R: [pace] Nena News Agency | Egitto, due anni di rivoluzione non bastano



Per alcuni - anche, mi pare, su questa lista - le Primavere arabe andrebbero messe tutte nello stesso mazzo e rubricate sotto la voce: "complotto dell'Imperialismo".
I giovani delle piazze dovrebbero imparare ad "auto-sintetizzarsi" politicamente e a non delegare alle forze politiche già organizzate.
Questi sono tempi nuovi e già le idee nuove (con radici antiche come le montagne) circolano ampiamente: è sbagliato, a mio parere, cercare di farle entrare nelle botti ideologiche vecchie, pur con qualche "neo" messo a prefisso per velleità di rinnovamento presunto...

----Messaggio originale----
Da: tiziano.cardosi at gmail.com
Data: 25-gen-2013 22.23
A: "pace at peacelink.it"<pace at peacelink.it>
Ogg: [pace] Nena News Agency | Egitto, due anni di rivoluzione non bastano

un articolo che spiega molto più di tante chiacchiere cosa succede nei paesi dove c'è (o c'è stata) una vera primavera

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=48868

Egitto, due anni di rivoluzione non bastano

Oggi scontri in tutto l'Egitto. I Fratelli Musulmani hanno anche liberalizzato l'economia egiziana: il Paese e' piu' povero e le proteste dei lavoratori non si fermano.





Piazza Tahrir il 25 gennaio 2011
di Francesca La Bella

Roma, 25 gennaio 2013, Nena News - Sono passati esattamente due anni dall'inizio della Primavera araba egiziana, ma L'Egitto non è pacificato. Molto più di qualsiasi altro Paese attraversato dai venti della Primavera Araba, la terra delle piramidi è oggi percorsa da fratture di difficile ricomposizione. A prima vista si potrebbe dire che il principale contrasto sia quello che divide la componente islamica e conservatrice da quella laica e liberale in merito al sistema di governo del Paese: una scissione tra tradizione e modernità e tra religione e laicità che avrebbe indotto il protrarsi delle proteste anche dopo la caduta del vecchio regime e la salita al potere dei Fratelli Musulmani e di Mohamed Morsi.

Quest'analisi è, però, parziale quando non errata. L'Egitto è, secondo la definizione della Banca Mondiale, un Paese a medio-basso reddito, il tasso di disoccupazione si attesta attorno al 13% e viene stimato che circa un quinto della popolazione si trovi sotto la soglia di povertà. Alla luce di questo contesto non stupisce che, durante le proteste degli ultimi due anni, sia stata forte, tra i manifestanti, la richiesta di un cambiamento delle politiche economiche in senso redistributivo. La vittoria dei Fratelli Musulmani, però, non ha significato una modifica dello stato delle cose in questa direzione.

Ristrutturazione del sistema economico per aumentare la propria credibilità agli occhi degli investitori stranieri e del Fondo Monetario Internazionale (FMI), tagli ai sussidi pubblici e incentivi all'imprenditoria privata per diventare maggiormente competitivi a livello prima d'area e poi mondiale, svalutazione della lira egiziana per rendere i prodotti egiziani maggiormente convenienti sul mercato mondiale sono solo alcuni dei provvedimenti che il partito Libertà e Giustizia ha messo in atto durante questi mesi al governo.

Se questo tipo di azioni hanno dimostrato ai detrattori dell'Islam politico che non esiste una pregiudiziale contrarietà dei Fratelli Musulmani al libero mercato, le misure messe in atto hanno significato, in molti casi, un peggioramento delle condizioni economiche e lavorative della popolazione e, in certi frangenti, l'adesione al modello neo-liberale della Fratellanza è stata tale da indurre alcuni commentatori a definire il progetto economico del governo come un esempio di capitalismo islamico: un capitalismo che chiederebbe rinunce e sacrifici in nome della fedeltà religiosa.

Se a questo si aggiungono l'aumento delle tasse sui beni primari e il collegamento dei salari alla produttività, appare chiaro che il terreno di scontro sia ora maggiormente spostato sul terreno dei bisogni piuttosto che sul terreno della religione. In questo senso vanno, dunque, lette le proteste dei medici al Cairo contro i tagli alla sanità, dei portuali a Ain Sokhna per migliori condizioni salariali, degli operai tessili a Mahalla contro la nuova Costituzione e dei tanti che hanno occupato le piazze delle maggiori città egiziane per chiedere un reale cambiamento dello status quo.

In questo contesto la risposta del governo non è stata di revisione delle politiche, ma di restringimento degli spazi di contestazione. In questa direzione vanno le nuove norme sul diritto di sciopero, limitato dalla natura dello stesso in quanto consentito solo se dichiaratamente "pacifico", l'arresto di manifestanti ed attivisti e la modifica alla disciplina sui sindacati. Occupando le posizioni chiave all'interno dell'Egyptian Trade Union Federation (ETUF) attraverso un contraddittorio decreto 97 del 25 novembre 2012 e prevedendo la possibilità di sciogliere qualsiasi sindacato indipendente con una semplice sentenza di un giudice grazie alle disposizioni dell'articolo 52 della Costituzione, il governo avrebbe, infatti, avviato quello che è stato definito un processo di "Fratellizzazione" del sindacato atto a limitare la capacità di mobilitazione delle rappresentanze dei lavoratori.

Le contestazioni si susseguono e si moltiplicano dando continuità alla lotta per il cambiamento iniziata durante la Primavera, ma il futuro è incerto. Ad oggi non è dato sapere se il Governo riuscirà a porre fine alle proteste attraverso nuovi cambiamenti di rotta o se le diverse componenti sociali riusciranno ad ottenere quei diritti e quella rivoluzione per cui occupano strade e piazze ormai da due anni. Nena News