Qatar, sponsor degli islamisti e principale alleato degli USA
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- Date: Sat, 26 Jan 2013 15:59:57 +0100 (CET)
da http://www.globalresearch.ca/qatar-sponsor-of-islamist-political-movements-major-ally-of-america/5320105
segnalato da http://www.ojosparalapaz.org/ e da http://aurorasito.wordpress.com/
di Nicola Nasser
23 gennaio 2013
Nel suo discorso inaugurale il 21 gennaio, il presidente statunitense Barack Obama ha fatto l’annuncio storico che “un decennio di guerra sta finendo”, e ha espresso la determinazione del suo Paese a “mostrare coraggio cercando di risolvere in pace le nostre differenze con le altre nazioni“, ma il suo messaggio rimane una chiacchiera che deve ancora essere tradotta in fatti, e che non ha ancora raggiunto alcuni dei più stretti alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente, che tutt’ora rullano i tamburi di guerra, come Israele contro l’Iran e il Qatar contro la Siria. In considerazione del livello di “coordinamento” e “cooperazione”, da quando rapporti diplomatici bilaterali sono stati istituiti nel 1972 tra Stati Uniti e Qatar, e della concentrazione della potenza militare degli Stati Uniti in questa piccola penisola, sembra impossibile che il Qatar possa muoversi autonomamente, e parallelamente, lontano o contro i piani regionali e strategici degli Stati Uniti.
Secondo la scheda on-line del dipartimento di Stato degli Stati Uniti, “le relazioni bilaterali sono forti”, entrambi i paesi si “coordinano” diplomaticamente e “cooperano” sulla sicurezza regionale, hanno un “patto di difesa”, “il Qatar ospita la base avanzata del CENTCOM” e sostiene la NATO e gli Stati Uniti nelle loro “operazioni militari regionali”. Il Qatar partecipa attivamente anche agli sforzi degli USA per creare una rete integrata di difesa missilistica nella regione del Golfo Persico. Inoltre, ospita il Combined Air Operations Center e tre basi militari statunitensi, in particolare l’al-Udeid Air Base, la base militare Assaliyah e la Doha International Air Base, presidiati da circa 5.000 effettivi delle forze USA. Il Qatar, vincolato da tale strettissima alleanza con gli Stati Uniti, recentemente è divenuto il principale sponsor dei movimenti politici islamisti.
Il Qatar oggi sembra essere lo sponsor principale dell’organizzazione internazionale dei Fratelli musulmani che, secondo quanto riferito, si sciolsero in Qatar nel 1999 perché fu vista dalla famiglia al potere come un avversario. Il matrimonio di convenienza tra il Qatar e la confraternita ha creato l’incubatore naturale dei fondamentalisti islamici armati, contro i quali gli Stati Uniti dall’11 settembre 2001 hanno condotto quello che viene etichettata “guerra globale al terrorismo.” La guerra nella nazione africana del Mali offre l’esempio più recente di come gli Stati Uniti e il Qatar, apparentemente, stiano in due modi distinti. Considerando che il segretario della Difesa, Leon Panetta, era a Londra il 18 gennaio a “elogiare” la “leadership francese dello sforzo internazionale” in Mali, per cui il suo paese si impegna nella logistica, nel trasporto e nel supporto dell’intelligence, il Qatar sembrava rischiare i propri legami speciali con la Francia, che raggiunse il picco durante la guerra della NATO contro la Libia, subendo ora la diffidenza statunitense e francese.
Il 15 gennaio, il primo ministro e ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco Hamad bin Jassim al-Thani, ha detto ai giornalisti di non credere che “la forza risolverà il problema,” consigliando invece che questo problema sia “discusso” tra i “paesi confinanti, l’Unione africana e il Consiglio di Sicurezza (dell’ONU)” unendosi all’ideologo dei Fratelli musulmani e loro sponsor del Qatar, a Doha, Abdullah Yusuf al-Qaradawi, il capo dell’Unione internazionale degli studiosi musulmani cui è stato negato il visto di ingresso nel Regno Unito nel 2008 e in Francia lo scorso anno, richiedendo “dialogo”, “riconciliazione” e “soluzione pacifica” invece dell’”intervento militare”. Con un esempio relativamente vecchio, secondo WikiLeaks, l’ex presidente della Somalia del 2009 Sharif Ahmed ha detto a un diplomatico degli Stati Uniti che il Qatar forniva assistenza finanziaria diretta agli Shabab al-Mujahidin legati ad al-Qaida, che gli Stati Uniti definiscono “terroristi.” In Siria, con un altro esempio, la Fratellanza è la principale forza che “lotta” contro il regime al potere in alleanza con i responsabili delle atrocità e degli attentati terroristici del Fronte al-Nusra, collegato ad al-Qaida, e designato dal Regno Unito come organizzazione terroristica lo scorso dicembre, mentre l’opposizione siriana, guidata dalla Fratellanza e sponsorizzata da Stati Uniti e Qatar, aveva protestato pubblicamente tale designazione da parte degli Stati Uniti, nel silenzio del Qatar, che al riguardo non poteva che essere interpretato che come un sostegno della protesta contro la decisione statunitense. Di recente, il Qatar ha, in un altro esempio, sostituito la Siria, che venne inclusa nella lista degli sponsor del terrorismo dal 1979, come sponsor di Hamas, la cui leadership si è trasferita da Damasco a Doha, che gli Stati Uniti indicano come gruppo “terrorista”, e che ammette pubblicamente di essere il ramo palestinese della Fratellanza.
Il Qatar, in tutti questi esempi, sembra posizionarsi per farsi nominare mediatore, con la benedizione degli Stati Uniti, cercando di ottenere con la leva finanziaria del paese ciò che gli Stati Uniti non potrebbero ottenere militarmente, o che potrebbero avere ma ad un costo molto più alto in denaro e anime. Nel caso del Mali, il premier del Qatar sceicco Hamad è entrato nelle cronache dichiarando questa ambizione: “Sarà parte della soluzione, (ma) non l’unico mediatore“, ha detto. La benedizione degli Stati Uniti non poteva essere più esplicita dell’approvazione del presidente Obama nell’apertura dell’ufficio dei taliban afgani a Doha, “per facilitare” una “pace negoziata in Afghanistan”, secondo il ministero degli Esteri del Qatar, il 16 gennaio. Tuttavia, una mediazione unilaterale del Qatar fallì nello Yemen; come la mediazione del Qatar in Siria si è rivelata un fallimento simile, nei due anni di crisi siriana; la “Dichiarazione di Doha” per riconciliare le fazioni rivali palestinesi è ancora un risultato di carta; la mediazione del Qatar nella crisi del Darfur del Sudan non ha ancora portato a nulla; la “mediazione” del Qatar in Libia è stata condannata come intervento negli affari interni del paese dal più importante dei leader post-Gheddafi, e nell’Egitto post-”primavera araba”, il Qatar ha abbandonato i suoi iniziali sforzi di mediazione per allinearsi pubblicamente con il governo della Fratellanza. Ma a dispetto di questi fallimenti, gli sforzi per la “mediazione” del Qatar hanno avuto successo nel servire la strategia del suo “alleato”, gli Stati Uniti.
Con la benedizione degli Stati Uniti
Gli analisti del Gruppo sull’intelligence Soufan, lo scorso 10 dicembre, hanno concluso che “il Qatar continua a dimostrare di essere un fondamentale alleato degli Stati Uniti… Il Qatar è spesso in grado di realizzare gli obiettivi comuni USA-Qatar che Washington non è in grado o non vuole affrontare da se.” La prima amministrazione Obama, sotto la pressione dell’”austerità fiscale”, ha benedetto il finanziamento del Qatar nell’armamento degli islamisti anti-Gheddafi in Libia, chiudendo gli occhi sull’invio ad opera del Qatar dell’arsenale militare di Gheddafi agli islamisti siriani e non siriani che combattono il regime in Siria; ha “compreso” come “missione umanitaria” la visita dell’emiro del Qatar a Gaza dello scorso ottobre, e recentemente ha approvato l’armamento dell’Egitto guidato dalla Fratellanza sostenuta dal Qatar, con 20 jet da combattimento F-16 e 200 carri armati M1A1 Abrams.
Questa contraddizione solleva la questione sul fatto se ci sia una collusione reciproca USA-Qatar o se ci sia davvero un conflitto di interessi; l’amministrazione Obama nel suo secondo mandato deve tracciare la linea che darà una risposta esplicita. Oggi, apparentemente, Doha e Washington non sembrano d’accordo sui movimenti islamici e islamisti, ma sui campi di battaglia della “guerra al terrore” le due capitali non potrebbero sostenere che, in pratica, i loro ruoli attivi non siano coordinati e non si completino a vicenda. Sulla base dell’esperienza storica del similare approccio “religioso”, ma della rivale tendenza “sciita” settaria iraniana, questo collegamento islamico del Qatar “sunnita” inevitabilmente alimenterà la polarizzazione settaria nella regione, l’instabilità regionale, la violenza e le guerre civili. Data l’alleanza USA-Qatar, la connessione del Qatar islamista rischia di coinvolgere maggiormente gli Stati Uniti nel conflitto regionale, o almeno di rendere gli statunitensi responsabili dei conflitti susseguenti, subendo un profondo anti-americanismo regionale, che a sua volta diventerebbe un altro incubatore dell’estremismo e del terrorismo, aggravati dallo scorso “decennio di guerra” che il presidente Obama, nel suo discorso inaugurale, ha promesso di “far terminare”.
Tradizionalmente, il Qatar, che si trova nell’occhio del ciclone dell’assai geopoliticamente instabile regione del Golfo Persico, teatro di tre grandi guerre nel corso degli ultimi tre decenni, ha fatto del suo meglio per mantenere un equilibrio critico e fragile tra le due grandi potenze che determinano la sua sopravvivenza, vale a dire la decennale presenza militare statunitense nel Golfo e la crescente potenza regionale dell’Iran. Nel 1992 aveva firmato un patto di mutua difesa globale con gli Stati Uniti, e nel 2010 ha firmato un accordo di difesa militare con l’Iran, il che spiega l’allacciarsi di legami ancor più stretti con l’Iran, sostenendo movimenti di resistenza islamici anti-Israele come Hizbullah in Libano e Hamas nei territori palestinesi occupati da Israele, e spiega anche la “luna di miele” del Qatar con alleato dell’Iran, la Siria. Tuttavia, dallo scoppio della sanguinosa crisi siriana due anni fa, l’apertura del Qatar ai poteri regionali filo-iraniani statali e non statali fu criticata come una mera manovra tattica per allontanare tali poteri dall’Iran. Nei casi della Siria e di Hizbullah, il fallimento di questa tattica ha portato il Qatar ad entrare in rotta di collisione sia con la Siria che con l’Iran, supportati da Russia e Cina, e che sta portando il paese ad allontanarsi dalla vecchia regola del mantenimento dell’equilibrio regionale, un mutamento di cui Doha sembra ignorarne la minaccia verso la propria stessa sopravvivenza, sottoposta alla pressione degli interessi internazionali e regionali in conflitto, come dimostra sanguinosamente la crisi in Siria.
Durante l’ascesa dei movimenti di massa pan-arabi, nazionalisti, socialisti e democratici nel mondo arabo all’inizio della seconda metà del ventesimo secolo, le autoritarie monarchie conservatrici arabe adottarono l’ideologia politica della Fratellanza mussulmana e di altri islamisti, che l’hanno usata contro i propri movimenti per sopravvivere come alleati degli Stati Uniti, che a loro volta hanno utilizzato al-Qaida in Afghanistan sia contro l’ex Unione Sovietica e l’ideologia comunista, che a proprio danno, dopo il crollo dell’ordine mondiale bipolare. Tuttavia la storia sembra ripetersi con le monarchie arabe appoggiate dagli USA, guidate dal Qatar, che ricorrono alla loro vecchia tattica di sfruttare l’ideologia islamista per minare e ostacolare una rivoluzione anti-autoritaria araba volta allo Stato di diritto, alla società civile, alle istituzioni democratiche e alla giustizia sociale e economica nei paesi arabi, alla periferia del bastione protetto dagli statunitensi nella penisola arabica; ma sembrano inconsapevoli di stare aprendo un vaso di Pandora che scatenerà una reazione rispetto alla quale il voltafaccia di al-Qaida verso gli Stati Uniti si rivelerà un precedente secondario.
Nicola Nasser è un veterano del giornalismo arabo di Bir Zeit, Cisgiordania, nei territori palestinesi occupati da Israele.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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