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"Rischio rivolte", il Pentagono valuta l'ipotesi eurocrac
Gli Usa studiano i pericoli dello scenario peggiore
CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Disordini di piazza, rischi diretti per truppe e civili americani ma anche cancellazione di importanti commesse militari: sono questi i timori che il Pentagono nutre guardando ad un’Europa afflitta dalla crisi del debito fino al punto da poter precipitare in una «situazione di frattura». Ad alzare il velo sulle analisi redatte dai pianificatori della Difesa è il generale Martin Dempsey che da settembre ricopre l’incarico di capo degli Stati Maggiori Congiunti - il più alto delle forze armate degli Stati Uniti - e in tale veste è il più importante consigliere militare del presidente Barack Obama. Invitato a parlare a Washington davanti alla platea del centro studi dell’«Atlantic Council», viene incalzato dalle domande dell’editorialista del «Washington Post» David Ignatius.

Dempsey svela così di essersi incontrato la scorsa settimana con Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, per «discutere di questioni economiche sulle quali ammetto di non essere molto preparato». L’incontro «durato due ore» si è reso necessario per approfondire una situazione di potenziale emergenza strategica che Dempsey riassume con questa espressione: «L’Eurozona è in una situazione di grande rischio». Il motivo è la sovrapposizione fra crisi del debito sovrano, violente proteste di piazza come quelle avvenute ad Atene o Roma, e problemi di bilancio in nazioni alleate con le quali che gli Stati Uniti condividono il mantenimento della struttura militare della Nato. L’accordo raggiunto al Consiglio europeo di Bruxelles rassicura Dempsey fino a un certo punto: «So che hanno adottato delle misure e i 17 partner dell’Eurozona tenteranno di allineare meglio le politiche monetarie e fiscali ma non è chiaro, almeno non lo è a me, se questo accordo si rivelerà sufficiente per tenerli assieme» evitando il collasso della moneta unica. Ciò significa che la valutazione del patto di Bruxelles è positiva ma resta in bilico perché lo spettro di una spaccatura dell’Eurozona non è del tutto allontanato.

E’ in tale cornice che Dempsey parla degli aspetti prettamente militari conseguenti all’eurocrisi: «Parte della mia preoccupazione è che il personale militare americano in Europa possa trovarsi esposto a rischi potenziali dovuti a disordini civili ed alla rottura dell’Unione». In ogni situazione di crisi il Pentagono redige piani tesi a fronteggiare possibili rischi e nel caso dell’Eurozona, secondo gli esperti militari, questi concernono tre aspetti in paticolare: rivolte di piazza, fallimento delle banche dove i militari hanno i depositi e sospensione delle forniture di servizi alle basi, dall’elettricità fino all’acqua. Sebbene si tratti solo di scenari potenziali, il Pentagono non può ignorarli schierando in Europa un totale di 80 mila truppe e circa 20 mila dipendenti civili, spesso accompagnati da famigliari. Ma non è tutto perché l’ultimo elemento di preoccupazione citato da Dempsey è in realtà il più concreto: la sorte del programma F-35 ovvero il Joint Strike Fighter progettato per diventare l’aereo del XXI secolo per l’Alleanza atlantica. Si tratta del programma più costoso intrapreso dal Pentagono, la cui realizzazione è in corso in più località di Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia nell’impianto piemontese di Cameri. Dempsey teme che se le difficoltà economiche dell’Eurozona aumenteranno «gli alleati potrebbero essere spinti a ricollocare altrove le risorse destinate al F-35».

Come dire, l’Italia potrebbe dover rinunciare agli investimenti per la costruzione così come altre nazioni europee potrebbero trovarsi a rivedere l’impegno preso ad acquistare esemplari dell’avveniristico velivolo «se inflazione, svalutazione o altre previsioni negative relative ad un possibile collasso dovessero avverarsi» conclude Dempsey, trasmettendo una sensazione di incertezza.

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