dell'uso della forza". Risposta di Enrico Peyretti: "La nonviolenza è forza, non arrendevolezza"



Nonviolenza è forza, non è pacifismo sottomesso, arrendevole

(Risposta a Gilberto Squizzato, in Adista, 12 marzo 2022, ore 17,52)

La nonviolenza attiva e positiva, anche tra le persone colte, non è veramente conosciuta. Scrive Gilberto Squizzato che “pacifismo non è solo nonviolenza”. Egli ammira negli amici nonviolenti “la coraggiosa profezia che esercitano con la loro scelta, che vuole prefigurare un mondo depurato dalla violenza e fatto umano”. Però critica aspramente (qui sintetizzo) il tono ultimativo, e talora derisorio, col quale la proposta della non-violenza viene avanzata contro chi pensa invece doveroso soccorrere gli Ucraini anche con armamenti indispensabili a impedire la loro resa incondizionata, per consentire invece una trattativa che non sia totale capitolazione.

Sono necessarie alcune distinzioni.

La forza non è violenza: la forza (fisica, morale) è un carattere della buona vita. Diventa violenza solo se usata per colpire e distruggere. La violenza non è una forza umana, perché si sottrae al rapporto umano civile e razionale, col colpire o distruggere l’altra parte in un  conflitto. La violenza compare quando manca la forza umana. Le armi omicide non sono forza ma violenza. Già la semplice minaccia «riduce l’uomo minacciato a cosa, oggetto» (Simone Weil).

E forza non si può intendere in verità come forza militare: il supporto armato all’uomo riduce la sua umanità, dimostra la sua debolezza, e l’arma trascina facilmente l’uomo a perderne il controllo. Ho visto da bambino, a nove anni, un caso atroce di lotta giusta trascinata dalle armi in violenza ingiusta. L’arma non è uno strumento di lavoro, ma una sottrazione di umanità. La forza umana è la ragione, la parola, la relazione, la composizione vitale e sociale, fino all’ «amore sociale e politico» (valore ripetuto nella Fratelli tutti). L’arma è il fallimento umano.

Conflitto non è sinonimo di guerra: è una “differenza” che arricchisce la varia realtà umana, se gestito in modo trasformativo e costruttivo, con mediazione degli interessi ideali o pratici, nel comune interesse vitale. 

La nonviolenza (Capitini insegna a scriverla in parola unica, affermativa) non è vile fuga e astensione dalla lotta giusta, non è equidistanza tra aggredito e aggressore, ma è forza vitale, è lotta con le forze umane, rifiutando strumenti di dominio e di morte. La nonviolenza non accetta di sottomettere le ragioni umane dialettiche al giudizio materiale delle armi: «La guerra è l’antitesi del diritto» ripeteva Bobbio. La guerra fa vincere chi è più violento e non chi ha diritto e ragione. Tirare a sorte sarebbe più intelligente.

La storia umana non è i fatti bruti, ma l’umanizzazione dell’umanità, l’evoluzione umanizzatrice. La vittoria in guerra sembra storia, ma non è cammino dell’umanità. Se Hitler arrivava ad avere l’atomica, la “storia” dava ragione a lui. La vittoria del 1918 fu madre del fascismo. La vittoria del 1945 ha generato il pericolo nucleare universale. La vittoria in guerra non c’entra nulla con la giustizia. La guerra non fa giustizia, non difende davvero, almeno oggi.

Pacifismo è parola ambigua e fiacca. Il pacifismo è inteso e deriso come pace negativa, assenza di conflitto e confronto, e questa pace minima pagata a qualunque costo, anche della viltà e della resa alla violenza. No! La nonviolenza non è pacifismo! Sia chiaro! Gandhi consiglierebbe la violenza piuttosto che la viltà, quando quella fosse l’unica scelta possibile contro un sopruso (l’esempio della rissa fatto da Squizzato), ma dice che l’unica cosa lecita resta la nonviolenza. Poi, uccidere tante persone nella guerra è ancora peggiore della viltà (Teoria e pratica della nonviolenza, p. 18, 22, 323)

Gandhi non voleva un gandhismo. Egli è solo un grande maestro della nonviolenza, che è umanità, cultura, politica, “antica come le montagne”, ed è nelle migliori possibilità umane. Questo umanesimo ha un ampio sviluppo e un’estesa esperienza storica, intrecciata con varie spiritualità, specialmente dal Novecento. Una storia incompleta delle lotte nonviolente recenti occupa una grande letteratura e 24 pagine nel mio blog. La statistica indica il successo delle lotte nonviolente nettamente superiore al successo delle lotte violente (P. Ackerman e A. Karatnycky: How Freedom is Won. From Civic Resistance to Durable Democracy. Freedom House, Washington, 2005. M.J. Stephan e E. Chenoweth: “Why Civil Resistance Works”, International Security, 33, 1/2008, 7-44.   La rivista è USA ed è una importante rivista di relazioni internazionali).

Realizza più umanità chi, per difendere le vittime, spara e uccide, o chi le ripara e muore? Per fare scudo al minacciato ci sono solo le armi? La rozza cultura di guerra chiama eroe chi è mandato a morire per uccidere. Ma invece è eroe più vero e più umanamente fecondo chi muore per riparare e salvare altri. E non vale denunciare come sacrificale la lotta nonviolenta! Nulla è più orribilmente sacrificale che l’uso dei soldati come pedine del gioco dei potenti, come denuncia Kant: «Assoldare uomini per uccidere o per farli uccidere è usare uomini come macchine o strumenti dello Stato, il che non può conciliarsi col diritto dell'uomo sulla propria persona e col principio categorico della morale» (articolo 3 preliminare, Progetto filosofico per la pace perpetua, 1795). Egli vede necessario lo scioglimento degli eserciti permanenti.

E quanto al porgere l’altra guancia può trattarsi di ben altro che sottomissione al violento. Nel costume del tempo, per colpire inferiori (donna, figlio, schiavo) senza sporcarsi la mano, si usa il manrovescio sulla guancia destra (Matteo 5,38). Offrire l’altra guancia, la sinistra, è privare l’oppressore della sua pretesa di superiorità: una tipica azione nonviolenta.

Vale più, nel doloroso caso attuale, armare l’ucraino aggredito che si difende, aggravando i pericoli estremi per tutti, oppure fiaccare l’aggressore aiutando i soldati russi che vorrebbero giustamente disertare, e dando voce alle opposizioni interne duramente represse in Russia?  

Una proposta nonviolenta è l’afflusso in Ucraina di molte presenze civili significative, che rappresentino l’umanità intera, la comunità dei popoli, il diritto internazionale. Vorrà l’aggressore colpire tutti, moltiplicare il suo crimine davanti al mondo? I corpi civili di pace sono la forza dell’umanità di fronte alla sedizione disumana. Un’altra proposta è mantenere le ambasciate e moltiplicarle in ogni città dell’Ucraina: il mondo sorveglia l’aggressore con la sua presenza, e sta a fianco dei minacciati. Ci guadagna la verità.

La nonviolenza forte sembra la via più lunga e incerta, ma forse la via “breve” delle armi contro le armi è una via pronta ed efficiente? La “guerra giusta” oggi non è più possibile - è stato detto con verità - perché ogni guerra oggi avvicina la catastrofe nucleare universale.  Quale è dunque veramente la via più giusta ed efficace? Non c’è più guerra giusta. Bisogna riscoprire o inventare la difesa non bellica, la vera difesa.

La politica degli stati, anche dell’Italia, ha una visione corta e cortissima sulla reale natura dei conflitti armati, e di questo conflitto della Russia contro l’Ucraina. Non valgono più le vecchie abitudini mentali e operative. Senza contare che fabbricanti e trafficanti di armi sono felici di speculare sulla mentalità politica guerriera, loro complice, a costo di sangue umano e di dolori e offese al diritto umano.

Con tutto ciò ho sofferto anch’io il dilemma angoscioso, ho patito il travaglio: è giusto e necessario aiutare con le armi gli oppressi, o con la forza umana nonviolenta? A differenza del governo, sento la seconda via più giusta e più efficace.

Enrico Peyretti, domenica 13 marzo 2022           (segue il testo di Squizzato)


Pacifismo non è solo nonviolenza

Gilberto Squizzato 12/03/2022, 17:52

ROMA-ADISTA. In questi giorni così tremendi si alzano con forza le molte voci di coloro che, anche organizzati in movimenti, proclamano il valore indiscutibile della risposta non-violenta all'aggressione di Putin contro l'Ucraina. Ho sempre apprezzato l'opzione morale e conseguentemente politica di questi amici ai quali non da oggi va il mio plauso per la coraggiosa profezia che esercitano con la loro scelta, che vuole prefigurare un mondo depurato dalla violenza e fatto umano.

Non me la sento peró di condividere, anzi critico aspramente, il tono ultimativo, apodittico e in qualche caso derisorio, con il quale non di rado questa proposta della non-violenza viene avanzata, se non bandita, con tono ultimativo contro coloro che pensano invece doveroso, per la nostra Repubblica, soccorrere gli Ucraini non solo con aiuti umanitari ma anche con armamenti indispensabili a impedire la loro resa incondizionata, per consentire invece di una trattativa che non sia totale capitolazione.

Mi pare infatti di poter/dover fare un po' di ecologia del linguaggio affermando che quando questi movimenti e queste personalità si presentano come titolari unici del valore della non violenza compiono un abuso, o almeno una indebita dilatazione linguistica del significato di questa espressione che dobbiamo emendare da un pericolo equivoco. Il rifiuto dell' esercizio della violenza non significa tout court il rifiuto dell' uso della forza, perché le due parole non sono equivalenti.

Pacifisti, in quanto operatori impegnati a costruire anche con la forza una pace e una pacificazione dei cuori che al momento appaiono remote se non impossibili, hanno diritto ad essere chiamati anche coloro che per conseguire questi scopi sostengono lo sforzo disperato del più debole di non essere annientato. Non é giusto e neppure legittimo negare per esempio il titolo di pacifico e pacifista a chi nel corso di una rissa non si accomoda nel ruolo di spettatore che invoca a parole la rinciliazione ma vedendo in estremo pericolo la persona più debole interviene con la forza per sottrarla al massacro da parte del più forte.

So che (solo) qualcuno dei non-violenti più oltranzisti ironizza su questa distinzione fra violenza e forza ritenendola non solo capziosa ma anche troppo strettamente connessa alla teoria della "guerra giusta" per molti secoli giustificata e talvolta benedetta dalla dottrina del Magistero Cattolico. Allora saró ancora più capzioso, azzardandomi a dire che quella di chi aggredisce è vera "guerra" mentre l'aggredito non fa che praticare il diritto/dovere della difesa.

Argomentano a questo punto i più decisi sostenitori della non-violenza senza se e senza ma che il Vangelo prescrive il dovere di porgere l'altra guancia a chi ti colpisce. Vale allora la pena di ricordare

1 che quella da porgere è la "propria", non l'altrui guancia; che cioé quello evangelico é un dettato vincolante per chi al Vangelo aderisce ma non puó essere imposto a nessuno che non ne sia convinto; tanto meno a chi vede messa a repentaglio dall'aggressione non solo la guancia ma l'intera propria esistenza;

2 che da tempo ormai anche molti credenti hanno scoperto il valore della laicità dello Stato, che non solo è prevista dalla nostra Costituzione ma è una sostanziale conquista per la stessa comunità ecclesiale italiana, libera di affermare i propri valori senza peró la pretesa di imporli ultimativamente all'intera nazione (dove non da oggi é nei fatti minoritaria);

3 che lo Stato repubblicano si fonda su un patto fra i cittadini che impegna lo Stato anzitutto a tutelare l'incolumità di tutti, se necessario anche con l uso della forza, mai della violenza: ed è per questo che solo allo Stato è concesso l'uso (in casi estremi) anche della forza, per esempio affidando alla polizia la tutela di chi rischia di essere (o è) aggredito (rapine, sequestri, violenza sessuale, ecc.) e alle forze armate quello di difendere l' integrità territoriale perchè al suo interno possano essere rispettati tutti i diritti costituzionali di tutti i cittadini.

E quando l'aggredito non è cittadino della nostra Repubblica? Allora interviene l'art. 11 che ripudia la guerra come strumento per la soluzione delle controversie internazionali. Se dunque qualcuno (per esempio Putin) sceglie la guerra per risolvere la controversia che l oppone all'Ucraina non è proprio il ripudio della guerra che ci impegna a impedire - nei limiti del possibile (cioè evitando che il conflitto deflagri ancora di più, fino al livello nucleare) l'annientamento dell'aggredito?

Queste considerazioni ovviamente nulla tolgono alla nobiltà profetica di chi opta per la non-violenza assoluta senza se e senza ma, ma senza pretendere che questa opzione sia l'unica possibile, anzi doverosa per tutti.

La profezia è tale perchè indica un obiettivo politico e morale di valore universale, ma non puó illudersi (nè pretendere) di essere sempre e ovunque l’unica opzione moralmente possibile e necessaria.

Mi sembra giusto a questo proposito anche ricordare che se oggi l'Italia dispone di una costituzione democratica imcomparabilmente migliore di quella razzista e istituzionalmente violenta della Repubblica Sociale di Saló questo é anche merito di migliaia e migliaia di partigiani cattolici, per nulla desiderosi di fare una guerra ma obbligati a usare le armi per farla finire e riportare la pace. E fra di loro si calcolarono 1491 caduti, comprese decine di preti.

Infine non posso dimenticare, come cristiano, che il più grande teologo del Novecento, Dietrich Bonhoffer, per impedire al regime nazista di perpetrare all infinito la propria prepotenza e violenza si decise per l'uso della forza partecipando alla congiura contro Hitler che vide altri ferventi cristiani mettere una bomba nel covo del dittatore provocando (purtroppo solo) la morte di alcuni dei suoi più stretti collaboratori. E vale a poco affermare che il tirannicidio è cosa diversa e limitata: comunque lo si voglia giustificare, ecco contravviene al principio dell’esclusione dell’uso delle armi.

Uno non vale uno, quando in gioco sono la vita dell’aggressore e quella del debole aggredito. La vita degli strateghi di Putin non vale come quella dei bambini e delle donne incinte bombardati oggi a Mariupol.

Perció chi nobilmente sceglie per sé la pratica della non violenza non usurpi per sé soltanto il diritto a dirsi pacifista. E non si dica pacifista chi oggi suggerisce la capitolazione agli Ucraini solo calcolando la disparità delle forze in campo. La resa puó deciderla eventualmente solo chi é aggredito e soccombente ma chi è spettatore di quella violenza ha umanamente il dovere di difenderlo quanto più é possibile, cioè fino al limite estremo che ci impedisca di precipitare nell'ecatombe planetaria.

Vorrei quasi chiedere, e non polemicamente, se negare l’aiuto a difendersi a chi è aggredito non sia una diversa forma di violenza, con buona pace delle oneste intenzioni di chi professa il supremo valore della pace. Posso dirlo sottovoce? Mi piacerebbe molto che i sedicenti non violenti assoluti assediassero con un sit in a oltranza l'ambasciata russa e conciati di Mosca in Italia, senza muovere un dito contro chi vi lavora, fino al giorno in cui taceranno le armi di Putin. La non violenza assoluta deve costare molto e non essere celebrata solo a parole.

 

 


 


Mail priva di virus. www.avg.com