I MATERIALI
DELL’UNITA’
Di Raniero La Valle, per
la rubrica “Resistenza e pace” su Rocca, rocca at cittadella.org
È una gran fortuna che Pio
IX non abbia seguito il patriottico abate Vincenzo Gioberti che avrebbe voluto
metterlo a capo del federalismo italiano, “non solo come successore di Pietro,
vicario di Cristo e capo della Chiesa universale, ma come doge e gonfaloniere
della Confederazione italiana, arbitro fraterno e pacificatore di Europa,
istitutore e incivilitore del mondo, padre spirituale del genere umano, erede
e ampliatore naturale e pacifico della grandezza latina”. Fu una fortuna che Papa Mastai abbia tradito le
speranze riposte in lui dai liberali ed abbia lasciato orfano il partito
neo-guelfo, altrimenti forse non staremmo qui a festeggiare i 150 anni
dell’unità d’Italia, e ancor maggiore sarebbe stato il danno per la Chiesa,
che i bersaglieri non avrebbero potuto liberare dal potere temporale, come
invece fecero suscitando, un secolo dopo, la gratitudine del papa Paolo VI.
Ma i bersaglieri fecero
anche di più, provocando col loro arrivo la fine prematura del Concilio
Vaticano I, che fece appena in tempo a proclamare l’infallibilità pontificia,
qualificata come indipendente “dal consenso della Chiesa”, e che in quel clima
non prometteva niente di buono; interruzione che lasciò sgombro il terreno per
la grande svolta anticostantiniana del Concilio Vaticano II. Il fatto poi che
l’unificazione italiana coincidesse con la fine dello Stato pontificio,
scongiurò che ci fosse tra i regnanti europei, e irrompesse nelle dottrine
politiche, la figura di un sovrano non solo assoluto, ma
infallibile.
Anche se sconfitti, i
cattolici e la Chiesa furono dunque tra i maggiori beneficiari dell’unità
italiana. E anche se a lungo la osteggiarono, in realtà ripagarono l’Italia
con benefici ancora maggiori. Fu un prete, Luigi Sturzo, che si inventò un
partito popolare di cattolici, abbastanza laico da tenersi rigorosamente fuori
della “questione romana” e da non assumere come proprio programma politico “i
diritti imprescrittibili della Santa Sede”; e fu il partito che, insieme a
quello socialista, inaugurò la
democrazia di massa in Italia, combattendo contro il clientelismo dei collegi
uninominali, opponendosi al suffragio ristretto e conquistando la
proporzionale, la quale introdusse una vera dialettica politica tra le classi
e le diverse tradizioni ideali e culturali del Paese.
Il fascismo fu la prima
vera rottura dell’unità italiana, perché negò i diritti comuni di
cittadinanza, gli antifascisti li mise fuori, al confino, e contro gli ebrei
spiccò le leggi razziali.
Ma furono di nuovo i
cattolici, passati attraverso la prova della Resistenza, che riuscirono ad
interpretare i valori del nuovo risorgimento italiano e alla Costituente, in
grande lealtà di intesa con comunisti socialisti e liberali, diedero vita a
una Costituzione di straordinaria modernità che ripudiava la guerra, liquidava
la cultura della disuguaglianza, condannava sciovinismi e razzismi e disegnava
un’architettura di garanzie e di diritti entro cui fossero iscritti i poteri
dello Stato.
Per questa ragione dei 150
anni di storia italiana, quelli seguiti alla Costituzione del ’48, gli anni
della Repubblica, sono stati gli anni più creativi, più equi e più felici,
accaniti nella lotta politica ma unitari nel pluralismo di una democrazia
condivisa.
Alla scadenza dei 150 anni
il rischio è che vadano perduti i materiali con cui si è costruita questa
unità. La Chiesa è tentata di tornare alla potestà diretta nelle cose
temporali, i cattolici sono scomparsi dalla politica, e perciò inabilitati a
portarvi alcun contributo creativo, i partiti operai e di massa sono stati
chiusi per lutto, la proporzionale è stata sacrificata a un potere concentrato
e indiviso, la Costituzione è ogni giorno più minacciata, le istituzioni di
garanzia e le regole della convivenza sono sotto attacco di ministri anarchici
e sovversivi in attesa di un nuovo “legge e ordine” instaurato da loro. E
mentre l’unità è minata nei suoi fondamenti, c’è chi la sbeffeggia come una
cattiva eredità, e vorrebbe realizzare ora quel federalismo che fu allora
mancato. La Lega non è proprio il partito neo-guelfo, anche se rivendica
un’identità cattolica, che qualche prelato è disposto a riconoscerle, ma in
ogni caso il federalismo dei ricchi contro i poveri, il separatismo padano, la
discriminazione tra italiani e stranieri, non li potrà fare con la Chiesa; vi
fanno ostacolo un secolo di encicliche sociali e vi si oppone non solo la
Costituzione ma anche il Concilio.
E più ancora vi si oppone
quella coscienza di essere ormai una Nazione, di avere un diritto da
salvaguardare e una dignità da difendere, che è radicata nel popolo e di cui
sarà simbolo, il prossimo 25 giugno, la “nave dei diritti” (www.losbarco.org) con cui, come per una
impresa dei Mille alla rovescia, molti italiani residenti all’estero vogliono
sbarcare a Genova, per denunciare “le derive culturali, politiche e sociali
del Paese”, e riportare l’Italia a se stessa.
Raniero La Valle