Fare della Siria un’altra Libia: non tanto facile, come mai?



Fare della Siria un’altra Libia: non tanto facile, come mai?

 

mcc43
Premessa:

Avere un’opinione è l’obbligo contemporaneo, esprimerla il godimento a buon mercato, soprattutto se in contrapposizione a quella di altri. Magnifico, se l’opinione fosse sinonimo di pensiero! Così non è. Il pensiero si forma dentro la mente, l’opinione può essere raccolta per strada, da uno schermo, una pagina di giornale.
Il pensiero è progressivo, con gli eventi e ciò che provocano interiormente, l’opinione è statica, la sua fine è l’oblio o il rovesciamento nell’ opposto. Meccanismo voltagabbana o folgorazione … sulla via di Damasco.
La conseguenza terribile dell’abbandono del pensiero è la scomparsa del senso di colpa, evento salutato come liberazione che è, invece, uno svuotamento. Elimina ciò che lo precede, il senso di responsabilità personale, con tutto quello che lo accompagna: il bisogno di conoscere, l’esercizio della scelta consapevole che a ciò che si ottiene si accompagna una rinuncia. L’errore viene cacciato all’esterno e dall’esterno si aspettano le soluzioni, le garanzie, le opportunità. ” Infallibile in un mondo fallibile”, questa la condizione diffusa, individualmente ma con maggiore evidenza negli insiemi d’individui intorno ad progetto, un’aspirazione, un programma. Diventa tanto comune da sembrare naturale, per esempio, che gli esponenti di un partito di opposizione accusino il governo di situazioni da essi stessi create o non risolte, avendone avuto in precedenza la possibilità; caso emblematico il conflitto d’interessi
in Italia.

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Le opinioni raccolte a caso e ripetute formano i luoghi comuni. Esempio d’attualità le “primavere arabe”, espressione nata a tavolino perché d’impatto evocativo, priva di consistenza se la si osserva con una pur minima attenzione. I disordini della Tunisia non ebbero nulla di simile con quelli seguenti dell’Egitto, la cronaca oggi lo dimostra; né questi hanno tratti in comune con le agitazioni in Siria. Per comprenderlo occorre avere modestia, una parola in disuso nel mondo delle opinioni, per accingersi a conoscere il complicatissimo caso siriano che ci viene offerto con le consuete grandi linee: sollevazione di popolo in cerca di libertà da un regime.

Il potere è detenuto da una minoranza, gli alawiti, islamici ma fuori dell’ortodossia del maggiornanza islamica. Sono al governo perché in stretta alleanza con le altre minoranze etniche o religiose: curdi, armeni (che sono cristiani), drusi (un’altra confessione ai limiti dell’Islam), cristiani ortodossi, sciiti.
Tutti insieme da sempre per evitare che il potere scivoli verso la maggioranza sunnita attraverso la quale s’inserirebbero i Fratelli musulmani, oggi una possibilità concreta, come si vede negli altri paesi in agitazione. Come può non essere per Assad quel 9% di cristiani se la sua prospettiva diventa quella che vivono i copti in Egitto?

Lo stesso vale per le altre minoranze, che sono meno ostili al laico Assad che alla prospettiva di un nuovo governo che imponga, per esempio, una forma di Sharia.
In questo crogiolo ci sono anche milioni di rifugiati: iracheni e palestinesi, ai quali il regime ha concesso la cittadinanza e non è da ritenere sicuro che un cambiamento politico manterrebbe la stessa legislazione. Va detto chiaramente, poiché tutti lo tacciono, che la Siria è un esempio d’integrazione – e ciò è più che pacifica convivenza o semplice tolleranza – delle differenze religiose ed etniche.

Di fronte a tutto questo occorre avere almeno cautela nell’accogliere le versioni mediatiche quotidiane, sentire quel tanto di responsabilità personale che impedisce di approvare azioni internazionali d’intervento umanitario (che hanno già dimostrato d’essere disumane). Formula più facile per il pubblico che la complessa definizione “responsability to protect” usata in sede Onu (ved. Bush&Blair alla sbarra per l’attacco all’Iraq)

Si consideri almeno una circostanza: Bashar Assad non è un despota che si è impadronito a forza del potere.
Cito Thierry Meyssan di Voltairnet, da altrocampo

Bashar al Assad ha accettato la carica alla morte di suo padre, perché anche il fratello era morto e solo la sua legittimità familiare poteva evitare una guerra di successione tra i generali di suo padre.
Se l’esercito è andato a cercarlo a Londra — dove esercitava la professione di oculista — è il popolo che l’ha insediato.
E’ senza dubbio il leader politico più popolare in Medio Oriente. Fino a due mesi fa, è stato anche l’unico che viaggiava senza scorta, e non era riluttante a fare dei bagni di folla.

Militari che agiscono in modo etico, anziché agire in base alle loro rivalità ripercuotendo le conseguenze sulla popolazione. Un caso insolito, perlomeno!

Perché tutto è cambiato all’improvviso?

Il progetto di spezzare questi due Stati è stato impostato il 6 Maggio 2002 da John Bolton, quando era sottosegretario di stato nell’amministrazione Bush, la sua attuazione avviene da parte dell’amministrazione Obama, nove anni dopo, nel contesto del risveglio arabo.

L’idea principale era causare problemi in una zona ben definita e proclamare un emirato islamico che servisse da base per lo smantellamento del paese. La scelta del distretto Daraa si spiega col fatto che si trova sul confine con la Giordania e le alture del Golan occupate da Israele. Sarebbe stato così possibile rifornire i secessionisti.

Un incidente è stato creato artificialmente, chiedendo agli studenti di impegnarsi nelle provocazioni. Ha funzionato al di là di ogni aspettativa a causa della brutalità e della stupidità del governatore e del capo della polizia locale. Quando le manifestazioni iniziarono, dei cecchini furono posizionati sui tetti per uccidere a caso, sia tra la folla che tra la polizia, uno scenario identico a quello utilizzato a Bengasi per provocare la ribellione.

Altri scontri sono stati pianificati, di volta in volta, nei distretti di confine, per assicurarsi una base di supporto, prima al confine col Libano settentrionale, e poi al confine con la Turchia.

I combattimenti sono stati condotti da piccole unità, spesso composte di quaranta uomini, unendo individui reclutati sul posto e un inquadramento di mercenari stranieri delle reti del principe saudita Bandar bin Sultan. Bandar stesso è giunto in Giordania, dove ha supervisionato l’inizio delle operazioni in collaborazione con funzionari della CIA e del Mossad.

Ma la Siria non è la Libia e il risultato è stato ribaltato. Infatti, mentre la Libia è uno stato creato dalle potenze coloniali, combinando con la forza Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, la Siria è una nazione storica che è stata ridotta alla sua forma più semplice dalle stesse potenze coloniali. La Libia è spontaneamente in preda a delle forze centrifughe, mentre al contrario la Siria attrae forze centripete, che sperano di ricostruire la Grande Siria (che comprende Giordania, Palestina occupata, Libano, Cipro, e parte dell’Iraq). La popolazione della Siria di oggi non può che opporsi al progetto di partizione.

La campagna di propaganda parla quotidianamente di vittime, tacendo quelle fra le forze di polizia, non spiegando chi sono gli insorti - sunniti integralisti che ritengono Bashar un eretico – sovrappone indebitamente le bande di armati con le proteste degli intellettuali Damasco – usa menzogne e icone inventate ad uso dell’occidente, come la bella blogger lesbica che affascinò la rete e poi si scoprì essere un blogger americano.

Oggi il pressing sul governo siriano sta crescendo come quello su Gheddafi; sistemata la Libia con un governo fantoccio, il pendolo sembra, a noi osservatori esterni, oscillare fra Iran e Siria.
Gli Usa affermano che è in atto una guerra civile, i media ripetono, la Lega araba è sul piede di guerra, i disertori dell’esercito beneficiano di aiuti dalla Turchia.
Nel nostro paese l’informazione ha la qualità “illuminante” di questa analisi del Corrriere della Sera, preso ad esempio fra tanti: “Le notizie fanno pensare che il Paese abbia ormai raggiunto il punto di non ritorno” .

Oggi il Commissione per i Diritti umani dell’Onu ha condannato il governo siriano, votanti contro solo 13 paesi, fra i quali Iran, Corea del Nord, Belarus, Nicaragua, Venezuela e Vietnam, in altre parole quelli che potrebbero provare o hanno già provato l’intervento distruttivo degli Usa.
Il ministro degli esteri britannico ha commentato “Più dura la crisi, più la pressione internazionale su Assad s’intensificherà”. Solo Cina e Russia con il loro voto contrario hanno finora bloccato una risoluzione in consiglio di sicurezza, ma oggi in Commissione si sono soltanto astenuti.

La politica non è morale, dovrebbero esserlo i cittadini e non consentire ai loro governi questo gioco del domino su altri popoli…ma ci sono troppi ” infallibili in un mondo fallibile” :
Allora anche l’emergente realismo su quelle che erano definite le primavere arabe può essere “opinione” volatile che sostituisce l’entusiasmo con il cinismo. Favorirà, allora, proprio lo smembramento dei paesi, gli interventi militari sul territorio, un nuovo disegno del M. O. da parte delle potenze occidentali e dei loro alleati tradizionali.
. Dal Dailymail

La narrazione occidentale di moda è quella di coraggiosi combattenti per la libertà che stanno combattendo contro il regime Barbaro del Presidente Assad è pericolosamente con i paraocchi. In verità, l’opposizione al Assad è dominata dai musulmani radicali nostalgia per una teocrazia totalitaria.

ma poi, ambiguo grido di allarme:

L’Occidente ha a svegliarsi alle realtà di ciò che sta accadendo nella regione. Nel fingere che le rivoluzioni sono una forza di liberazione, i nostri leader politici indulgono in velleitarismo o arretrano in codardia.Entro un decennio, l’intero Medio Oriente, dalla Tunisia in Palestina, potrebbe essere nelle mani di islamisti antioccidentale.

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L’immane fallimento in Libia presentato come un successo, la montante medesima tattica in Siria: nessun senso di colpa, nessuna possibilità di trovare vie alternative per promuovere l’aspirazione alla democrazia.

Davvero è possibile continuare così a suon di complotti per rovesciare regimi e insediare fantocci?
Si smetterà soltanto quando le nostre economie saranno troppo stremate per sopportare i costi delle missioni?

E QUESTI NON CONTANO

PROPRIO NIENTE?


Marzo: con Assad

Novembre: non hanno cambiato idea

gli articoli per questo post sono nella raccolta Siria http://www.searcheeze.com/p/mcc43/siria