Questa (si vede
dall'indirizzo) viene da una socia della Comunità Papa Giovanni
XXIII, di Rimini (al fondo indica il sito), che fa un ottimo
lavoro con i Corpi Civili di Pace, anche proprio in Palestina, con
rischi e sacrifici dei volontari. Forse ha informazioni o almeno
sensazioni dirette. Io non so se i fatti qui denunciati debbano
far concludere che ogni iniziativa benefica israeliana
ufficialmente approvata sia funzionale alla politica di
occupazione e apartheid. Ma la lettera del regista lo fa temere.
La malizia dei poteri è tanta. Ma in ogni muro ci sono
interstizi, e le formiche li trovano.
Enrico
Il 12/04/2012 14:55, FrancescaApg23 ha scritto:
Il 12/04/2012 13.55, Davide Bertok ha scritto:
Io
quel che vorrei capire è cosa c'è di sconvolgente se degli
israeliani hanno un progetto verso dei palestinesi malati, anzi
mi sembra da elogiare perchè invece di un muro dimostra la
solidarietà tra popoli diversi.
Davide
Non c'è nulla di sconvolgente.
Come non c'è nulla di sconvolgente se la Tavola della pace
appoggia i ribelli armati della Siria.
E non c'è nulla di sconvolgente se ricacciamo gli immigrati in
Libia dopo averli affamati nei loro paesi e costretti a fuggire.
Scusa l'ironia, ma ho visto purtroppo il lavoro di molte
associazioni israeliane che si beano di aiutare i palestinesi...
ho visto quanto sia pieno di menzogna e mistificazione. Ho visto
quantosono ricche, quanto poco sia importante il rispetto verso
chi hanno di fronte, anzi diviene strumento di propaganda. Io
ricordo in particolare un progetto analogo di un nostro ente
locale, di cui conobbi i referenti a Nablus. Le famiglie dovevano
avere determinate "caratteristiche" che personalmente trovo
discutibili, ma è un discorso lungo...
Non si può dire "in fin dei conti aiutano i bambini" e chiudere
gli occhi su tutto il resto. Non conosco direttamente il lavoro
del centro Peres e non mi permetto di giudicare quello che non
conosco. Conosco però alcuni medici israeliani - in particolare
uno - diPhysicians for human rights Israel, ong israeliana di
indiscusso spessore e serietà, che quando sentono parlare del
centro Peres rabbrividiscono. E il centro è stato fondato da Simon
Peres, personaggio che nel 2009 ha apertamente lodato i
bombardamenti sulla Striscia di Gaza e tutto ciò che hanno
causato. Insomma io sono causa del tuo male ma io sono anche
rimedio....
Scusate l'amarezza perchè credo che in tutti coloro che hanno
parlato ci sia la massima buona fede, e credo pure alla buona fede
di Paolo Ricca, persona che ho sempre apprezzato da quando facevo
parte del Cipax. Ma questo secondo me dovrebbe farci alzare ancora
più l'attenzione, e forse non è così sbagliato pensare di dire non
do più il mio 8 per mille a chi sostiene certe realtà.
Io non pretendo di avere la verità in mano, chiedo solo di provare
ad andare a vedere le cose con i propri occhi, sentire le persone
direttamente interessate. O qualcuno di cui ci fidiamo che ne sa
sicuramente più di noi. Perchè il rischio di cadere in trappole
funzionali ai sistemi è grande.
Io non lo so dire bene, però voglio allegare qui sotto una lettera
di un ottima persona e un ottimo regista, israeliano, Eyal Sivan,
che spiega molto bene l'uso strumentale Israele fa della
produzioone culturale, discorso che si può estendere facilmente
alle "buone azioni". Questo per dimostrare che esiste una
democrazia israeliana, dopo se da parte di tante ong o
asosciazioni prendono un sacco di soldi e si guardano bene da
denunciare l'occupazione e i crimini di guerra... beh questo non
importa.
Come probabilmente sapete, l'insieme del mio lavoro
cinematografico - più di 15 film - ha principalmente per oggetto
la società israeliana e il conflitto israelo-palestinese.
Opponendomi alla politica israeliana nei confronti del popolo
palestinese, mi sono sempre sforzato di agire in modo indipendente
affinchè non vi sia nessuna ambiguità sul fatto che io non
rappresento la "democrazia (ebraica) israeliana". Per questo,
dall’inizio della mia carriera cinematografica, più di 20 anni fa,
non ho mai beneficiato di alcun aiuto o di alcun supporto di una
qualsiasi istituzione ufficiale israeliana. Ho sempre agito in
modo di evitare che il mio lavoro possa essere strumentalizzato e
rivendicato come una prova dell'atteggiamento liberale d'Israele;
una libertà di espressione e una tolleranza che l’autorità
israeliana accorda solo, ovviamente, a critiche ebraiche
israeliane.
La politica razzista e fascista del governo israeliano e il
silenzio complice della maggior parte dei suoi ambienti culturali
durante la recente carneficina operata a Gaza come di fronte alla
continua occupazione, alle violazioni dei diritti umani e alle
molteplici discriminazioni nei confronti dei Palestinesi sotto
occupazione o dei cittadini palestinesi dello Stato israeliano –
tutte queste ragioni giustificano il mio mantenere le distanze
rispetto ad ogni avvenimento che potrebbe essere interpretato come
una celebrazione del successo culturale in Israele o una garanzia
della normalità del modo di vivere israeliano. Poiché la vostra
retrospettiva fa parte della campagna internazionale di
celebrazione del centenario di Tel-Aviv e gode, a questo titolo,
del sostegno del governo israeliano, non posso che declinare il
vostro invito. D’altra parte, considerando gli attacchi offensivi,
umilianti e continui di cui il mio lavoro è oggetto, in Francia
come in Israele, e i rarissimi israeliani che si sono espressi per
difendermi e manifestare la loro sincera solidarietà (non tengo
conto delle dichiarazioni di principio in favore del privilegio
egemonico della "libertà d'espressione"), non mi è possibile
sentirmi solidale con un tale gruppo.
Non posso essere associato ad una retrospettiva che celebra
artisti e cineasti che godono dì una posizione di privilegio
assoluto e di una totale immunità, ma che hanno scelto di tacere
quando crimini di guerra venivano commessi in Libano o a Gaza e
che continuano ad evitare di esprimersi chiaramente sulla brutale
repressione della popolazione palestinese, sul blocco di 3 anni e
la chiusura di oltre un milione di persone nella Striscia di Gaza.
Ci tengo a smarcarmi da quei miei colleghi che utilizzano in modo
opportunista, perfino cinico, il conflitto e l'occupazione come
sfondo dei loro lavori cinematografici e come rappresentazione
neo-esotica del nostro paese – pratiche che possono spiegare il
loro successo in Occidente e in particolare in Francia – ed io
rifiuto di essere associato a loro nel contesto della vostra
manifestazione.
Anche se il vostro invito aveva suscitato in me qualche
esitazione, questa è stata spazzata via dalla lettura, una
quindicina di giorni fa, di un articolo firmato da Ariel
Schweitzer, l'organizzatore della vostra retrospettiva, e
pubblicato su Le Monde. In quest’articolo, che si oppone al
boicottaggio culturale dell’establishment israeliano, egli
dichiara: “Delle male lingue diranno che questa politica culturale
serve da alibi, mirando a dare del paese l'immagine di una
democrazia illuminata, una posizione che maschera il suo vero
atteggiamento repressivo verso i Palestinesi. Ammettiamolo. Ma io
preferisco francamente questa politica culturale alla situazione
esistente in molti paesi della regione dove non si possono proprio
fare film politici e certo non con l’aiuto dello Stato”. Su questo
punto, devo ringraziare il vostro organizzatore M. Schweitzer per
la sua ingenua sincerità e per le sue argomentazioni settarie che
mi hanno permesso di articolare le ragioni per cui preferisco
mantenere la distanza rispetto alla vostra retrospettiva e ad
altri eventi simili. Infatti, come conferma M. Schweitzer, si
tratta, in effetti, di celebrazioni della politica culturale
israeliana e di una difesa dell'ideologia del ‘male minore’.
Sia la mia storia e la mia tradizione ebraiche che le mie
convinzioni e la mia etica personali mi obbligano, nelle
circostanze politiche attuali – mentre le autorità delle
democrazie occidentali e le loro intellighenzie hanno fatto la
scelta di stare al fianco della politica criminale israeliana – a
oppormi pubblicamente con questo atto fermo e non-violento
all'attuale regime di apartheid che esiste oggi in Israele.
Termino riprendendo le parole del mio collega ed amico, il famoso
regista palestinese Michel Khleifi, che non cessa di ricordarci
che la sfida che dobbiamo affrontare, in quanto artisti e
intellettuali, è quella di proseguire i nostri lavori non GRAZIE
alla democrazia israeliana, ma MALGRADO essa.
Per questo, sempre in modo non-violento, continuerò a oppormi, e a
incitare i miei colleghi a fare lo stesso, contro il regime
israeliano di apartheid e contro il "trattamento speciale"
riservato nelle democrazie occidentali alla cultura israeliana
ufficiale di opposizione.
Augurandomi che accettiate e comprendiate la mia posizione e
sperando di avere l'opportunità di mostrare il mio lavoro in altre
circonstanze, con sincera gratitudine e rispetto,
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