Siria, Libano, Iran e Iraq: un intreccio da risiko, se cade Damasco conseguenze su tutta la regione | Atlas



Spero che questi articoli servano.

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Siria, Libano, Iran e Iraq: un intreccio da risiko, se cade Damasco conseguenze su tutta la regione

    di  Maria Scaffidi.  Scritto  il  15 gen 2012  alle  7:00.

Cosa succederebbe se alla fine, come quasi tutti danno per scontato, il regime del presidente siriano Bashar al-Assad dovesse cadere? L’interrogativo non ha facili risposte.

C’è chi ha detto che la Primavera araba si è fermata in Siria: paese complesso, che porta segnati i passaggi della storia, di popoli e religioni diverse. Nelle regioni dove si protesta contro il regime la situazione è più simile a quella di una guerra civile che a una protesta violenta contro il potere centrale. Di ieri l’annuncio della prossima formazione di un Consiglio superiore militare per organizzare militarmente le operazioni contro Assad ma all’interno di una precisa strategia politica. Il Consiglio, che dovrebbe essere presieduto dal generale Mustafa al-Sheikh, si coordinerà con l’Esercito siriano libero, formazione composta da disertori che ha già firmato diversi attacchi.

Sempre ieri, è stato l’emiro del Qatar ad alzare i toni del confronto internazionale e delle pressioni su Damasco. In un’intervista concessa al canale televisivo statunitense Cbs, Sheikh Hamad bin Khalifa Al Thani si è detto favorevole all’invio di truppe militari in Siria. E’ la prima volta che un leader arabo si espone pubblicamente in questo modo sostenendo la necessità di un intervento armato.

Quello che si profila è dunque un inasprimento del confronto armato che, nella speranza degli oppositori, dovrebbe portare alla caduta di Assad. Gli effetti di questa caduta si irraggierebbero su tutta la regione inevitabilmente. Il Libano, innanzitutto, ha sempre risentito nelle sue dinamiche interne dell’influenza siriana. A cedere potrebbe essere la coalizione che ha portato al governo Hezbollah, alleato di ferro di Assad. E riflessi ci saranno anche per Israele che ha già osservato da vicino le dinamiche interne all’Egitto, e per i palestinesi, per Hamas in particolare che in Damasco ha avuto un sostenitore.

Ci sono poi Iraq e Iran. La guerra contro Saddam Hussein e tutto ciò che ne è seguito ha lasciato in dote alla Siria oltre un milione di rifugiati iracheni e non è un caso che Baghdad si sia astenuta in seno alla Lega araba quando si è trattato di votare sanzioni economiche contro Damasco. Probabilmente non è l’unico motivo. L’Iraq lasciato dagli americani è un paese retto da un gruppo dirigente sciita molto vicino a Teheran e quest’ultima è l’alleato più stretto di Damasco nella regione.

Ed ecco, quindi, l’Iran. Perdere l’amico Assad per il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad significherebbe cadere in un isolamento ancora più forte rispetto all’attuale. Teheran può fare affidamento almeno in parte sull’Iraq, può contare sulla Russia, ma per il resto deve cavarsela da sola. Le esercitazioni militari sullo stretto di Ormuz hanno fatto salire il termometro del confronto con gli Stati Uniti, i dubbi sul suo programma nucleare continuano a giustificare sanzioni economiche nei suoi confronti. Ma l’Iran, può contare sulla sua storia millenaria, su un certo grado di coesione nazionale e su istituzioni sicuramente più democratiche di quelle di altri paesi del Golfo.

Fuori da questa conta resta la Turchia, particolarmente interessata alle vicende della Siria, ormai suo ex partner economico e, almeno a parole, pronta a usare la forza per buttare giù Assad. Comunque finisca, il punto è che per la strada di Damasco sono in tanti a voler passare e che l’esito del confronto siriano non è limitato al solo territorio nazionale.