Davide, Enrico, per favore, un centro che
si chiama Peres e che è diretto da un generale, come può avallare una politica
a favore dei palestinesi? E’ impossibile già in partenza. Ricordo che
Shimon Peres è un criminale di guerra fin dagli anni Ottanta, quando ordinò il
bombardamento di Tunisi, che era pronto a discutere con Sharon e Olmert l’uccisione
di Arafat e che ha sostenuto la guerra al Libano del 2006 e la carneficina di
GAZA nel 2009. Un centro con questo nome deve essere boicottato come sostengono
da tempo anche gli Ebrei contro l’Occupazione. I valdesi sbagliano di
grosso a finanziarlo, probabilmente per ignoranza, ma
oltre all’ignoranza dimostrano poca
umiltà nel non rendersi conto del loro errore dopo che molto glielo hanno fatto
notare.
Lorenzo Galbiati
Da: pace-request at peacelink.it [mailto:pace-request at peacelink.it]
Per conto di Enrico Peyretti
Inviato: giovedì 12 aprile 2012
15.24
A: pace at peacelink.it
Oggetto: Re: [pace] Fwd:
[BDS_italia] mail bombing contro la chiesa valdese
Questa (si vede dall'indirizzo) viene da una socia
della Comunità Papa Giovanni XXIII, di Rimini (al fondo indica il sito), che fa
un ottimo lavoro con i Corpi Civili di Pace, anche proprio in Palestina, con
rischi e sacrifici dei volontari. Forse ha informazioni o almeno sensazioni
dirette. Io non so se i fatti qui denunciati debbano far concludere che ogni
iniziativa benefica israeliana ufficialmente approvata sia funzionale alla
politica di occupazione e apartheid. Ma la lettera del regista lo fa temere. La
malizia dei poteri è tanta. Ma in ogni muro ci sono interstizi, e le formiche
li trovano.
Enrico
Il 12/04/2012 14:55, FrancescaApg23 ha scritto:
Il 12/04/2012 13.55, Davide Bertok ha scritto:
Io quel che vorrei capire è cosa c'è di sconvolgente
se degli israeliani hanno un progetto verso dei palestinesi malati, anzi mi
sembra da elogiare perchè invece di un muro dimostra la solidarietà tra popoli
diversi.
Davide
Non c'è nulla di sconvolgente.
Come non c'è nulla di sconvolgente se la Tavola della pace appoggia i ribelli
armati della Siria.
E non c'è nulla di sconvolgente se ricacciamo gli immigrati in Libia dopo
averli affamati nei loro paesi e costretti a fuggire.
Scusa l'ironia, ma ho visto purtroppo il lavoro di molte associazioni
israeliane che si beano di aiutare i palestinesi... ho visto quanto sia pieno
di menzogna e mistificazione. Ho visto quantosono ricche, quanto poco sia
importante il rispetto verso chi hanno di fronte, anzi diviene strumento di
propaganda. Io ricordo in particolare un progetto analogo di un nostro ente
locale, di cui conobbi i referenti a Nablus. Le famiglie dovevano avere
determinate "caratteristiche" che personalmente trovo discutibili, ma
è un discorso lungo...
Non si può dire "in fin dei conti aiutano i bambini" e chiudere gli
occhi su tutto il resto. Non conosco direttamente il lavoro del centro Peres e
non mi permetto di giudicare quello che non conosco. Conosco però alcuni medici
israeliani - in particolare uno - diPhysicians for human rights Israel, ong
israeliana di indiscusso spessore e serietà, che quando sentono parlare del
centro Peres rabbrividiscono. E il centro è stato fondato da Simon Peres,
personaggio che nel 2009 ha
apertamente lodato i bombardamenti sulla Striscia di Gaza e tutto ciò che hanno
causato. Insomma io sono causa del tuo male ma io sono anche rimedio....
Scusate l'amarezza perchè credo che in tutti coloro che hanno parlato ci sia la
massima buona fede, e credo pure alla buona fede di Paolo Ricca, persona che ho
sempre apprezzato da quando facevo parte del Cipax. Ma questo secondo me
dovrebbe farci alzare ancora più l'attenzione, e forse non è così sbagliato
pensare di dire non do più il mio 8 per mille a chi sostiene certe realtà.
Io non pretendo di avere la verità in mano, chiedo solo di provare ad andare a
vedere le cose con i propri occhi, sentire le persone direttamente interessate.
O qualcuno di cui ci fidiamo che ne sa sicuramente più di noi. Perchè il
rischio di cadere in trappole funzionali ai sistemi è grande.
Io non lo so dire bene, però voglio allegare qui sotto una lettera di un ottima
persona e un ottimo regista, israeliano, Eyal Sivan, che spiega molto bene
l'uso strumentale Israele fa della produzioone culturale, discorso che si può
estendere facilmente alle "buone azioni". Questo per dimostrare che
esiste una democrazia israeliana, dopo se da parte di tante ong o asosciazioni
prendono un sacco di soldi e si guardano bene da denunciare l'occupazione e i
crimini di guerra... beh questo non importa.
Come probabilmente sapete, l'insieme del mio lavoro cinematografico - più di 15
film - ha principalmente per oggetto la società israeliana e il conflitto
israelo-palestinese. Opponendomi alla politica israeliana nei confronti del
popolo palestinese, mi sono sempre sforzato di agire in modo indipendente
affinchè non vi sia nessuna ambiguità sul fatto che io non rappresento la
"democrazia (ebraica) israeliana". Per questo, dall’inizio
della mia carriera cinematografica, più di 20 anni fa, non ho mai beneficiato
di alcun aiuto o di alcun supporto di una qualsiasi istituzione ufficiale
israeliana. Ho sempre agito in modo di evitare che il mio lavoro possa essere
strumentalizzato e rivendicato come una prova dell'atteggiamento liberale
d'Israele; una libertà di espressione e una tolleranza che l’autorità
israeliana accorda solo, ovviamente, a critiche ebraiche israeliane.
La politica razzista e fascista del governo israeliano e il silenzio complice
della maggior parte dei suoi ambienti culturali durante la recente carneficina
operata a Gaza come di fronte alla continua occupazione, alle violazioni dei
diritti umani e alle molteplici discriminazioni nei confronti dei Palestinesi
sotto occupazione o dei cittadini palestinesi dello Stato israeliano –
tutte queste ragioni giustificano il mio mantenere le distanze rispetto ad ogni
avvenimento che potrebbe essere interpretato come una celebrazione del successo
culturale in Israele o una garanzia della normalità del modo di vivere
israeliano. Poiché la vostra retrospettiva fa parte della campagna
internazionale di celebrazione del centenario di Tel-Aviv e gode, a questo
titolo, del sostegno del governo israeliano, non posso che declinare il vostro
invito. D’altra parte, considerando gli attacchi offensivi, umilianti e
continui di cui il mio lavoro è oggetto, in Francia come in Israele, e i
rarissimi israeliani che si sono espressi per difendermi e manifestare la loro
sincera solidarietà (non tengo conto delle dichiarazioni di principio in favore
del privilegio egemonico della "libertà d'espressione"), non mi è
possibile sentirmi solidale con un tale gruppo.
Non posso essere associato ad una retrospettiva che celebra artisti e cineasti
che godono dì una posizione di privilegio assoluto e di una totale immunità, ma
che hanno scelto di tacere quando crimini di guerra venivano commessi in Libano
o a Gaza e che continuano ad evitare di esprimersi chiaramente sulla brutale
repressione della popolazione palestinese, sul blocco di 3 anni e la chiusura
di oltre un milione di persone nella Striscia di Gaza.
Ci tengo a smarcarmi da quei miei colleghi che utilizzano in modo opportunista,
perfino cinico, il conflitto e l'occupazione come sfondo dei loro lavori
cinematografici e come rappresentazione neo-esotica del nostro paese –
pratiche che possono spiegare il loro successo in Occidente e in particolare in
Francia – ed io rifiuto di essere associato a loro nel contesto della
vostra manifestazione.
Anche se il vostro invito aveva suscitato in me qualche esitazione, questa è
stata spazzata via dalla lettura, una quindicina di giorni fa, di un articolo
firmato da Ariel Schweitzer, l'organizzatore della vostra retrospettiva, e
pubblicato su Le Monde. In quest’articolo, che si oppone al boicottaggio
culturale dell’establishment israeliano, egli dichiara: “Delle male
lingue diranno che questa politica culturale serve da alibi, mirando a dare del
paese l'immagine di una democrazia illuminata, una posizione che maschera il
suo vero atteggiamento repressivo verso i Palestinesi. Ammettiamolo. Ma io preferisco
francamente questa politica culturale alla situazione esistente in molti paesi
della regione dove non si possono proprio fare film politici e certo non con
l’aiuto dello Stato”. Su questo punto, devo ringraziare il vostro
organizzatore M. Schweitzer per la sua ingenua sincerità e per le sue
argomentazioni settarie che mi hanno permesso di articolare le ragioni per cui
preferisco mantenere la distanza rispetto alla vostra retrospettiva e ad altri
eventi simili. Infatti, come conferma M. Schweitzer, si tratta, in effetti, di
celebrazioni della politica culturale israeliana e di una difesa dell'ideologia
del ‘male minore’.
Sia la mia storia e la mia tradizione ebraiche che le mie convinzioni e la mia
etica personali mi obbligano, nelle circostanze politiche attuali –
mentre le autorità delle democrazie occidentali e le loro intellighenzie hanno
fatto la scelta di stare al fianco della politica criminale israeliana –
a oppormi pubblicamente con questo atto fermo e non-violento all'attuale regime
di apartheid che esiste oggi in Israele.
Termino riprendendo le parole del mio collega ed amico, il famoso regista
palestinese Michel Khleifi, che non cessa di ricordarci che la sfida che
dobbiamo affrontare, in quanto artisti e intellettuali, è quella di proseguire
i nostri lavori non GRAZIE alla democrazia israeliana, ma MALGRADO essa.
Per questo, sempre in modo non-violento, continuerò a oppormi, e a incitare i
miei colleghi a fare lo stesso, contro il regime israeliano di apartheid e
contro il "trattamento speciale" riservato nelle democrazie
occidentali alla cultura israeliana ufficiale di opposizione.
Augurandomi che accettiate e comprendiate la mia posizione e sperando di avere
l'opportunità di mostrare il mio lavoro in altre circonstanze, con sincera
gratitudine e rispetto,