11 dicembre 2009
Il discorso di Obama a Oslo è una sfida
alta alla cultura nonviolenta, che vuole costruire pace giusta ripudiando il
mezzo della guerra.
Obama ha detto che a volte la guerra è
strumento per la pace; che esiste una guerra "giusta" come questa in
Afghanistan; che un movimento nonviolento non avrebbe mai sconfitto Hitler;
che c'è differenza tra una guerra scelta e una guerra imposta dalla
necessità.
Sono arcinoti luoghi comuni del
"realismo" non volgarmente guerrafondaio, ma neppure determinato a "salvare
le future generazioni dal flagello della guerra" (prime parole del Preambolo
dello Statuto dell'Onu), dopo il terribile Novecento.
In sintesi telegrafica, possiamo dire
(cioè ripetere):
- La guerra può eliminare un potere
violento, ma affida sempre la decisione alla forza delle armi, non alle
ragioni del diritto. Armi e diritto possono coincidere per caso, non per
loro natura. "La guerra è l'antitesi del diritto: non fa vincere chi ha
ragione, ma dà ragione a chi vince" (Norberto Bobbio). "La guerra è un male
perché fa più malvagi di quanti ne toglie di mezzo" (Immanuel Kant). La
guerra consacra le ragioni stesse della violenza che vuole combattere,
perché la imita e la riproduce.
- Chi arriva tardi perde il treno. La
cultura politica democratica e nonviolenta avrebbe potuto evitare Hitler e
poi sbalzarlo democraticamente dal potere se fosse stata difesa e diffusa
molto per tempo nell'animo popolare e nelle istituzioni. E' in anticipo che
si deve combattere la tirannia. La guerra arriva sempre in ritardo. La
vittoria in guerra è sempre pregna di nuova violenza. La vittoria su Hitler
ci ha dato l'incombente universale morte atomica.
- Questa condanna storica vale anche
per la risposta bellica degli Usa al clamoroso attacco dell'11 settembre,
contraccolpo ingiustificabile di una secolare ingiustificabile violenza
dell'occidente verso il mondo esterno, di cui la rinascita islamica sente
l'offesa e in qualche sua componente reagisce con ingiustificabile violenza.
- Va riconosciuto, tuttavia, il caso
estremo e tragico in cui si ha il "dovere di uccidere" (parole di
Gandhi) chi sta sistematicamente uccidendo altri, se davvero non c'è nessun
altro modo di fermarlo. Ma il tirannicidio per necessità estrema non è la
guerra, che è violenza estesa, sistematica, indiscriminata, che sempre
colpisce i popoli assai più dei tiranni, con immensa ingiustizia, anche ora
in Afghanistan. Anche la corretta azione di polizia (statale o
internazionale) non è guerra: la polizia tende a ridurre la violenza, la
guerra tende ad accrescerla per imporsi sul più debole. Per vincere in
guerra bisogna diventare più violenti del nemico (avverte
Gandhi).
- La guerra è assai più utile ai
criminali fabbricanti e trafficanti delle armi omicide, che non ai popoli
che essa vorrebbe liberare e difendere. Inoltre, tutti i
popoli potrebbero difendersi da soli con l'arma nonviolenta della estesa
disobbedienza civile ai poteri violenti, perché ogni potere consiste in
definitiva soltanto nell'essere obbedito (Etienne de la Boétie; Gene Sharp).
Ciò sarebbe possibile se la cultura della pace e della giustizia avesse
voci e mezzi per diffondere (più di quanto già faccia con pochissimi mezzi)
la conoscenza di questo diritto e possibilità dei popoli. In generale,
i governi impediscono la conoscenza di questi mezzi di difesa popolare
nonviolenta, perché, anche se eletti democraticamente, non vogliono che i
popoli abbiano reale possibilità di controllo sulla loro azione e
potere.
- La democrazia, come reale potere
popolare, non è affatto facile. E' più facile obbedire a un capo. I popoli
non sono fatti interamente di santi e onesti. I vizi dei potenti sono
latenti nell'umanità comune. Se cala la vigilanza etico-civile, le
democrazie degnerano in autoritarismi, come accade ora drammaticamente e
orribilmente in Italia. Kant dice: non occorre che i cittadini siano angeli,
basta che siano "diavoli intelligenti"; cioè, nonostante i vizi umani, la
conoscenza e l'intelligenza possono portare a ridurre o eliminare le
maggiori cause di sofferenza e ingiustizia, come è la guerra, presunta e
falsa soluzione dei più gravi conflitti. L'umanità procede in civiltà
se sa immaginare e istituire metodi più umani nelle relazioni
difficili. Questo è il compito della cultura politica popolare,
democratica. I governanti valgono e meritano riconoscimenti nella precisa
misura in cui non impediscono, ma rispettano e promuovono questa
umanizzazione.
e. p.