La confusa escalation della crisi siriana. L'insurrezione somiglia sempre più a una guerra - Il Sole 24 ORE



io spero di fare cosa utile inviare articoli sul tema siriano
seleziono quelli che potrebbero dare spunti di conoscenza al di là delle veline dei vari regimi
questo mi pare un resoconto attendibile
personalmente credo che via email spsso non ci si capisca, ma credo che in questa lista lo scopo che perseguiamo tutti è quello della pace. Per cui ben vengano discussioni chiarificatrici.
Non avevo visto le pesanti dichiarazioni della chiesa Siriaca che lasciano perplessi, ho visto tempo fa quelle di un'altra chiesa orientale (Maronita? non ricordo) che invocava la guerra dall'esterno.
La posizione di Dall'Oglio la condivido molto.
Ma quello su cui vorrei attirare l'attenzione non è tanto il discorso dei "diritti umani" da difendere (ci mancherebbe!), ma la trappola che ci tendono, usando appunto di diritti umani per giustificare una nuova guerra.
Anche l'aspetto geopolitico lo dobbiamo capire bene, altrimenti rischiamo di dividere la crisi siriana tra buoni e cattivi e schierarci dalla parte sbagliata (come stanno facendo secondo me i Radicali che guarda caso si schierano sempre dalla parte degli USA). Il nostro compito dovrebbe essere quello di generare dialogo, capacità di convivenza, denunciare operazioni di lotta per il potere che schiacciano sempre esseri umani e i loro diritti.
Un saluto
Tiziano Cardosi (Firenze)

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-12-13/confusa-escalation-crisi-siriana-201618.shtml?uuid=AaY2c1TE

La confusa escalation della crisi siriana. L'insurrezione somiglia sempre più a una guerra

L'insurrezione siriana sta assumendo progressivamente le caratteristiche di una vera e propria guerra a causa delle accresciute capacità belliche dell'Esercito siriano libero (ELS) guidato dal colonnello Ri­y­adh al Asaad e composto da migliaia di disertori che hanno abbandonato le brigate governative. Incursioni contro centri di comando, imboscate a convogli, uccisioni mirate ma anche vere e proprie battaglie campali avrebbero provocato, secondo Damasco, la morte di oltre un migliaio di soldati fedeli al regime di Bashar Assad in un conflitto che le stime dell'Onu valutano abbia provocato finora 5 mila vittime. Una guerra che sta assumendo sempre più una dimensione internazionale come indicano diversi elementi.

Sembrano confermate le indiscrezioni circa il ruolo delle forze speciali britanniche, francesi, giordane e del Qatar che nella base turca di Iskenderun addestrano i combattenti dell'ELS insieme ai militari di Ankara. Consiglieri militari che si spingerebbero anche nel nord della Siria per affiancare l'esercito ribelle e che sarebbero affiancati da miliziani delle brigate islamiche libiche che combatterono il regime di Gheddafi con il supporto finanziario e militare del Qatar. L'obiettivo di questo embrione di forza multinazionale sembra essere l'istituzione di "corridoi umanitari" o un'area cuscinetto per i ribelli nel nord del Paese. L'opposizione russa e cinese sembra impedire una risoluzione dell'Onu che autorizzi l'intervento internazionale (come in Libia) ma una sorta di copertura politico-giuridica potrebbe venire assicurata dalla Lega Araba adducendo (come in Libia) ragioni umanitarie.

Gli elementi per una crisi internazionale intorno alle sorti del regime siriano ci sono tutti. Miliziani ribelli si infiltrano in Siria dalle frontiere turca, libanese e giordana. L'Iran non lesina aiuti a Damasco consapevole che un crollo di Assad isolerebbe Teheran e le milizie Hezbollah in Libano dove l'attentato che ha ferito il 9 dicembre cinque caschi blu francesi ha indotto Parigi a inasprire le accuse a Damasco.

L'arrivo nel Mediterraneo Orientale del gruppo navale statunitense guidato dalla portaerei George Bush, composto anche da un sottomarino dotato di missili da crociera, ha indotto Mosca a trasferire nella base navale siriana di Tartus la sua portaerei Kuznetsov con alcune navi logistiche e di scorta. Un confronto navale che non si vedeva dai tempi della Guerra Fredda. A rendere credibile l'iniziativa militare di Mosca, che ha nella Siria un alleato storico e un importante cliente per la sua industria militare, potrebbe contribuire Israele la cui posizione nella crisi siriana rimane da chiarire.

Gerusalemme aveva accolto con freddezza l'inizio della rivolta in Siria temendone una deriva simile a quella della "primavera egiziana" per poi mutare ufficialmente posizione. Il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, ha dichiarato domenica scorsa che la caduta del presidente siriano Bashar al Assad sarebbe ''una benedizione'' per il Medio Oriente e anche se "non possiamo dire cosa succederà dopo, in ogni caso sarà un colpo all'asse Iran-Hezbollah''. Secondo Germano Dottori, uno dei più attenti analisti strategici italiani, Mosca potrebbe però aver concordato le proprie recenti iniziative con Israele, che punterebbe così ad "arrestare l'espansione geopolitica della Turchia e arginare la marea montante della Fratellanza musulmana" considerato un obiettivo più importante che "spezzare la mezzaluna sciita che attualmente congiunge l'Iran al Libano meridionale".

Mosca e Gerusalemme hanno del resto intensificato da tempo i rapport anche nel settore dell'intelligence e della sicurezza nonostante la Russia sia il maggior fornitore di armi a Siria e Iran. Un anno or sono Mosca ha acquistato velivoli teleguidati israeliani per 400 milioni di dollari e anche negli ultimi tempi non sono mancati I segnali di un'intesa che negli interessi di Gerusalemme tenderebbe a bilanciare il sostegno che Washington offre ad Ankara e alle rivolte che stanno portando movimenti islamisti al potere in tutto il Mediterraneo meridionale.

Recentemente un satellite israeliano è stato lanciato da un poligono spaziale russo in Kazakhistan e nei giorni scorsi Il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, cittadino sovietico di nascita, si è recato a Mosca dove ha riconosciuto la regolarità delle elezioni russe. Una situazione strategica molto fluida, che ribalta le alleanze storiche alla quale non sono estranei interessi economici dal momento che Ankara è in prima linea a contestare il diritto di Israele di sfruttare gli enormi giacimenti di gas rinvenuti nelle acque tra lo stato, ebraico, il Libano e Cipro.