Mezzi e fini
Nonviolenza violenta
?
(pubblicato su il foglio n. 319, febbraio 2005, www.ilfoglio.info)
Tutto serve. Tanti anni fa, in Spagna, lessi su un muro
«Los guerrilleros de Cristo Rey, somos la ley». Gesù guerrigliero, di
estrema destra. A quando Gandhi alfiere dell’impero? Nella pubblicità,
come Gesù, è già stato ripetutamente usato. Anche i suoi metodi possono
servire a tutto, secondo l’articolo Nell’ombra delle “rivoluzioni
spontanee”, di Régis Genté e Laurent Rouy, su Le Monde
Diplomatique (gennaio 2005, p. 6). Nel ’99 in Jugoslavia, falliti i
bombardamenti della Nato, si organizzano, e si finanziano bene, potenti
manifestazioni popolari nonviolente e Milosevic (il quale se lo merita
pure) cade. Serbia, Georgia, Ucraina: funziona! Il metodo è quello delle
grandi rivoluzioni nonviolente dell’89 nell’Europa orientale. Certo, non è
solo manipolazione, c’è una vera insorgenza popolare contro autoritarismi
e dittature. Ma il metodo serve a qualunque scopo.
Aggiustare le elezioni
Dove un potere deve un po' aggiustare le elezioni per
legittimarsi - ma questo non è successo, almeno nel 2000, anche negli Usa,
modello di democrazia da esportazione forzata? - si infiltrano – secondo
gli autori dell’articolo - organizzazioni e fondazioni americane. Una, il
National Democratic Institute, è presieduta da Madeleine Albright, quella
che disse che le vittime della guerra del Golfo «valevano la pena».
Un’altra, Freedom House, è diretta da James Woolsey, ex capo della Cia,
già attivo in Serbia nel 2000. Vanno in aiuto a parti interne che
«volevano far crollare il regime più che avere libere elezioni», come dice
Gia Jorjolani, del Centro per gli studi sociali di Tbilisi,
Georgia.
I media e i movimenti studenteschi (Otpor,
Resistenza, in Jugoslavia) vi hanno grande parte. Seminari di “formazione
per formatori” sono tenuti anche a Washington (9 marzo 2004), pare con la
presenza di Gene Sharp, teorico della lotta nonviolenta e autore di un
classico manuale in tre volumi, Politica dell’azione nonviolenta
(edizioni Ega, Torino), molto usato anche dai nonviolenti italiani.
Quelle rivoluzioni nonviolente in Serbia e
Georgia, a detta degli stessi politici che hanno preso il potere, sono
state sostenute da forze contrarie ai precedenti regimi. Nelle recenti
elezioni contestate e ripetute, sotto pressione popolare, in Ucraina,
hanno avuto parte evidente la Polonia e l’Unione Europea. Personaggi ivi
emergenti fanno parte della nomenklatura arricchitasi con le
privatizzazioni. Non sempre ci guadagna la democrazia: un anno dopo la
“rivoluzione delle rose” in Georgia, una militante per i diritti umani,
Tinatin Khidasheli, scrive «La rivoluzione delle rose è appassita»
(International Herald Tribune, Parigi, 8 dicembre 2004).
La politica estera americana, dunque, si
servirebbe oggi non solo della guerra, ma anche di questi movimenti, non
veramente spontanei, anche se attecchiscono grazie ai difetti, e a volte i
crimini, dei regimi contestati. Pare che, oltre l’area ex-sovietica, punti
ora ad applicare il metodo a Cuba, mentre nel Medio Oriente le possibilità
sono scarse, anche per l’odio che gli Usa si sono guadagnati.
Democrazia metodo e fine
Che dire, da parte di chi crede nella
nonviolenza come metodo giusto per fini giusti? Anzitutto, proprio questo:
non solo i mezzi devono non essere violenti, ma anche i fini. La Germania
nazista e l’antisemitismo fascista, cominciarono la persecuzione degli
ebrei, diretta allo sterminio, col boicottaggio economico, che in sé è un
tipico mezzo nonviolento contro le economie ingiuste. Usare mezzi giusti
per fini ingiusti è tanto ingiusto quanto usare mezzi ingiusti per fini
giusti. La nonviolenza gandhiana è una speranza per l’umanità spinta
sull’orlo della distruzione totale dalla ideologia della violenza:
manipolarla per fini di dominio, uguali a quelli che si cercano con la
guerra e la violenza, è falsificare un valore umano. La nonviolenza non è
solo una tecnica utile, ma la cultura del rispetto dell’umanità in ogni
persona e popolo. Come insieme di tecniche può servire al dominio
incruento e sottile, ma non meno ingiusto. Come cultura e spiritualità non
può farsi strumentalizzare dall’ingiustizia del dominio. Perciò, la
ricerca della nonviolenza non può essere semplice attivismo, ma educazione
morale profonda. Su di ciò i nonviolenti devono vigilare e approfondire il
loro lavoro. Si sono già viste anche da noi forze politiche sbandierare
Gandhi e poi rendersi utili ai potenti e persino alla guerra.
Certo, puntare al potere con la demagogia incruenta è
qualcosa di meglio che con una guerra o un golpe sanguinario,
mezzi usati senza scrupoli da chi ora si serve della nonviolenza,
ma mai da Gandhi, da Luther King, da Badshah Khan. Così, la democrazia,
ovviamente, è meglio della dittatura. Ma essa è vera se e quando le
persone si educano a decidere secondo giustizia, e non soltanto perché si
contano le teste invece di tagliarle. Non c’è vera democrazia là dove le
teste decidono liberamente di tagliarne altre, o di opprimerle, o
tacitarle. La democrazia che elegge Hitler è falsa democrazia, forma senza
sostanza. Non c’è vera democrazia dove il principio di maggioranza
instaura una dittatura della maggioranza, come sta accadendo in Italia. La
democrazia è un metodo, ma soprattutto un fine: farci tutti più rispettosi
della comune umanità. Perciò la nonviolenza dei mezzi e dei fini è
l’aggiunta e il completamento della democrazia.
Enrico Peyretti (22 gennaio 2005)
Sull’articolo di Le Monde
diplomatique ho sentito il parere di Jean-Marie Muller, che mi
risponde: «Io sarei forse meno reticente di te nel salutare l’azione
nonviolenta degli ucraini. Ma hai ragione nel chiamare alla vigilanza per
essere sicuri che i mezzi giusti della nonviolenza siano messi al servizio
di un fine giusto» (e. p.)