Re: [pace] Intervista a Gene Sharp, 25-02-2011




L'audio (intervista col documentarista Michelangelo Sevregnini) lo trovate sul nostro blog: http://scirocco.amisnet.org/2011/03/08/nord-africa-teorie-e-tecniche-della-rivoluzione-non-violenta/

mentre il pezzo scritto è questo:

Mentre non si placa il vento della rivolta che soffia su quasi tutto il mondo arabo, dall’ Iraq al Marocco, e dopo l’iniziale sorpresa, analisti ed esperti di geopolitica propongono ipotesi sulla genesi e le prospettive delle proteste, animando il dibattito sulla loro prevedibilità e su quello che avverrà nell’ immediato futuro. C’è chi paragona i fatti degli ultimi 2 mesi ai moti del 1848, chi al 1989 dell’ est europeo dopo la caduta del muro di Berlino, chi ancora alle “rivoluzioni colorate” delle ex repubbliche sovietiche. Si alternano tesi complottiste a visioni naive che leggono nelle “rivoluzioni dei gelsomini” la realizzazione di un’ utopia.
Alcune caratteristiche sembrano certamente unire più o meno tutti gli scenari di queste rivolte: si tratta di movimenti animati dai giovani, ed in particolare quelli più colti e con maggior padronanza della rete; sono partite tutte con proteste non – violente; il massiccio uso della rete è lo strumento di marketing politico per fare pressione sui regimi attraverso l’opinione pubblica internazionale e per richiamare quante più persone possibile nelle piazze.  Caratteristiche che ricordano le idee di Gene Sharp, il filosofo statunitense, autore tra l’altro di un manuale in 198 punti su come innescare una rivoluzione con metodi  non-violenti e fondatore dell’ Albert Einstein Institute, che qualcuno definisce il Machiavelli della non violenza.

Alle idee di Sharp si riferiva esplicitamente il movimento serbo Otpor, tra i principali artefici della caduta di Milosevich. Un movimento che recentemente era entrato in contatto con il movimento egiziano 6 Aprile fornendo consigli pratici e formazione ad alcuni dei suoi  leader carismatici, come i ragazzi del 6 Aprile hanno raccontato anche in un servizio andato in onda su Al Jazeera English. Gli studiosi dell’ Albert Einstein Institute erano presenti in qualità di osservatori in molte proteste di piazza sopratutto a partire dagli anni ‘80. Lo stesso Gene Sharp andò a Tienanmen per assistere alla protesta, altri erano presenti durante le rivoluzioni colorate in Ucraina, Georgia fino alla “rivoluzione dei Cedri” libanese.

I testi di Sharp sono però anche materia di studio per i  servizi segreti e le forze armate statunitensi perché, come lo stesso filoso afferma, «L’azione non violenta è una tecnica per condurre conflitti, al pari della guerra, del governo parlamentare, della guerriglia. Questa tecnica usa metodi psicologici, sociali, economici e politici. Essa, è stata usata per obiettivi vari, sia “buoni” che “cattivi”; sia per provocare il cambiamento dei governi sia per supportare i governi in carica contro attacchi esterni. Il suo utilizzo è unicamente responsabilità e prerogativa delle persone che decidono di utilizzarlo». Quindi le teorie di Sharp vedono la non-violenza come una scelta strategica e non necessariamente morale e sicuramente hanno favorito l’ ascesa di regimi più vicini all’ occidente ad esempio nelle ex repubbliche sovietiche. Molte delle parole d’ ordine e delle tecniche indicate da Sharp hanno avuto eco nelle piazze arabe, dall’idea di rompere il muro della paura a quella della disobbedienza civile di massa per bloccare il paese, fino all’uso della non-violenza per cogliere impreparati i regimi che invece sono attrezzatissimi a reprimere rivolte armate. La paura è che quindi dietro le rivolte in Maghreb ci sia anche una regia statunitense, supponendo che Washington abbia deciso di abbandonare i propri alleati storici nell’area per sostenere regimi più presentabili e che quindi abbia influito per esempio sulla scelta di settori delle forze armate tunisine o egiziane di schierarsi con i rivoltosi: una scelta determinante per l’esito delle rivoluzioni di Tunisi e del Cairo. Ai nostri microfoni Michelangelo Sevregnini, documentarista che da lungo tempo attraversa in lungo e largo il Mediterraneo e che tra l’altro ha raccontato il crollo di Milosevich, spiega che, posto che esista una regia USA, il problema potrebbe nascere nel momento in cui gli interessi di Washington non coincideranno con quelli delle piazze arabe, che quindi potrebbero diventare, loro malgrado, uno strumento per gli interessi degli Stati Uniti. Sevregnini propone un parallelo con la storia del nostro paese: sicuramente l’ intervento degli USA nella seconda guerra mondiale ha coinciso con la voglia di liberazione dal nazi-fascismo degli italiani, tuttavia successivamente il forte sostegno degli Stati Uniti ad un partito del CLN (la Democrazia Cristiana) ha disegnato le istituzioni e la politica italiana per decenni. Per ora il popolo egiziano e quello tunisino tengono alta la guardia e restano in piazza per scongiurare nuovi colpi di stato militari o la vanificazione delle loro rivoluzioni ma, data la forza e la capacità di modificare l’orientamento politico della popolazione da parte dei mezzi di comunicazione, aver paura di un’ ingerenza esterna è lecito. La situazione è ancora molto fluida e ci vorrà molto tempo per farne un analisi rigorosa e basata su qualcosa di più che qualche ipotesi, nel frattempo vi segnaliamo  la traduzione di una recente intervista realizzata dal noto giornalista americano Jesse Walker a Gene Sharp in cui il filosofo parla delle rivolte arabe.

Mentre non si placa il vento della rivolta che soffia su quasi tutto il mondo arabo, dall’ Iraq al Marocco, e dopo l’iniziale sorpresa, analisti ed esperti di geopolitica propongono ipotesi sulla genesi e le prospettive delle proteste, animando il dibattito sulla loro prevedibilità e su quello che avverrà nell’ immediato futuro. C’è chi paragona i fatti degli ultimi 2 mesi ai moti del 1848, chi al 1989 dell’ est europeo dopo la caduta del muro di Berlino, chi ancora alle “rivoluzioni colorate” delle ex repubbliche sovietiche. Si alternano tesi complottiste a visioni naive che leggono nelle “rivoluzioni dei gelsomini” la realizzazione di un’ utopia.
Alcune caratteristiche sembrano certamente unire più o meno tutti gli scenari di queste rivolte: si tratta di movimenti animati dai giovani, ed in particolare quelli più colti e con maggior padronanza della rete; sono partite tutte con proteste non – violente; il massiccio uso della rete è lo strumento di marketing politico per fare pressione sui regimi attraverso l’opinione pubblica internazionale e per richiamare quante più persone possibile nelle piazze.  Caratteristiche che ricordano le idee di Gene Sharp, il filosofo statunitense, autore tra l’altro di un manuale in 198 punti su come innescare una rivoluzione con metodi  non-violenti e fondatore dell’ Albert Einstein Institute, che qualcuno definisce il Machiavelli della non violenza.
Alle idee di Sharp si riferiva esplicitamente il movimento serbo Otpor, tra i principali artefici della caduta di Milosevich. Un movimento che recentemente era entrato in contatto con il movimento egiziano 6 Aprile fornendo consigli pratici e formazione ad alcuni dei suoi  leader carismatici, come i ragazzi del 6 Aprile hanno raccontato anche in un servizio andato in onda su Al Jazeera English. Gli studiosi dell’ Albert Einstein Institute erano presenti in qualità di osservatori in molte proteste di piazza sopratutto a partire dagli anni ‘80. Lo stesso Gene Sharp andò a Tienanmen per assistere alla protesta, altri erano presenti durante le rivoluzioni colorate in Ucraina, Georgia fino alla “rivoluzione dei Cedri” libanese.

I testi di Sharp sono però anche materia di studio per i  servizi segreti e le forze armate statunitensi perché, come lo stesso filoso afferma, «L’azione non violenta è una tecnica per condurre conflitti, al pari della guerra, del governo parlamentare, della guerriglia. Questa tecnica usa metodi psicologici, sociali, economici e politici. Essa, è stata usata per obiettivi vari, sia “buoni” che “cattivi”; sia per provocare il cambiamento dei governi sia per supportare i governi in carica contro attacchi esterni. Il suo utilizzo è unicamente responsabilità e prerogativa delle persone che decidono di utilizzarlo». Quindi le teorie di Sharp vedono la non-violenza come una scelta strategica e non necessariamente morale e sicuramente hanno favorito l’ ascesa di regimi più vicini all’ occidente ad esempio nelle ex repubbliche sovietiche. Molte delle parole d’ ordine e delle tecniche indicate da Sharp hanno avuto eco nelle piazze arabe, dall’idea di rompere il muro della paura a quella della disobbedienza civile di massa per bloccare il paese, fino all’uso della non-violenza per cogliere impreparati i regimi che invece sono attrezzatissimi a reprimere rivolte armate. La paura è che quindi dietro le rivolte in Maghreb ci sia anche una regia statunitense, supponendo che Washington abbia deciso di abbandonare i propri alleati storici nell’area per sostenere regimi più presentabili e che quindi abbia influito per esempio sulla scelta di settori delle forze armate tunisine o egiziane di schierarsi con i rivoltosi: una scelta determinante per l’esito delle rivoluzioni di Tunisi e del Cairo. Ai nostri microfoni Michelangelo Sevregnini, documentarista che da lungo tempo attraversa in lungo e largo il Mediterraneo e che tra l’altro ha raccontato il crollo di Milosevich, spiega che, posto che esista una regia USA, il problema potrebbe nascere nel momento in cui gli interessi di Washington non coincideranno con quelli delle piazze arabe, che quindi potrebbero diventare, loro malgrado, uno strumento per gli interessi degli Stati Uniti. Sevregnini propone un parallelo con la storia del nostro paese: sicuramente l’ intervento degli USA nella seconda guerra mondiale ha coinciso con la voglia di liberazione dal nazi-fascismo degli italiani, tuttavia successivamente il forte sostegno degli Stati Uniti ad un partito del CLN (la Democrazia Cristiana) ha disegnato le istituzioni e la politica italiana per decenni. Per ora il popolo egiziano e quello tunisino tengono alta la guardia e restano in piazza per scongiurare nuovi colpi di stato militari o la vanificazione delle loro rivoluzioni ma, data la forza e la capacità di modificare l’orientamento politico della popolazione da parte dei mezzi di comunicazione, aver paura di un’ ingerenza esterna è lecito. La situazione è ancora molto fluida e ci vorrà molto tempo per farne un analisi rigorosa e basata su qualcosa di più che qualche ipotesi, nel frattempo vi segnaliamo la traduzione di una recente intervista realizzata dal noto giornalista americano Jesse Walker a Gene Sharp in cui il filosofo parla delle rivolte arabe.

 


Il giorno 08 marzo 2011 13:42, Lorenzo Dellacorte <l_coortis at yahoo.it> ha scritto:
Manca solo che la Monsanto brevetti "le manifestazioni di piazza"!

--- Mar 8/3/11, Fouad Roueiha <fouad.roueiha at gmail.com> ha scritto:

Da: Fouad Roueiha <fouad.roueiha at gmail.com>
Oggetto: Re: [pace] Intervista a Gene Sharp, 25-02-2011
A: pace at peacelink.it
Data: Martedì 8 marzo 2011, 11:03


Ma tu pensa, proprio oggi ne parliamo anche ad AMISnet... tra qualche ora pubblico una simpatica chiacchierata sull' influenza (vera o presunta) dell' Albert Eisntein Istitute nelle rivolte arabe e le possibili implicazioni e conseguenze, in termine di "controllo" statunitense sulle proteste o sui risultati delle proteste. Appena pubblico vi invio il link

Il giorno 08 marzo 2011 06:30, Enrico Peyretti <e.pey at libero.it> ha scritto:

(Italian ) Insegnare il potere della gente (People power)

FOREIGN LANGUAGES

by Jesse Walker intervista Gene Sharp - Centro Studi Sereno Regis

Gene Sharp parla del conflitto nonviolento, del Medio Oriente, e del perché dobbiamo ripensare la politica.




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"La non-violenza è la risposta ai cruciali problemi politici e morali del nostro tempo; la necessità per l'uomo di aver la meglio sull'oppressione e la violenza senza ricorrere all'oppressione e alla violenza. L'uomo deve elaborare per ogni conflitto umano un metodo che rifiuti la vendetta, l'aggressione, la rappresaglia. Il fondamento d'un tale metodo è l'amore."  Martin Luther King 11/11/1964




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