Re: [pace] La confusa escalation della crisi siriana. L'insurrezione somiglia sempre più a una guerra - Il Sole 24 ORE



Contributo interessante (anche l'articolo linkato di Dottori)!
Vorrei segnalare anche questo (più vecchio), che completa il quadro pur lasciando in sospeso il discorso sul ruolo di Israele.
Marta
 

Il circolo delle iene

La Santa Alleanza tra petromonarchie del Golfo e imperialisti europei e statunitensi ridisegna il Mediterraneo e aggiorna il progetto del Grande Medio Oriente.
In questo scorcio di secolo l’egemonia degli USA non è più scontata e le difficoltà del polo imperialista europeo accrescono il livello di competizione tra i poli imperialisti.  Questi elementi oggettivi, calati nel contesto della  crisi sistemica del capitalismo, non fanno altro che aumentare la tendenza alla guerra e alla rapina per le risorse economiche.  In questo contesto di competizione si sono affacciate  le petromonarchie e la Turchia, che in questa area, come dire, giocano in casa.

Nel caso dei paesi del Golfo, si tratta di un pezzo di borghesia con un peso sovranazionale con un surplus finanziario considerevole, che ha investito nella guerra alla Libia e per sedare le rivolte in Bahrein, di cui “legittimamente” pretenderà i dividendi economici e politici.
La  borghesia petrolifera e finanziaria della penisola arabica da tempo reclama un adeguamento nella gerarchia internazionale. E’ all’interno di questo settore di borghesia internazionale, in un costante equilibrio conflittuale con gli interessi imperialisti statunitensi ed europei, che nel recente passato si sono sviluppati settori qaedisti  e  forze “islamiche” che hanno dato vita a forme di conflitto non convenzionali. Sono proprio queste  opzioni jhadiste  e qaediste  ad essere “sacrificate”  per avviare una stagione di dialogo tra petromonarchie e NATO.

Questo network di borghesia islamica centrata nei paesi del Golfo  si è dimostrato capace di  sviluppare un’egemonia culturale con una presa che va oltre la mezzaluna araba. E’ forte di mezzi economici, fondazioni benefiche, innovazione tecnologica e televisioni satellitari, e ha dimostrato di saper sviluppare consensi ben oltre gli  aspetti culturali e religiosi. Insomma ha le risorse e gli strumenti per la competizione regionale ed internazionale.E’ un network basato sulla Lega Araba ed il GCC (Consiglio dei Paesi del Golfo),  cresciuto in guerra alle formazioni statali nate dal movimento panarabista e all’Iran, e  sull’asse  “Dio, petrolio, innovazione tecnologica e progresso”; ha sfidato il Fronte della Resistenza per l’egemonia politica sulle  popolazioni arabo-musulmane.

La prima vittima delle supposte rivolte arabe è stato proprio il Fronte della Resistenza costituito da Siria, Iran, Hamas e Hezbollah, un fronte che si è  contrapposto al progetto del Grande Medio Oriente sostenuto dagli imperialismi U.S.A e UE e da  Israele, raccogliendo  consensi in tutto il mondo arabo a detrimento  dell’influenza delle petromonarchie. Il Fronte di Resistenza si è  diviso sul giudizio e l’appoggio alle rivolte arabe e alle guerre civili in Libia e in Siria.  Le organizzazioni come Hamas, legate ai Fratelli Musulmani, hanno sostenuto la guerra civile in Libia, si sono candidate a gestire la transizione compatibile in Tunisia ed Egitto. Nel caso della Siria la fratellanza musulmana fa parte del Consiglio Nazionale Siriano che si oppone al governo di Bashar al Assad e chiede l’intervento straniero per difendere la “popolazione civile”.

Intorno alla ridefinizione di tutta l’area mediterranea e del medio oriente, riprende corpo un’ alleanza tutt’altro che inedita, che, come per la guerra del Golfo, rimette  insieme interessi diversi, dai poli imperialisti U.S.A e UE, ai paesi del GCC, passando per la Turchia, e utilizza le diverse filiazioni dell’Islam politico e pseudo-rivoluzionario per amplificare  le contraddizioni realmente esistenti nei paesi dell’area. Un’alleanza conflittuale che  lavora per incanalare con le buone o con le cattive le proteste di piazza tunisine, egiziane o del Bahrein  nell’alveo delle compatibilità più adatte ad una periferia produttiva, e che punta a scardinare paesi come Libia, Siria ed Iran.
Come per la guerra del Golfo del ‘90 e del ’91, è la Lega Araba a spingere verso l’intervento militare, ieri in Iraq oggi in Siria. L’espulsione di Damasco dalla Lega Araba del 12 novembre è un atto di aperta ostilità. La composita opposizione siriana è cresciuta a seconda dei filoni di pensiero e delle relazioni, a Londra tanto quanto a Parigi, intessendo relazioni con ambienti occidentali e con l’attivissima diplomazia del Qatar. Allo scopo di mantenere l’egemonia sull’area confinante, il governo di Ankara ha via via accelerato la sua azione all’interno della guerra civile in Siria, ospitando diversi incontri ufficiali e relazioni informali con l’opposizione siriana legata alla fratellanza musulmana. Stiamo assistendo ad una escalation interventista tra Qatar e Turchia, che, insieme alla Giordania, si propongono come protettrici dell’opposizione siriana e come retrovia  logistico dell’Esercito di Liberazione Siriano. Con simili mentori non saranno le armi e l’appoggio politico che mancheranno all’Esercito di Liberazione Siriano. Le basi U.S.A in Qatar e Arabia Saudita e la forza militare turca sono in grado di foraggiare e sostenere un conflitto di vaste proporzioni.
La recente aggressione alla Libia conferma che le guerre imperialiste sono volte a smantellare quegli Stati nazione che anche in maniera spuria si oppongono agli appetiti del mercato globalizzato, rifiutandosi o ostacolando la messa a profitto delle ricchezze nazionali, opponendosi alla creazione dei corridoi per il transito di merci e risorse energetiche.

La  Siria, governata dal Fronte Nazionale Progressista,  una compagine di forze di ispirazione socialista in cui sono presenti anche i due Partiti Comunisti, guidata dal BAAS, rappresenta un obiettivo importante economicamente e politicamente .
Negli ultimi anni all’interno del Fronte Nazionale Progressista due schieramenti si sono scontrati duramente sul tema delicatissimo delle privatizzazioni e sulle linee di indirizzo di politica economica. Da una parte la borghesia mercantile, quella del settore edile e i ceti “professionali”, dall’altra i Partiti Comunisti ed una parte del Baas.  Il cuore dello scontro è la privatizzazione dei settori bancario ed energetico, quest’ultimo fonte di forti introiti per le casse dello stato, e la politica di controllo dei prezzi di prima necessità. La privatizzazione, e la conseguente vendita alle grandi compagnie straniere dell’industria energetica, metterebbe a rischio la politica economica dello stato e quindi la capacità di coesione sociale, dichiaravano solo undici mesi fa i comunisti siriani sui  loro siti. Nel frattempo la crisi economica globale ha investito anche la Siria, rafforzando  il malcontento  sociale, che si è saldato alle ferite generate dalla politica di privatizzazioni, dalla farraginosità della macchina statale e dalla differenza tra le città e la periferia di un paese che vede il 53 % dei suoi cittadini concentrati  nei grandi centri urbani.
La Siria negli ultimi decenni ha rappresentato un ostacolo ai progetti egemonici dell’imperialismo e delle petromonarchie, ed è stata in grado di mantenere uno scontro di bassa intensità con Israele attraverso il sostegno ai movimenti come Hamas, Hezbollah e l’alleanza con l’Iran.  L’alleanza tra potenze imperialiste e Vandea islamica serra nuovamente le fila: l’obiettivo è normalizzare il medio oriente, e la Siria del Fronte Nazionale Progressista, il Fronte di Resistenza  e l’Iran sono  ostacolo da rimuovere per  normalizzare l’area, secondo una strategia già rodata nelle diverse guerre contro gli stati nazione ritenuti oramai  superflui, come Jugoslavia, Iraq, e più recentemente Libia. In tutto questo, Israele la piccola Prussia incastrata in mezzo ai  paesi arabi, scruta un orizzonte con troppe incognite ed attori e non può adottare altra scelta che rimanere ferma nelle sue posizioni aspettando in occasione favorevole.
Non abbiamo certezze ma il governo siriano ed i suoi alleati hanno  una base di consenso interno ed internazionale, e con tutta probabilità Damasco proverà a resistere all’aggressione militare. Rimangono poi  le incognite di Hezbollah e dell’Iran: gli ingredienti per una guerra regionale ci sono tutti.
A cura della Commissione internazionale della Rete dei comunisti
fonti e note:
“La Primavera Araba e la situazione del Golfo Persico”, di  Ahmad Abdul Malek,  direttore degli affari dell’informazione del Gulf Cooperation Council (GCC); è stato inoltre direttore del quotidiano qatariota “al-Sharq”.
“L’influenza “fuori misura” del Qatar nella politica araba”, di  Anthony Shadid, New York Times;  Anthony Shadid è un giornalista americano di origini libanesi.
“In Siria è guerra – in maniera strisciante, ma sempre più rapida”, di Abd al-Bari Atwan, giornalista palestinese residente in Gran Bretagna; è direttore del quotidiano panarabo “al-Quds al-Arabi”.
Le vere ragioni della guerra in Libia” di Jean-Paul Pougala, scrittore di origine camerunese, direttore dell’Istituto di Studi Geostrategici e professore di sociologia all’Università della Diplomazia di Ginevra, Svizzera. da http://www.asteclist.com/
In Siria si parla di pluralismo politico” di Sami Moubayed, analista politico siriano; è direttore della rivista Forward;  risiede a Damasco.
Libia. Non è una rivolta popolare ma una guerra civile. I dovuti distinguo di Sergio Cararo analista politico e direttore di  contro piano on line www.contropiano.org 

“Libia. Dalla guerra civile alla guerra del petrolio” di Sergio Cararo ibidem


Da: semprecontrolaguerra <semprecontrolaguerra at gmail.com>
A: semprecontrolaguerra <semprecontrolaguerra at googlegroups.com>; "pace at peacelink.it" <pace at peacelink.it>
Inviato: Mercoledì 14 Dicembre 2011 15:42
Oggetto: [pace] La confusa escalation della crisi siriana. L'insurrezione somiglia sempre più a una guerra - Il Sole 24 ORE

io spero di fare cosa utile inviare articoli sul tema siriano
seleziono quelli che potrebbero dare spunti di conoscenza al di là delle veline dei vari regimi
questo mi pare un resoconto attendibile
personalmente credo che via email spsso non ci si capisca, ma credo che in questa lista lo scopo che perseguiamo tutti è quello della pace. Per cui ben vengano discussioni chiarificatrici.
Non avevo visto le pesanti dichiarazioni della chiesa Siriaca che lasciano perplessi, ho visto tempo fa quelle di un'altra chiesa orientale (Maronita? non ricordo) che invocava la guerra dall'esterno.
La posizione di Dall'Oglio la condivido molto.
Ma quello su cui vorrei attirare l'attenzione non è tanto il discorso dei "diritti umani" da difendere (ci mancherebbe!), ma la trappola che ci tendono, usando appunto di diritti umani per giustificare una nuova guerra.
Anche l'aspetto geopolitico lo dobbiamo capire bene, altrimenti rischiamo di dividere la crisi siriana tra buoni e cattivi e schierarci dalla parte sbagliata (come stanno facendo secondo me i Radicali che guarda caso si schierano sempre dalla parte degli USA). Il nostro compito dovrebbe essere quello di generare dialogo, capacità di convivenza, denunciare operazioni di lotta per il potere che schiacciano sempre esseri umani e i loro diritti.
Un saluto
Tiziano Cardosi (Firenze)

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-12-13/confusa-escalation-crisi-siriana-201618.shtml?uuid=AaY2c1TE

La confusa escalation della crisi siriana. L'insurrezione somiglia sempre più a una guerra

analisi di Gianandrea GaianiCronologia articolo13 dicembre 2011
L'insurrezione siriana sta assumendo progressivamente le caratteristiche di una vera e propria guerra a causa delle accresciute capacità belliche dell'Esercito siriano libero (ELS) guidato dal colonnello Ri­y­adh al Asaad e composto da migliaia di disertori che hanno abbandonato le brigate governative. Incursioni contro centri di comando, imboscate a convogli, uccisioni mirate ma anche vere e proprie battaglie campali avrebbero provocato, secondo Damasco, la morte di oltre un migliaio di soldati fedeli al regime di Bashar Assad in un conflitto che le stime dell'Onu valutano abbia provocato finora 5 mila vittime. Una guerra che sta assumendo sempre più una dimensione internazionale come indicano diversi elementi.
Sembrano confermate le indiscrezioni circa il ruolo delle forze speciali britanniche, francesi, giordane e del Qatar che nella base turca di Iskenderun addestrano i combattenti dell'ELS insieme ai militari di Ankara. Consiglieri militari che si spingerebbero anche nel nord della Siria per affiancare l'esercito ribelle e che sarebbero affiancati da miliziani delle brigate islamiche libiche che combatterono il regime di Gheddafi con il supporto finanziario e militare del Qatar. L'obiettivo di questo embrione di forza multinazionale sembra essere l'istituzione di "corridoi umanitari" o un'area cuscinetto per i ribelli nel nord del Paese. L'opposizione russa e cinese sembra impedire una risoluzione dell'Onu che autorizzi l'intervento internazionale (come in Libia) ma una sorta di copertura politico-giuridica potrebbe venire assicurata dalla Lega Araba adducendo (come in Libia) ragioni umanitarie.
Gli elementi per una crisi internazionale intorno alle sorti del regime siriano ci sono tutti. Miliziani ribelli si infiltrano in Siria dalle frontiere turca, libanese e giordana. L'Iran non lesina aiuti a Damasco consapevole che un crollo di Assad isolerebbe Teheran e le milizie Hezbollah in Libano dove l'attentato che ha ferito il 9 dicembre cinque caschi blu francesi ha indotto Parigi a inasprire le accuse a Damasco.
L'arrivo nel Mediterraneo Orientale del gruppo navale statunitense guidato dalla portaerei George Bush, composto anche da un sottomarino dotato di missili da crociera, ha indotto Mosca a trasferire nella base navale siriana di Tartus la sua portaerei Kuznetsov con alcune navi logistiche e di scorta. Un confronto navale che non si vedeva dai tempi della Guerra Fredda. A rendere credibile l'iniziativa militare di Mosca, che ha nella Siria un alleato storico e un importante cliente per la sua industria militare, potrebbe contribuire Israele la cui posizione nella crisi siriana rimane da chiarire.
Gerusalemme aveva accolto con freddezza l'inizio della rivolta in Siria temendone una deriva simile a quella della "primavera egiziana" per poi mutare ufficialmente posizione. Il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, ha dichiarato domenica scorsa che la caduta del presidente siriano Bashar al Assad sarebbe ''una benedizione'' per il Medio Oriente e anche se "non possiamo dire cosa succederà dopo, in ogni caso sarà un colpo all'asse Iran-Hezbollah''. Secondo Germano Dottori, uno dei più attenti analisti strategici italiani, Mosca potrebbe però aver concordato le proprie recenti iniziative con Israele, che punterebbe così ad "arrestare l'espansione geopolitica della Turchia e arginare la marea montante della Fratellanza musulmana" considerato un obiettivo più importante che "spezzare la mezzaluna sciita che attualmente congiunge l'Iran al Libano meridionale".
Mosca e Gerusalemme hanno del resto intensificato da tempo i rapport anche nel settore dell'intelligence e della sicurezza nonostante la Russia sia il maggior fornitore di armi a Siria e Iran. Un anno or sono Mosca ha acquistato velivoli teleguidati israeliani per 400 milioni di dollari e anche negli ultimi tempi non sono mancati I segnali di un'intesa che negli interessi di Gerusalemme tenderebbe a bilanciare il sostegno che Washington offre ad Ankara e alle rivolte che stanno portando movimenti islamisti al potere in tutto il Mediterraneo meridionale.
Recentemente un satellite israeliano è stato lanciato da un poligono spaziale russo in Kazakhistan e nei giorni scorsi Il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, cittadino sovietico di nascita, si è recato a Mosca dove ha riconosciuto la regolarità delle elezioni russe. Una situazione strategica molto fluida, che ribalta le alleanze storiche alla quale non sono estranei interessi economici dal momento che Ankara è in prima linea a contestare il diritto di Israele di sfruttare gli enormi giacimenti di gas rinvenuti nelle acque tra lo stato, ebraico, il Libano e Cipro.