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Re: [reg-piemonte] I libici sono soli
- Subject: Re: [reg-piemonte] I libici sono soli
- From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
- Date: Tue, 8 Mar 2011 06:44:43 +0100
Allego interessante intervista. Interessante non significa indiscutibile. Chi cerca di lavorare per la pace è contrario ad ogni ingerenza militare e ad ogni colonialismo passato o presente. Non mi pare giusta l'indifferenza, mentre i popoli lottano per essere liberi e giusti. La solidarietà umana e politica è giusta. Aiutiamoci per trovare i modi giusti. Saluti cordiali. Enrico Peyretti, Torino ----- Original Message ----- From: <hisao.fujitayashima at unito.it> To: <e.pey at libero.it> Cc: Sent: Monday, March 07, 2011 6:57 PM Subject: Re: [reg-piemonte] I libici sono soli > Egr. Sig. Peyretti, > Egr. Sig. Sullo, > Io vivo in Algeria. Vi prego di rimanere indifferenti, > cioe' vi prego di non cercare ingerenze. Vista la grave > situazione in Libia, la notra preoccupazione principale > e' l'eventualita' dell'ingerenza militare degli Stati Uniti > e della NATO. Mi sembra che voi non abbiate alcuna > sensibilita' dei popoli che subito secoli di dominazione > cololiale. Allora sarebbe miglio che voi non diciate nulla, > i problemi dei paesi arabi devono essere risolti solo > dalla popolazione araba e non da voi "democratici > del paese ex-colinizzatore". > Coprdiali saluti. > > > > > ------------------ Messaggio originale ------------------- > > Oggetto: [reg-piemonte] I libici sono soli > > Da: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it> > > Data: Lun, 7 Marzo 2011, 4:44 pm > > A: "lista Peacelink Pace" <pace at peacelink.it> > > "lista pax christi gr discussione" > > <paxchristi at yahoogroups.com> > > "lista nonviolenti" > > <nonviolenti at liste.retelilliput.org> > > "lista Mir dibattito" > > <mir-riconciliazione at yahoogroups.com> > > "Lista Menapace" <lista123lm at gmail.com> > > "LISTA LILLIPUT PIEMONTE" > > <reg-piemonte at liste.retelilliput.org> > > "lista eco-fem-nv" > > <eco-fem-nonviolenta at lists.unbit.it> > > "lista donne in nero" > > <donneinnero-owner at listas.nodo50.org> > > "lista BCP" <ml-beati at beati.org> > > "lista angelo casati 01" > > <sullasoglia at yahoogroups.com> > > "lista alteracultura" <info at alteracultura.org> > > ---------------------------------------------------------- > > > > Care e cari, scusate la molestia ma sentivo la necessità > > urgente di far qualcosa: quel che so fare (forse) è > > scrivere, quindi ho scritto, e messo nel sito di > > Democrazia chilometro zero (www.democraziakmzero.org), un > > mio testo sull'indifferenza sostanziale con cui sinistre, > > movimenti, pacifisti, ecc. - e i loro mezzi di > > comunicazione - guardano ai ribelli libici e al massacro > > che Gheddafi sta compiendo. Trovo tutto questo scandaloso. > > Ditemi, se avrete la pazienza di leggere, cosa ne pensate > > e, se siete d'accordo, fate girare il testo in tutte le > > liste cui siete iscritti. Lo stesso farò io. Vi allego > > l'articolo e lo metto anche qui nel messaggio. > > Grazie > > Pierluigi Sullo > > > > > > > > I libici sono soli > > > > > > di Pierluigi Sullo > > > > In questi giorni mi domando con crescente angoscia: perché > > sinistre, movimenti, sindacati, centri sociali, pacifisti > > e società civile variamente attiva sembrano più che altro > > indifferenti a quel che sta avvenendo in Libia? Nel paese > > nostro dirimpettaio, sul Mediterraneo, un dittatore al > > potere da più di quaranta anni sta macellando il suo > > popolo e qui nessuno o quasi sembra turbato. > > > > Non dico convocare una manifestazione di sostegno ai > > rivoluzionari libici (così loro chiedono di essere > > chiamati, proprio come i tunisini e gli egiziani) e per > > fermare il massacro, ma un appello, una indignazione > > diffusa, articoli di fuoco su giornali e siti di sinistra > > o dei vari movimenti. Io stesso ho partecipato al primo > > sit in davanti all'ambasciata di Gheddafi a Roma, intorno > > al 20 di febbraio: c'era qualche libico che vive qui, > > qualcuno dei centri sociali, di Rifondazione e della Fiom. > > Una parte del discorso di Nichi Vendola, nel meeting di > > qualche domenica fa, era dedicata alla ribellione e al > > dittatore libico, citato come tale. Poi, quasi più nulla. > > E quando, domenica 6 marzo, nel Tg3 serale, ho visto > > Walter Veltroni invocare un mobilitazione a favore del > > popolo libico, per la prima volta in molti anni ho pensato > > «ha ragione». > > > > Frequento, un po' per professione e un po' per vizio, > > molti «mezzi di comunicazione» di sinistra o di movimenti > > vari, e sono stupefatto della sostanziale assenza di > > reazione. Certo, il manifesto pubblica ogni giorno > > reportage e commenti, ha anche un inviato (sebbene > > «embedded» come lui stesso si definisce) a Tripoli. Ma il > > giornale che sta a cuore a tutti noi e che continua a > > influenzare l'opinione di sinistra, o almeno a > > rappresentarne una parte rilevante, sembra finito in una > > «no fly zone», in una terra morta tra la rievocazione un > > po' disperata di quel che fu, ossia delle rivoluzioni > > militar-progressiste e socialiste nei paesi arabi, e > > l'allarme per il possibile intervento militare degli > > occidentali e degli Stati uniti. La vecchia logica per la > > quale chi è amico del mio nemico è mio nemico sembra > > irresistibile. > > > > > > Nel sito di «Mémoires des luttes», la rivista francese che > > fa capo a Ignacio Ramonet e a Bernard Cassen, che non si > > può dire non guardino con simpatia ai governi > > «progressisti» latinoamericani, e a quello di Chavez in > > particolare, si può trovare un articolo di Bernard Perrin, > > pubblicato in origine sul sito del quotidiano indipendente > > svizzero Le Courrier, che giudica uno «stupefacente e > > inquietante parallelismo» quello tra l'inquietudine di > > molti governi europei di fronte alla possibilità che > > Gheddafi venga rovesciato dal suo popolo, e la paura, che > > si è impadronita dei governi di sinistra dell'America > > latina, di veder cadere «un compagno rivoluzionario». > > Infatti, aggiungo io, Chavez ha proposto una mediazione > > che è piaciuta solo a uno degli agenti in gioco: Gheddafi. > > Ma anche il governo del boliviano Evo Morales non scherza. > > Quel che vedono, questi governanti, è solo il tentativo > > occidentale di accaparrarsi il petrolio libico. > > > > «Finché la sinistra disprezzerà la questione del rispetto > > dei diritti dell'uomo, considererà che la realpolitik > > possa giustificare tutto e confonderà la lotta > > anti-imperialista con la lotta a morte delle élites > > burocratiche - scrive Perrin citando Hervé do Alto, > > politologo francese legato all'edizione boliviana di Le > > Monde diplomatique - non ci potremo aspettare niente di > > buono da essa». E, sempre citato da Perrin, aggiunge Raul > > Zibechi, giornalista e scrittore uruguayano: «Bisogna > > guardare l'orrore in faccia: talvolta la sinistra non ha > > voluto vedere né sentire né capire le sofferenze della > > gente in basso, sacrificata sull'altare della rivoluzione. > > Ma questa volta non potremo dire che non sapevamo». > > > > Sconcertato dall'atteggiamento del manifesto, sono andato > > allora a vedere cosa ne scrive Liberazione, il quotidiano > > di Rifondazione. Nel cui sito si trovano poche e scarne > > notizie, quasi tutte di carattere > > diplomatico-internazionale. Potrei sbagliare - non vedo > > con continuità il giornale diretto da Dino Greco - ma se > > avessero promosso un appello, una chiamata alla > > solidarietà con i libici, questo sul sito ci sarebbe > > certamente. > > > > E allora Global Project, il sito dei centri sociali del > > nord est: molto ben fatto e pronto a reagire, in genere. > > Ci trovo solo un articolo, scritto da Giampaolo Calchi > > Novati per il manifesto, in cui si parla di «impropria > > alleanza tra giovani ed eserciti», in Tunisia ed Egitto, e > > ci si preoccupa soprattutto - di nuovo - che gli Stati > > uniti possano mettere le mani sul petrolio libico. Degli > > insorti, i ragazzi, gli artigiani, le persone comuni che > > si stanno difendendo dai mercenari e dai fedeli di > > Gheddafi, nemmeno una parola. Ma nel sito di Global si > > trovano anche testi e discorsi video di un seminario in > > più puntate sul «tumulto», sulla rivolta cioè, che si > > tiene a Roma. Datato 28 febbraio, c'è un testo di Alberto > > Do, per altri versi interessante, in cui si parla > > diffusamente di Tunisia ed Egitto: sulla Libia nemmeno una > > parola, benché la rivolta sia iniziata il 17 febbraio. > > > > > > La mia impressione è che la rivoluzione dipende. Se le vie > > di Tunisi o Piazza Tahrir al Cairo si riempiono di gente > > che vuole abbattere tiranni esplicitamente amici > > dell'Occidente, come Ben Ali e Mubarak, allora si inneggia > > alla ribellione (e Valentino Parlato, per stabilire la > > differenza tra un dittatore e un altro, scrive che > > l'«amicizia» tra Gheddafi e Berlusconi è stata «un errore» > > del dittatore libico); se invece il tiranno è percepito > > come un avversario degli occidentali, allora la ribellione > > diventa dubbia. E siccome a tutte le evidenze dubbia non > > è, anzi è autenticamente popolare, come testimoniano tutti > > i giornalisti che hanno potuto incontrarne i protagonisti, > > e sicuramente non è una manovra di Al Qaeda (come strilla > > il tragico clown di Tripoli), e non è neppure una longa > > manus dell'imperialismo statunitense, allora i ribelli di > > Bengasi e compagni cadono in un limbo: non si può > > sostenerli né parlarne male, quindi si preferisce evitare > > il tema e ci si rifugia in considerazioni geopolitiche, > > geostrategiche, geoqualcosaltro. Come dice Zibechi, le > > sofferenze della gente reale spariscono. E d'altra parte i > > libici resistono con le armi - quelle che hanno recuperato > > grazie alle diserzioni nell'esercito - quindi anche i > > pacifisti, evidentemente, non provano simpatia, anche se > > la non violenza non consiste semplicemente nel lasciarsi > > fucilare dai tiranni. > > > > > > E sì che le rivoluzioni arabe, non solo del Maghreb ma > > della penisola arabica e dell'Iraq, avrebbero molto da > > insegnarci. Ignacio Ramonet ha indicato quelle che secondo > > lui sono le diverse cause di una esplosione imprevista e > > intimamente democratica. Ci sono cause storiche, scrive > > Ramonet, ossia la degenerazione di regimi nati come > > «laici» o addirittura «socialisti» (quello algerino, ad > > esempio). Ci sono cause politiche, come il fatto che le > > dittature sono state sostenute dall'occidente in nome > > della lotta al «terrorismo islamico» e della diga > > all'invasione di migranti (come Gheddafi, che faceva il > > lavoro sporco per l'Italia e ora agita la minaccia una > > «invasione»). C'è la crisi economica globale, che lì > > colpisce più che altrove. C'è - a sorpresa, per una > > visione di sinistra - una causa ambientale: la siccità > > provocata dalla crisi climatica che due anni fa ha ridotto > > di un terzo la produzione di grano in Russia, la > > conseguente chiusura delle esportazioni e l'impennata del > > prezzo degli alimenti di base sui mercati internazionali, > > che - avverte in questi giorni anche la Fao - sta > > scuotendo tutte le società del Sud del mondo. E c'è, > > infine, una causa sociale: il contrasto durissimo tra > > livelli di scolarizzazione molto alti e livelli di > > occupazione bassissimi e di bassa qualità, in paesi molto > > giovani. > > > > Di questo varrebbe la pena discutere. Guardando a quel che > > succede dall'altra parte del Mediterraneo come a una > > speranza. Le finte democrazie egiziana e tunisina (e noi > > italiani di finta democrazia ne abbiamo in abbondanza) non > > avrebbero consentito cambi sostanziali del modo di vita e > > della partecipazione democratica. Non parliamo della > > dittatura «verde» di Gheddafi. Quindi quelle società sono > > esplose. Hanno mostrato come si possa - in modo pacifico, > > fin quando non si incontra un tiranno omicida - cambiare > > le cose. Perciò dovremmo in ogni modo possibile sostenere > > le persone che l'aviazione di Gheddafi bombarda e i suoi > > sicari ammazzano per le strade. Perciò mi chiedo, io che > > insieme a tanti altri reggevo lo striscione della > > manifestazione contro la guerra in Iraq, il 13 febbraio > > del 2003, dietro al quale si erano radunate tre milioni di > > persone, che fine abbia fatto quella aspirazione alla pace > > e alla democrazia. Per tutti. Libici compresi. > > > > > > In ogni modo, per quel che serve, allego il link alla > > pagina di Twitter che i rivoluzionari libici hanno aperto > > per far circolare anche le loro informazioni: > > http://twitter.com/LibyanTNC > > >
Allegato Rimosso
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